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Caso=caos: scendi dalla ruota, segui il tuo destino

di Lorenzo Belli - 10/11/2007

 

Qual è il senso del nostro stare nel mondo?

 Il caso?

 

La società dei consumi non sa dare risposte a questa domanda di senso.

La modernità dopo aver ucciso Dio, ha cominciato ad adorare  feticci:

Il Progresso, la Scienza, la Tecnologia, il Denaro, il Mercato, l’Individuo.

 

E se ci fosse un senso, una Verità, oltre l’individualismo, il materialismo, l’utilitarismo liberale?

Ogni volta che si  trasformano gli strumenti in fini, ogni volta che si riduce l’uomo(ed il suo destino) alla dimensione materiale ed individuale, ogni volta che si pone il senso nelle mani del caso, avanza nella società e nelle coscienze individuali il deserto di valori, il vuoto di senso.

Il Nulla.

Il Caos.

 

Scendere dalla ruota del meccanicismo consumista, dell’ipnosi del consumo indotto, dell’illusione tecnologica, della mercificazione del corpo.

 

Amor fati.

Seguire il proprio destino vuol dire essere uomini e donne nella propria totalità.

Essere  ciò per cui si è destinati.

Divenire cio che si è.

 

“L’uomo vive profondamente radicato in tre dimensioni:

una dimensione personale, nella quale avverte il destino della sua singolarità, della sua unicità, della sua inalienabile differenza;

una dimensione comunitaria nella quale esso si concepisce inscindibilmente legato al mondo, attraverso un fitto reticolo di cerchi concentrici che lo pongono in necessaria relazione e profonda con gli altri, con l’ambiente, con la natura e con la cultura, il passato e il futuro;

e una dimensione trascendente nella quale egli ritrova il suo senso, la sua apertura oltre l’esistenza e il tempo, attraverso la coscienza del sacro…”¹

 

Destino, identità, tradizione sono realtà dinamiche ma non arbitrarie. L’uomo non è completamente determinato, ma neanche completamente determinabile dalla propria volontà.

 

Nessuno realizza da solo il proprio destino.

Il destino, personale e comunitario, è una narrazione di cui siamo sia soggetti che narratori.

 

“Un popolo si mantiene grazie alla sua narratività, appropriandosi del proprio essere in interpretazioni successive, diventando soggetto raccontando se stesso ed evitando così di perdere la propria identità, cioè di diventare l’oggetto di racconti fatti da altri.”²

 

“La tradizione non riguarda solo il nostro passato; è una dimensione del presente, dal cui riconoscimento o negazione dipende la consistenza della propria persona, della propria libertà, della propria capacità di rischiare.

Ma la tradizione diventa costruttiva se ritrasmette attraverso la narrazione della vita, tra una generazione e l’altra. Quando la narrazione si interrompe, si dilapida la tradizione  e si perde l’identità.

Credo non ci sia mai stato un tempo di afasia narrativa come questo. Padri che non hanno più figli, ovviamente non in senso biologico. Figli che non hanno più padri. Se il padre ammutolisce, il figlio non sa più se c’è una risposta alla sua domanda di senso . Questo blocca la storia di un popolo, distrugge il senso di appartenenza.”³

 

 

 

¹ M. Veneziani   “Processo all’Occidente – la società globale e i sui nemici” – pag.263

² A. De Benoist  “Identità e comunità” - Pag.58

³ Mons. C. Caffarra   dall’intervista pubblicata sulCorriere della Sera del 2/11/07