Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Emigrazione, immigrazione e globalizzazione

Emigrazione, immigrazione e globalizzazione

di Alessio Mannino - 13/11/2007

       

 

Active Image

No alla globalizzazione di uomini significa no all’emigrazione. In un senso preciso: lo spostamento di individui e famiglie dalla terra natale verso Paesi con un’altra storia, un’altra cultura e altre condizioni di vita è il portato dell’essenza stessa della globalizzazione: la riduzione del mondo intero a un unico e uniforme modello economico, il nostro. Ovvero il modello capitalistico, fondato sulla crescita illimitata e avvitata su se stessa, in cui il valore supremo è lo scambio di merci tramite il denaro (sempre più virtuale: basta un click sul computer e si creano, si muovono e si tolgono ricchezze immense da un angolo all’altro del pianeta).
Essere contro la globalizzazione conduce perciò, necessariamente, a volere una Terra in cui ogni popolo ritrovi le radici e gli scopi del proprio destino là dove ha il proprio passato. Preservando così il segreto della dignità umana: la propria specificità. La propria unicità.
Ma bisogna essere realisti. Le grandi masse di immigrati che si riversano da decenni dalle diseredate lande del cosiddetto Terzo Mondo ai sobborghi e alle province dell’Impero del “benessere” occidentale, non sono un accidente della Storia: sono un fenomeno epocale che non si può pensare di fermare con una legge, men che meno di un singolo Stato (come l’Italia).
E’ la conseguenza della terra bruciata fatta da noi occidentali in Africa, Asia e nei Paesi ex comunisti dell’Est europeo, vittime della nostra conquista neo-coloniale. Il colonialismo del 21° secolo non marcia con le armi in pugno: converte i popoli con l’apertura al mercato unico mondiale, inculcando loro il miraggio del felice consumatore che passa il weekend al centro commerciale. Compra le classi dirigenti locali facendo sbarcare nei loro Paesi le banche e le aziende americane, inglesi, tedesche, francesi, italiane. Giustifica l’inglobazione nello Sviluppo con il totalitarismo democratico, con la balla assassina della democrazia universale da esportare ovunque. Grandi eccezioni all’espansione politica, ma architravi della dittatura globale del mercato, la Russia autocratica e la Cina capital-comunista (ma si può tranquillamente togliere il secondo aggettivo, ormai). E così i marocchini, algerini, nigeriani, congolesi, turchi, rumeni, albanesi, filippini, cinesi inondano l’Occidente, senza limiti e controlli.
Da noi a comandare sono i signori del credito e i capitani del vapore. La nostra economia ha bisogno di manovalanza a basso costo da sfruttare. Lo fa già con un ceto medio “autoctono” sempre più largo ma sempre meno medio (cioè sempre più povero). E con ancor maggior scientifica e sfacciata sistematicità lo fa coi poveracci del Terzo Mondo che arrivano qui.
Quegli stessi che difendono a spada tratta il Dio Mercato, sono poi quelli che si vestono da guardia bianca dei sacri confini e riscoprono l’identità nazionale che il Mercato ha provveduto da un pezzo a svuotare e archiviare fra i ferrivecchi della Storia. Perciò la Destra è semplicemente ridicola quando si scaglia contro la “troppa” immigrazione. (L’estrema destra, poi, è semplicemente stupida, con le sue teste rasate e vuote che vivono eternamente di spedizioni punitive e giustizia-fai-da-te: si arrocca nel suo disumano razzismo non capendo ancora e sempre che così fa il gioco del capitalismo, a cui servono ogni tanto degli scoppi di intolleranza per far accettare il normale ordine migratorio funzionale a bassi salari, bassa occupazione e precarietà lavorativa).
La Sinistra moderata converge sulla Destra criticando l’eccesso di immigrazione, e propone una regolamentazione e una limitazione impossibile. Impossibile perché il sistema di controllo è un colabrodo: chi entra in Italia e non trova casa e lavoro riceve un foglio di via, diventa cioè irregolare. Ma le nostre forze di polizia non hanno neppure benzina sufficiente per le auto, figurarsi se riescono a rispedire fuori dai confini gli irregolari. (La sinistra estrema è per l’accoglienza indiscriminata: bravi, signori morti viventi del marxismo, così aiutate quel capitalismo che oramai combattete solo a parole. Iscrivetevi alla Caritas, sareste più onesti e fareste un favore alla politica italiana).
Insomma, è una farsa che include tutti, nessuno escluso. Ma allora, che fare

 

Immigrazione: una proposta per l’emergenza

 

Posto che la causa dell’immigrazione è quel Vizio Oscuro dell’Occidente che tutto vuole omologare a sé, conquistando il mondo con la globalizzazione economica. Posto che l’immigrato, come persona umana appartenente a un’altra storia, va rispettato nei suoi usi e nella sua cultura. Posto che la vera svolta al “problema immigrazione” verrà soltanto quando la bolla mondiale della crescita economica imploderà vanificando il mito della ricchezza per tutti a qualsiasi costo. Posto tutto ciò, per governare nel momento storico dato la convivenza fra italiani e immigrati, secondo la nostra personale opinione, vanno messi dei paletti e avanzate delle soluzioni fattibili:

1.    porre la questione in sede europea della libertà dei singoli Stati di gestire i flussi migratori secondo criteri propri. L’Unione Europea, infatti, dà direttive che imbrigliano i Paesi secondo le logiche del mercato globale, che vanno combattute. Finchè l’Europa non si doterà di un modello di sviluppo politico ed economico autonomo, si rivendichi la sovranità nazionale in  materia;

2.    dotare le forze di sicurezza di mezzi e risorse ben maggiori delle attuali, istituendo un corpo apposito interno alla Polizia (qui serve solo e unicamente la volontà politica, che manca perché la classe politica è subalterna a quella economica);

3.    i flussi migratori vanno fortemente ridimensionati: da un ipotetico 100 attuale a un 10 subito.

4.    I criteri per l’ammissione devono diventare più giusti ma più rigidi: non quote basate sulla domanda delle imprese, ma requisiti giudiziari (no precedenti penali) e legati al “progetto di vita” (dimostrare di avere una famiglia – importante per capire un eventuale ricongiungimento – e richiesta o no di cittadinanza, vedi punto 6);

5.    Gli immigrati già presenti vanno censiti: i clandestini e gli irregolari con precedenti penali vanno espulsi, gli irregolari senza problemi con la giustizia ma senza lavoro vanno inseriti in liste di lavoro apposite (con permesso di soggiorno temporaneo) da utilizzare in parte per collocarli in posti lasciati liberi dagli italiani, in parte come manodopera a cui attingerà un Fondo Nazionale per l’Aiuto Imprese Stranieri;

6.    La cittadinanza va chiesta subito al primo ingresso, oppure no. In caso positivo, l’immigrato riceve il permesso di soggiorno stabile e si impegna a seguire un percorso di educazione civica nelle scuole (che non contempla né religione né costumi, che devono rimanere sua esclusiva e libera scelta) che al termine di 2 anni gli rilascerà un attestato di cittadinanza provvisoria. Dopo successivi altre 3 anni otterrà quella definitiva se dimostrerà di aver partecipato all’attività di un’associazione di carattere sociale, politico o economico a cui aderiscano cittadini italiani. Coloro che rifiutano hanno tempo 1 anno di libera permanenza con permesso di soggiorno temporaneo, dopodiché o scelgono il percorso di cittadinanza o vengono espulsi;

7.    Gli immigrati non ancora cittadini hanno il diritto di professare le proprie idee politiche e la propria religione al massimo grado possibile. Lo Stato dovrà facilitare la creazione di spazi sociali da loro autonomamente gestiti, nel rispetto della legge. Lo Stato li aiuterà a trovare una casa e un lavoro (vedi punto 5).

 

In sintesi, la filosofia per affrontare il problema immigrazione¹ dovrebbe essere: pochi immigrati ma buoni. Nel lungo termine, la battaglia è sul fronte del cambio di modello di sviluppo economico e sociale, così da togliere all’esodo di disperati i presupposti per trasferirsi in Europa.

 

 

 

 

 

¹Si precisa che la proposta è solo un abbozzo da completare ed eventualmente correggere, e che si tratta di un’opinione personale di chi l’ha redatta.