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Gaza, territorio fantasma per i media israeliani

di Benjamin Barthe - 13/11/2007




Gerusalemme – Per i giornalisti israeliani, la striscia di Gaza non è mai stata un territorio così lontano. Che essi siano ebrei o arabi, da un anno l’esercito israeliano gli impedisce di entrarvi, per ragioni di "sicurezza". La manciata di coraggiosi che, nonostante l’Intifada e l’anarchia locale, continuano ad attraversare il passaggio di Erez, porta di ingresso della striscia costiera palestinese, sono oramai sospesi sul "campo". Il provvedimento riguarda anche una cinquantina di corrispondenti dei media stranieri che hanno allo stesso modo la nazionalità israeliana.
 
Gaza, dichiarata "entità ostile" dallo Stato ebraico, è divenuta un’entità fantasma. "Nel novembre 2006, quando l’esercito mi ha respinto per la prima volta, il portavoce chiamava in causa il rischio di rapimenti", spiega il giornalista Gideon Levy, che firma ogni settimana, sul quotidiano Haaretz, un reportage da "pugno nello stomaco" sulla vita nei territori occupati. "Questo provvedimento, che doveva essere temporaneo, sta per divenire permanente. E la cosa peggiore è che la categoria non si è ribellata", aggiunge.

Il sindacato dei giornalisti israeliani, infatti, non trova niente da ridire su questo embargo mediatico. "nella fase attuale, i giornalisti devono obbedire alle forze di sicurezza, assicura Yossi Barmucha, un responsabile del sindacato. Se lancio una campagna di protesta a nome della libertà di stampa e poi, nei giorni successivi, un collega viene rapito a Gaza, vi immaginate la mia situazione?"

Anche Shlomi Eldar, reporter d’assalto della catena tv 10, si rifiuta di criticare l’esercito. "Disapprovo questa decisione, ma la posso comprendere", dice. Dal mio primo reportage a Gaza, nel 1991, mi sono sempre sentito sicuro. I soli problemi che ho incontrato sono venuti, del resto, dall’esercito, che nel 2003 ha ferito con una pallottola il mio cameraman. Ma, oggi, la situazione è molto più complessa. C’è il balagan (caos), come si dice da noi. Tra Fatah, Hamas, Jihad islamica e bande armate fino ai denti, non è irragionevole immaginare che un israeliano possa farsi rapire".

Gideon Levy, franco-tiratore riconosciuto della stampa israeliana, è di parere assolutamente contrario. Ritiene che la presa del potere da parte del Movimento della resistenza islamica (Hamas), a giugno, abbia obbligato le bande che seminavano il caos a rientrare nei ranghi e che, per questo, i rischi sono ben minori che in primavera. Come Shlomi Eldar, deve all’esercito israeliano il solo momento veramente pericoloso della sua carriera: quando un proiettile ha attraversato il parabrezza della sua automobile a Tulqarem, in Cisgiordania, nel 2003. "Nessuno mi ha impedito di andare a seguire la guerra a Sarajevo perché c’erano dei rischi, dice. Ci sono dei pericoli a Gaza, è evidente, ma questo fa parte del nostro lavoro. E del resto, entrare lì, noi firmiamo sempre una dichiarazione che esonera l’esercito da ogni responsabilità".

Secondo Gideon Levy, il veto dell’esercito israeliano, immutato da un anno, rivela una censura travestita. "Questa decisione fa gli interessi dei generali, del governo, dei padroni dei giornali e anche dei lettori, che non hanno alcuna voglia di sentir parlare della miseria che ragna a Gaza", afferma.

Suleiman Al-Shafi, giornalista per la rete 2, condivide questo punto di vista. "Conosco ogni pietra di Gaza, dove mi sento assolutamente sicuro. L'esercito cerca di controllare i media per far passare meglio la "sua" verità", stima.

Da parte sua, Amira Hass, l'altra esperta di affari palestinesi del quotidiano Haaretz, attribuisce il blocco all’atteggiamento dei media in generale. Dall’inizio dell'Intifada, nel 2000, ha avuto bisogno delle telefonate dei suoi superiori allo stato maggiore per avere il diritto di attraversare il check.point di Erez. Un sostegno che oggi le manca. "Il problema ha meno a che fare con gli ordini dell’esercito che con che con la mancanza di volontà da parte dei media di opporsi e coprire la realtà di Gaza, afferma. Si comportano come se questo territorio non esistesse, come se, dopo il disimpegno (israeliano del 2005), l'occupazione fosse scomparsa".

I reporter israeliani coprono dunque Gaza a distanza: per telefono, con l’aiuto dei pezzi d’agenzia e grazie alle immagini inviate dai loro collaboratori palestinesi. Una mancanza che li frustra tanto più che, tra il colpo di forza di Hamas e il blocco economico imposto da Israele, la situazione sul posto non è mai stata così critica. "Hamas è sul punto di creare uno Stato, uno Stato senza senso che va secondo i piani dell’esercito, intenzionato a dividere Gaza dalla Cisgiordania, e noi siamo incapaci di raccontare questa storia", sospira Amira Hass.

Se Israele, come ha accennato il ministro della Difesa Ehoud Barak, porta avanti la sua minaccia di un’offensiva a Gaza, la stampa israeliana rischia di mancare un’altra storia. O quasi: i soli testimoni saranno i corrispondenti militari "embedded" (a bordo) dei mezzi blindati dell’esercito.

(Traduzione di Carlo M. Miele)
di Le Monde