La giovinezza è il tempo dei rischi: non è una novità. C’è però una differenza tra quelli che i giovani hanno sempre corso, e quelli nei quali si mettono oggi, lasciando gli adulti sbalorditi. In tempi e culture precedenti, infatti, la ricerca di rischio dei giovani era legata alla loro passione per gli ideali e sete d’avventura. Oggi, come dimostra anche l’ultimo horror giovanile (l’assassinio della studentessa Meredith, a Perugia), a spingerli ad azioni spericolate c’è soprattutto la noia.
Non è una novità dappoco. Anche il movente ideale, infatti, poteva fallire, trascinando nel disastro i giovani partecipanti, ma non li privava dell’esperienza di aver partecipato ad una grande cosa. Tutte le imprese spericolate (spesso fallimentari) furono condotte con volontari che erano poco più che ragazzi.
Nel Medio Evo ci fu persino una “crociata dei bambini”, con ragazzini che fuggivano da casa e correvano a frotte, da tutt’Europa, per imbarcarsi e liberare il Santo Sepolcro. Finirono in gran parte schiavi, ma entrarono, in questo loro modo sconsiderato, nella storia d’Europa. Ed in quella della letteratura, dove le loro gesta furono narrate da Marcel Schwob.
La sostituzione della noia all’ideale come motivazione di azioni rischiose ha invece due precisi risultati. Il primo è una perdita di umanità. Gli ideali, infatti, anche quando sono sbagliati, o impossibili, sono motivazioni umane, nelle quali compare sempre, in qualche modo, un’aspirazione al miglioramento del mondo, e dell’uomo, per realizzare il quale si mette a rischio persino la propria vita. Nella noia, invece, si manifesta un abbassamento di livello della coscienza, che provoca una diminuzione dell’empatia per gli altri e per il mondo. Ne nasce una freddezza, che porta velocemente all’indifferenza, o addirittura all’ostilità. E’ questo il clima psicologico nel quale si sviluppano, oggi, gran parte dei delitti giovanili, da quello di Perugia alle ricorrenti stragi nei campus universitari.
Da sola, tuttavia, la noia non basterebbe a spiegare delitti così gravi, e in grado di interrompere, oltre alla vita delle vittime, anche quella degli assassini. In queste vicende, infatti, è presente un elemento del tutto nuovo: la mancanza di paura. Non solo la paura umana, per la propria sorte futura, che pure ha sempre accompagnato, non solo le azioni del delinquente, ma persino quelle dell’eroe. Anch’egli, infatti, come Achille nella guerra di Troia, fuggiva vestito da donna, pur di evitare il combattimento.
In queste storie manca non solo questa paura umana, messa a tacere anche con abbondante uso di sostanze intossicanti, di droghe, che allontanano la corretta visione della realtà, e dei suoi inesorabili pericoli: leggi, punizioni, l’isolamento dal resto dell’umanità. Manca anche, e soprattutto, la paura metafisica, ciò che prima della teoria della “morte di Dio” si chiamava appunto “timor Dei”, il timore di Dio, la paura di un ordine più potente delle leggi umane, che poteva punirti quando lo infrangevi.
E’ proprio questo timore, infatti, la base ultima di ogni ordine civile, ed umano: la consapevolezza che all’uomo non tutto è consentito, e che la violazione di ogni limite, a cominciare dal rispetto per la vita dell’altro, genererà un male intollerabile innanzitutto a chi la compie.
Quando perde questa paura metafisica, generata dal rispetto per l’ordine dell’universo, l’essere umano cade in una posizione di onnipotenza, che è già molto vicina alla follia.
Noia, e delirio di onnipotenza: così ci si allontana, dagli affetti, e dai vincoli, dell’umano, e della realtà.

da “Il Mattino di Napoli”