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Il palazzo del Congresso Usa fu costruito dagli schiavi

di Roberto Rezzo - 13/11/2007


Regolarmente pagati 60 dollari l’anno. Ai loro padroni bianchi.

Gli storici non hanno ancora stabilito con certezza se a costruire le piramidi d’Egitto furono operai specializzati strapagati dal faraone o schiavi stremati a colpi di frusta.
A una commissione parlamentare americana sono bastati due anni di lavoro per accertare che il palazzo del Congresso, modestamente chiamato il Tempio della Libertà, l’hanno costruito proprio gli schiavi.

EMANCIPATION HALL «I compiti includono trasportare pietre, disporre mattoni e segare travi - risulta dalla contabilità dell’epoca tuttora ben conservata negli archivi- L’opera si presta sotto il sole, la neve, il vento o la pioggia». Gli studiosi si son trovati davanti
un reperto originale del XIX secolo su flessibilità e lavoro interinale nel Nuovo continente. «Oggi guardiamo al passato non per riaprire ferite ma perché sia detta tutta la verità e il prezzo pagato da quegli schiavi afro americani non sia dimenticato - spiega John Lewis, il deputato democratico della Georgia che ha presieduto la commissione - La schiavitù è una parte della storia della nostra nazione di cui non siamo fieri. Questo non vuol dire che possiamo chiudere gli occhi e far finta di niente». A Capitol Hill ora vogliono allestire una mostra e il reverendo Jesse Jackson ha proposto di chiamare la sala d’ingresso per i visitatori Emancipation Hall.
La storia della schiavitù negli Stati Uniti inizia nel 1619 con i primi coloni inglesi che si stabiliscono in Virginia e finisce nel 1865 con l’approvazione del 13mo emendamento della Costituzione. Circa dodici milioni di africani vengono trascinati prigionieri nelle Americhe tra il XVII e il XIX secolo. Di questi poco più di mezzo milione negli Stati Uniti. Le schiave erano regolarmente messe incinte dai padroni e i figli ereditavano dalla madre lo status di schiavi. I dati del Census contano nel 1860 una popolazione di quattro milioni di schiavi.
Benjamin Franklin, uno dei padri della patria, quello che sorride sui biglietti da cento dollari, aveva due schiavi come servitori personali: George e King. Il suo giornale, la Pennsylvania Gazette, negli annunci economici aveva un’intera sezione dedicata al commercio di schiavi. Franklin ha più volte occasione di affermare e scrivere che i neri sono una razza inferiore e non possono essere educati. Il colpo di fulmine nel 1763 quando visita una scuola e scopre che basta farli seguire da una maestra e i bambini neri imparano subito a leggere e a scrivere.
Nel 1785, appena tornato dalla Francia, si aggrega a un movimento abolizionista fondato dai quaccheri. E in breve diventa presidente della Società per la promozione dell’abolizione della schiavitù e il sollievo dei negri illegalmente tenuti in catene. Proclama George e King uomini liberi e loro per gratitudine restano al suo servizio.
Poche settimane dopo gli attacchi dell’11 settembre l’ex presidente Bill Clinton dichiarava: «Gli Stati Uniti sono nati come una nazione che praticava la schiavitù. E gli schiavi molto spesso erano ammazzati anche quando erano innocenti. Tanti in questo Paese hanno guardato dall’altra parte quando un gran numero di nativi è stato privato delle sue terre, delle sue ricchezze e ucciso. Forse perché pensavano che valessero meno degli altri esseri umani. È un prezzo che stiamo pagando ancora oggi»
Cicatrici mai sanate, pregiudizi inconfessabili che ancora fanno parte della moderna società americana nonostante un nero per la prima volta stia conducendo una campagna elettorale per la Casa Bianca che non è un mero atto di testimonianza.