Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Chiesa Vs Blondet: un attacco sbagliato

Chiesa Vs Blondet: un attacco sbagliato

di Claudio Moffa - 12/11/2007

Fonte: 21e33.blogspot

 

Sono sempre stato contrario al buonismo pseudodemocratico e pseudoprogressista sull’immigrazione (Claudio Moffa, La favola multietnica. Per una critica della sociologia dell’immigrazione facile, Prefazione di Umberto Melotti, Harmattan 2002), ma non per questo sono d’accordo con alcune espressioni generalizzanti dell’articolo di Blondet sui rom rumeni, che gli ha scatenato contro l’attacco di Giulietto Chiesa: non solo quelle relative agli zingari – a rischio di specularità dello stereotipo dello zingaro “buono”: la cultura rom è fondamentalmente razzista, come dicono Blondet e tanti altri, e come non vuole capire l’idiozia buonista – ma anche quelle sulla “casta” politica, che certo riconosco essere per larghissimi tratti tale, ma sulla quale continuo ancora a sperare che si possa intervenire a partire dalle differenze esistenti, magari sollecitando un suo augurabile orgoglio e desiderio di autonomia nei confronti dei veri poteri forti che minacciano il nostro paese. Poteri forti contro i quali peraltro Blondet si è sempre schierato con grande coraggio civile.
Non sono dunque d’accordo con quello che ha scritto Blondet, ma ancor meno con l’attacco di Chiesa nei suoi confronti, e per diversi motivi: di opportunità, di metodo e di merito.
Innanzitutto la sparata di Chiesa è successiva di qualche settimana l’attacco, sempre contro Blondet, di Michael Levi. Questo Levi - che peraltro conosco “personalmente” per essere stato colui che mi accusò sul solito sito informazione(s)corretta per avere invitato nel gennaio scorso, appunto Blondet e Fini alla settimana di apertura del master Enrico Mattei in Medio Oriente: accusa cui replicai pubblicando immediatamente un articolo di Blondet sul sito, “perché non sono antisemita” - ha ritirato fuori la solita solfa dell’antisemitismo per chiedere la testa del giornalista cattolico nientemeno che all’Ordine dei Giornalisti. L’attacco di Chiesa dunque rischia di creare ulteriore danno non solo al suo nemico personale, ma anche alla battaglia per la libertà di opinione e di stampa nel nostro paese, peraltro in una congiuntura in cui il Ddl Prodi-Levi minaccia i blog e siti web alternativi in Italia. Gli articoli di Blondet sono seguiti in italia da migliaia di lettori internet: per un articolo sbagliato, lo si vuole condannare al silenzio, come ricorda Mazzucco nel suo intervento su Luogo comune?
Ma a parte questo, ci sono altri motivi: innanzitutto nonostante il ruolo cruciale svolto nella battaglia per la verità sull’11 settembre, Chiesa non può pretendere di monopolizzarlo “preventivamente” e per atto d’imperio, a vantaggio delle sue tesi. Prendere le distanze dai tromboni della verità ufficiale potrebbe non bastare, e circoli, movimenti, siti devono essere lasciati liberi di giudicare e di invitare chi ritengono utile a capire un problema così semplice e “complesso” allo stesso tempo, quale l’attentato alle Torri Gemelle. Che poi Chiesa non voglia dibattere con Blondet, come non volle partecipare al master di Teramo edizione 2006 – quello inaugurato da Andreotti, che andò liscio come l’olio, tranne il solito attacco preventivo e antiiscrizioni dell’allora collaboratore de il Foglio Emanuele Ottolenghi – questa sua scelta è legittima, purché non diventi una sorta di fatwa per tutte le realtà interessate al dibattito che volessero e vogliono sentire “anche” Blondet.
Ed eccoci dunque alle questioni di contenuto: in un intervento sul “politically correct del complottismo” ho già avanzato più di un anno fa – il riferimento era una trasmissione a Matrix - dei dubbi sull’espunzione sistematica di possibili responsabilità di Israele nell’attentato dell’11 settembre, a vantaggio di un “antiamericanismo” e “antibushismo” “facile”, perché relativamente ben accetto nei salotti mediatici e politici ufficiali. Ora, il sostegno di Israele all’estremismo islamico è documentato e certo: ne ho scritto ripetutamente, citando fonti tanto normali quanto autorevoli (ad es. il Corriere della Sera), con riferimento al criminale terrorismo ceceno, al Kosovo, alla Bosnia, alla presenza israeliana in Curdistan (dove l’estremismo islamico è piuttosto estremismo indipendentista). Anche nell’attentato dell’11 settembre esistono pesanti indizi di una presenza israeliana, del resto quasi scontata visto il cui prodest finale dell’attentato del secolo: dall’avvio dello scontro di civiltà in Afghanistan, al rovesciamento e assassinio di Saddam Hussein, nei confronti del cui regime Colin Powell voleva prima dell’11 settembre ridurre le sanzioni; allo stesso contesto palestinese, con l’effetto Torri a colpire innanzitutto, di nuovo, Colin Powell che quello stesso 11 settembre avrebbe dovuto recarsi all’ONU ad annunciare il sì di Washington allo stato palestinese; e poi dieci giorni dopo, Yasser Arafat, al cui incontro con Peres, Sharon si oppose nonostante le (allora) pressioni di Bush e del suo segretario di stato.
Israele affiora non nella mente malata di qualche antisemita, ma nei fatti, in decine di tasselli e unità di notizie relativi a tutte le guerre postbipolari, con un suo disegno specifico che non corrisponde e talvolta contrasta quello “panimperiale” degli Stati Uniti. Storie anche di spionaggio interno, di dossier del Pentagono allarmisti verso l’infiltrazione “etnica” nel personale, di levate di scudi di qualche coraggioso parlamentare, come ad esempio Jim Moran, quel congressman che nel marzo 2003 chiese a Bush: “perché fai gli interessi di Israele, nell’attaccare l’Iraq?”. Quale interesse in effetti mai aveva Washington, ad aggredire fino all’annientamento un suo ex alleato come l’Iraq di Saddam Hussein? Chi fu alla testa delle stragi di Fallujia del 2004? A quale logica obbediva il governatore Bremer nella sua liquidazione totale del partito baath dopo l’occupazione?
Da questo punto di vista, quello dell’evidenziazione della specificità israeliana nelle guerre americane contro l’Islam, Blondet ha svolto un ruolo cruciale di chiarificazione: ricordo fra le altre cose la sua sottolineatura dell’ambiguità del terrorismo transnazionale di “osama bin mossad” – quello che non solo i tromboni di destra, ma anche alcune frange estremiste del movimento per la pace hanno preteso di equiparare ai movimenti di liberazione nazionale in Iraq, Libano, Palestina - e il rilancio in Italia di banali unità di notizie estratte non da qualche blog neonazi, ma dall’autorevolissimo Haaretz: come ad esempio la notizia dell’avviso a due impiegati nelle Torri Gemelle della ditta israeliana Odigo dell’imminenza dell’attentato, segno evidente che in Israele “qualcuno” sapeva; come quell’ ebreo americano scoperto alla guida di un camion mentre trasportava esplosivo nei pressi di una base militare USA; o quella notizia ancora più inquietante, del mercante di diamanti ebrei beccato assieme a due consoci indiano e indonesiano mentre cercava di introdurre negli Stati Uniti un missile da bazooka.
Tutte notizie doc e che tuttavia quando si va alla ricostruzione dei grandi scenari del terrorismo, vengono “dimenticate” per restare a disposizione, a mo’ di monito mafioso (attenti a voi, “noi” contiamo), solo dell’elite politico mediatica occidentale. E “dunque”, di silenzio in silenzio e di censura in censura, tutto - la critica alle guerre contro l’Islam, e l’analisi dell’11 settembre - sfocia in un banale antiamericanismo, un po’ come quando la strategia della tensione in Italia – nonostante i Bertoli e i Moretti, quello della stranissima stella a sei punte nel sequestro lampo di un dirigente dell’Alfa romeo – veniva e viene attribuita di volta in volta solo e unicamente alla “sinistra” e alla “destra”.
Tutto questo non è professionale, non è scientifico, non è liberale, non è pacifista. A che pro dunque la scomunica di Blondet, al di là delle lecite e possibili critiche e prese di distanza, ad esempio per quel che riguarda il suo anticomunismo vecchio stile? Si sta creando un nuovo clima, sull'11 settembre e sul ruolo di Israele nelle scelte della politica estera americana - vedi negli stessi USA lo sdoganamento della categoria-termine “lobby israeliana” da parte di Soros e di Walt e Meirsheimer - un clima favorevole ad affrontare storia e cronaca in modo più aperto, senza cedere alle pretese che della storia di Israele e degli ebrei debbano poter parlare solo gli israeliani e gli ebrei (beninteso, con qualche eccezione, come Ariel Toaff). E che se si rivelano scenari terroristici in cui affiora e con nettezza la mano anche di Israele, si debba finire terrorizzati e impietriti dalla doppia accusa loffia e falsa di “complottismo” e “antisemitismo”.
Lasciateci respirare, almeno sui blog: ne abbiamo bisogno noi, osservatori appassionati, ma anche le decine di migliaia di lettori internet sulla verità dell’11 settembre. Per questo non sono affatto d’accordo con la scomunica di Blondet e rivendico invece non la possibilità, ma la necessità che faccia parte a pieno titolo del dibattito sull’11 settembre.
PS. Un lettore di questo blog ha commentato l’avviso del dibattito con Paolo Pioppi a Bellante-Teramo con la domanda ironica: vengono anche Chiesa e Blondet? Chiesa no, Blondet non dipende da me.
Testi di riferimento
IL POLITICALLY CORRECT DEL COMPLOTTISMO: TESTO COMPLETO