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Dove vanno a finire i soldi delle nostre tasse?

di Pieluigi Paoletti - 12/11/2007

 

Una domanda che sempre più spesso ci poniamo, soprattutto quando ci troviamo di fronte ad un servizio pubblico scadente, quando facciamo i conti con una burocrazia enorme e lenta, quando, insomma, ci sentiamo soffocati da qualcosa che è più grande di noi, che si nutre di noi e che non riusciamo cambiare.
Ma cambiare, alleggerire, migliorare la obsoleta e vetusta macchina statale è possibile. Tolstoj – proprio lui, il grande romanziere russo – direbbe di sì: ma bisogna compiere qualche atto che oggi, dai ben pensanti, sarebbe bollato come anarco-insurrezionalista…

Per capire dove vanno a finire le nostre tasse bisogna vedere lo stato come un condominio e
le tasse come le rate che i condomini pagano per far fronte alle spese dei servizi comuni (luce delle scale, pulizie, portiere, giardiniere ecc.).
Le tasse quindi dovrebbero servire allo stato per far funzionare i servizi comuni a tutti i cittadini, sanità, pensioni, viabilità, scuola, polizia, difesa (purtroppo) e tutte le altre cose che la macchina dello stato necessita per camminare. Questa la teoria naturalmente…

Il lavoro statale
Come in ogni condominio ognuno spera di avere un amministratore onesto, la stessa cosa, a maggior ragione, dovrebbero sperare i cittadini di uno stato: avere dei governanti onesti.
Ma noi sappiamo che così non è, a cominciare da 60 anni di clientelismi politici che hanno portato ad un numero di dipendenti pubblici (che per loro natura non sono destinati a produrre qualcosa, ma solo al funzionamento della macchina statale) eccessivo, per usare un eufemismo, rispetto alle effettive necessità: scuola e università 1.100.000 dipendenti, sanità 690.000, regioni ed enti locali circa 600.000, ministeri 290.000 e così via fino a raggiungere la stratosferica quota di 3.470.000 (fonte Ministero dell'economia dati al 31.12.2002). L'incidenza dei dipendenti pubblici su un
totale di 21.913.000 lavoratori di cui 2.062.000 disoccupati è del 15,8% (sempre tenedo presenti i dati del 2002). E, se non ricordo male, questo governo ha già aumentato di 500.000 unità la folta schiera dei dipendenti pubblici.

Sovvenzionare aziende fallite
Il secondo punto cruciale riguarda i numerosi sperperi, abusi, svendite del patrimonio pubblico, privatizzazioni di servizi essenziali (enel, telecom, autostrade).
Tra gli sperperi bisogna annoverare anche le sovvenzioni ad aziende già fallite, come Alitalia, o la cassa integrazione per una moltitudine di grandi aziende private (una per tutte la Fiat), che, per non licenziare fanno pagare allo stato, cioè a noi.
Ovviamente a tutto questo dobbiamo aggiungere che sui cittadini gravano anche gli interessi sul debito pubblico, che come sappiamo è una truffa, contratto dallo stato nei confronti prima della BC ora della BCE. Ogni anno circa il 10% delle entrate fiscali, circa 65 mld di euro, vanno per gli interessi passivi che lo stato deve pagare ai possessori del debito pubblico (Bot, Btp, Cct, Ctz ecc.).
In un sistema equilibrato, lo stato avrebbe bisogno della sola decima (10%) per far fronte alle spese comuni, tutti dovrebbero disporre di un reddito di cittadinanza e lo stato avrebbe il compito di incoraggiare e sviluppare tutte le potenzialità delle persone e non rincorrere un assurdo pil, creare masse di ignoranti e sperare che la gente non campi tanto, per non scoppiare tra pensioni e spesa sanitaria.

Controcorrente
Tolstoj e lo Stato
Boicottare le tasse e il lavoro statale

di Valerio Pignatta
Il celebre romanziere russo Lev N. Tolstoj sottolineò tutta la vita l’importanza della coerenza e della necessità «di non tradire le proprie idee con la propria vita, di non tradire la propria dignità umana sottomettendosi a un’istituzione»(1). Per Tolstoj «nessuna forma di governo, né elettiva, né ereditaria, né per diretta unzione divina, è stata fin oggi in grado di salvarsi dalla corruzione e dall’abuso del potere per fini privati. Al contrario, è risaputo che proprio le cariche rovinano gli uomini, e il miglior privato cittadino diventa inevitabilmente tanto più corrotto quanto più alta è la carica che viene a ricoprire»(2).
Anzi, la partecipazione a qualsiasi titolo alle istituzioni statali da parte di uomini intelligenti ed onesti ottiene come risultato solo quello di attribuire autorità morale ad un organismo che di per sé non potrebbe mai averne. Senza quelle persone l’essenza brutale dello Stato sarebbe sotto gli occhi di tutti(3). E in merito a quest’ultima Tolstoj fu esplicito: «Ogni governo, per poter essere un governo, deve essere composto dagli individui più insolenti, più brutali, più corrotti»(4). E calcando la mano: «A queste associazioni a delinquere chiamate governi viene interamente rimessa la violenza contro la proprietà, contro la vita, contro il naturale sviluppo spirituale e morale di ogni individuo»(5). Dalla scomparsa di queste istituzioni “criminali” ne sarebbe derivata, secondo lo scrittore russo, la scomparsa stessa o la diminuzione della violenza, che era la base organizzativa su cui esse si fondavano(6). La fine di tutti i governi non avrebbe comunque significato anche l’estinguersi degli aspetti positivi della legge, dell’istruzione pubblica e della giustizia che avrebbero continuato ad esistere in una forma purificata dai mali del potere centralizzato(7). In ciò Tolstoj si avvicinava molto alle idee professate da un altro grande libertario inglese suo contemporaneo, William Morris, il quale sostenne nelle sue opere che la scomparsa dello stato, e quindi della proprietà privata, avrebbe semplicemente purificato la società, che si sarebbe elevata ad un forma superiore che non avrebbe più avuto la necessità dell’esistenza di un diritto civile o penale(8).
Ovviamente, per il nonviolento Tolstoj, il metodo da adottarsi per eliminare i governi dovrebbe consistere in quel che oggi si potrebbe definire un boicottaggio totale dell’amministrazione pubblica (concetto del resto già espresso da vari gruppi cristiano-libertari nei secoli). Questo porterebbe, lentamente, ma inesorabilmente, alla sua estinzione indolore: «Per cambiare veramente qualcosa, ognuno dovrebbe cominciare col cambiare se stesso, invece di voler ammaestrare o forzare gli altri. Come? Rifiutandosi di prender parte a tutto ciò che tiene in piedi i governi e quindi le leggi e il dominio d’un uomo sull’altro. […] Rifiutandosi di pagare tasse dirette o indirette e rifiutandosi di riscuoterle sotto forma di stipendi o pensioni varie. Rifiutando la protezione offerta dallo stato. Possedendo soltanto ciò che nessun altro rivendica per sé»(9).
Insomma, per Tolstoj la realizzazione di una società veramente “umana” non passa attraverso una rivoluzione politica ma, così come per Godwin e per Proudhon, solo attraverso un rinnovamento morale che mina la società esistente dall’interno e alle sue stesse basi. Chi vuole intraprendere questo rivolgimento interiore deve cominciare da se stesso, operando scelte che lo portino a cessare di cooperare con il sistema di cose esistente, rifiutandosi appunto di servire nell’esercito o nella polizia, di adire i tribunali, di pagare le tasse.

Note
  Così Marco Bucciarelli nella Nota introduttiva a Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, La Baronata, Lugano, 1986, p. 13.
2 Tolstoj, Lev N. “La salvezza è in voi” [1894], uno stralcio del quale si può trovare ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 21-24, cfr. p. 23.
3 Tolstoj, Lev N., “A una signora liberale” [1896], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 49-57, cfr. 51.
4 Tolstoj, Lev N., “Il concetto di nazione” [1900], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 77-88, cfr. p. 83.
5 Ibid., p. 84.
6 Tolstoj, Lev N., “La schiavitù moderna ” [1900], uno stralcio del quale si trova ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 101-102, cfr. p. 101.
7 Tolstoj, Lev N., “Il concetto di nazione” [1900], ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 77-88, cfr. p. 86.
8 Morris, William, Notizie da nessun luogo, Garzanti, Milano, 1984, pp. 90-91.
9 Tolstoj, Lev N., “La schiavitù moderna ” [1900], uno stralcio del quale si trova ora in Tolstoj, Lev N., Scritti eretici, cit., pp. 101-102, cfr. p. 102.


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