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La grande evasione di Tronchetti. Il Fisco contesta alla Telecom di avere eluso 5 miliardi

di di Emiliano Fittipaldi, Peter Gomez e Vittorio Malagutti - 13/11/2007

 

 
Il Fisco contesta alla Telecom di avere eluso 5 miliardi. Nel mirino l'acquisto di Blu, la fusione con Olivetti e i trucchi Iva con la controllata Sparkle. Sotto accusa la gestione di Tronchetti. E ora la compagnia telefonica rischia di dover pagare multe da record
 
Marco Tronchetti Provera
La marcia di avvicinamento è durata quasi due anni. Tra negoziati segreti, battaglie in Borsa, polemiche, fughe di notizie pilotate e, per finire, una lunga e quanto mai incerta vertenza all'Antitrust brasiliana. Ma dopo tanta fatica Cesar Alierta ha avuto appena il tempo di brindare. Sulla scrivania del gran capo di Telefonica, entrato pochi giorni fa nel club dei soci di comando di Telecom Italia, adesso si accumulano le grane. C'è la vecchia questione degli spioni della security, che potrebbe portare a sanzioni amministrative contro l'azienda. E soprattutto c'è il fisco. Da almeno sei mesi l'ex monopolista telefonico è entrato nel mirino della Guardia di Finanza e dell'Agenzia delle entrate. Nelle scorse settimane, come 'L'espresso' è in grado di rivelare, la multinazionale si è vista notificare verbali di constatazione e atti di accertamento nei quali si ipotizza un'elusione fiscale che potrebbe superare i 5 miliardi di euro. Inoltre la Telecom Sparkle, una controllata che vende servizi telefonici internazionali, è finita al centro di un'indagine per il mancato pagamento di Iva per 180 milioni di euro.

Il procedimento tributario nella fase più avanzata è quello che riguarda la fusione di Blu in Tim. Nel 2002 l'azienda di telefonini controllata da Telecom assorbì, dopo averla acquistato, il concorrente affossato dalle perdite. Un'operazione che ai tempi fruttò un risparmio fiscale, in termini di minori imposte pagate, per 465 milioni. E che ora, a cinque anni di distanza, ha spinto l'Agenzia delle entrate a notificare un atto di accertamento che, in teoria, potrebbe costare una multa di oltre un miliardo all'azienda di telecomunicazioni. È invece ancora in una fase preliminare l'inchiesta sul complesso riassetto della catena di controllo del gruppo che nel 2003 si concluse con la fusione tra Olivetti e la controllata Telecom Italia. Le Fiamme Gialle, dopo una verifica durata mesi, ipotizzano una presunta elusione superiore ai 4 miliardi di euro. Di fronte alle contestazioni del Fisco è prevedibile che la compagnia telefonica ingaggi una battaglia a suon di ricorsi e perizie difensive.

Per il momento però le grane restano, scomoda eredità della gestione targata Marco Tronchetti Provera. Ma vediamo quali sono le mine fiscali che dovrà affrontare la nuova compagine di controllo riunita nella finanziaria Telco, la holding di cui sono azionisti Telefonica insieme a Benetton e alla cordata Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo.

Tim si tuffa nel Blu

La scoperta della maxi elusione fiscale nella fusione tra Tim e Blu, secondo quello che ha potuto accertare 'L'espresso', inizia quasi per caso. Il dossier si apre nel caldissimo luglio del 2004. Giulio Tremonti si è appena dimesso dal dicastero dell'Economia, il 16 Domenico Siniscalco ha preso il suo posto sulla poltrona di via XX Settembre. A capo dell'Agenzia delle Entrate ci sono due fedelissimi di Tremonti, Raffaele Ferrara e Marco Di Capua. In quei giorni a Milano si lavora su un'ipotesi di mega truffa fiscale messa a segno da Bell, la società lussemburghese del finanziere Emilio Gnutti che nel 2001 cedette a Marco Tronchetti Provera il pacchetto di controllo della Telecom. Un'operazione in cui fu tentato un blitz elusivo, come si legge nell'atto di accertamento inviato agli indagati lo scorso luglio, da 600 milioni di euro.

Nell'estate 2004, dopo il siluramento del professore di Sondrio, una squadra di verificatori dell'Agenzia romana si vede dunque recapitare in ufficio un fascicolo su Blu, la vecchia compagnia fatta a pezzi e dismessa un anno e mezzo prima. Il dossier prevede un controllo di routine su una richiesta di rimborso Iva. Il cuore del 'quarto gestore telefonico' ha smesso di battere a fine 2002, quando i soci di maggioranza (Benetton, Eni e British Telecom) strozzati da stratosferici buchi in bilancio decidono di smembrare gli asset e venderli sul mercato. L'Agenzia inizia le verifiche sugli esercizi del 2000 e del 2002, ma poi estende la lente d'ingrandimento su Tim. Perché se Omnitel (oggi Vodafone), Wind e H3G si spartiscono clienti e frequenze, la società leader della telefonia mobile ha incorporato, dopo un lungo iter che coinvolge la Commissione Ue e l'Antitrust, l'intero capitale sociale di Blu. Studiando il dossier, l'attenzione degli investigatori si sposta proprio sull'operazione e sui risvolti fiscali che ne derivano. Il rimborso Iva è approvato in cavalleria, mentre viene pian piano alla luce il contenuto del vaso di Pandora: un'elusione miliardaria. Secondo l'Agenzia, Tim avrebbe infatti sfruttato illegalmente le perdite accumulate da Blu negli anni precedenti, un rosso di 857 milioni di euro, per pagare meno tasse. Un mare (Blu) di tasse in meno. Nel primo verbale (26 gennaio 2006) i rilievi contestano un'evasione di 465 milioni: l'imponibile non dichiarato sfiora il miliardo e 300 milioni di euro. L'avviso di accertamento arrivato in queste ore sulla scrivania dei legali Telecom ingloba sanzioni e interessi: la multa è ora lievitata a oltre un miliardo. Una delle sanzioni più pesanti mai commutate a una società italiana.
L'operazione è complessa, e la battaglia è senza esclusione di colpi. Tim avrebbe infatti abusato delle perdite di Blu anche perché 'coperta' da una prima autorizzazione dell'agenzia regionale del Piemonte. In casi di fusione, la società incorporante ha infatti il diritto di chiedere al fisco un 'interpello antielusivo', in pratica la disapplicazione delle norme che vietano l'utilizzo dei passivi portati in dote dall'impresa acquistata. Un permesso che per legge viene concesso solo se la concentrazione garantisce sinergie strategiche e lo sviluppo delle attività economiche del compratore. Tim giura e autocertifica che Blu è un soggetto attivo, vivo, fondamentale per il rilancio infrastrutturale. L'Agenzia regionale gli dà credito e l'ok all'istanza arriva nel marzo del 2003. Ma durante i controlli iniziati nel marzo 2005 i verificatori si accorgono - questa l'accusa dell'Agenzia - di essere stati presi in giro. Spulciando le carte, intervistando a sorpresa i dipendenti, facendo accessi negli uffici dei responsabili fiscali scoprono che Tim ha in realtà comprato un soggetto 'morto'. Una scatola vuota senza attività di rilievo. Il Fisco nega ogni possibile sinergia, visto che il core business è stato smembrato e tutti gli asset venduti agli altri concorrenti. Tim avrebbe in pratica messo in piedi, come si dice in gergo, una gigantesca 'bara fiscale'. Una frode elusiva da mezzo miliardo. Telecom nega le imputazioni con tutte le sue forze, quasi sdegnata: è talmente sicura di vincere la battaglia che, come si legge nel bilancio 2006 (nota 24), "con il conforto di autorevoli pareri" non ritiene di effettuare accantonamenti per il fondo rischi. Telecom crede che di fronte agli addebiti "la società possa validamente opporsi in tutte le sedi amministrative, e se del caso giurisdizionali".

Si vedrà. Di certo uno dei documenti chiave della partita è quello con cui il 26 settembre del 2002 l'Antitrust di Giuseppe Tesauro diede il via libera all'incorporazione, "previo trasferimento" si legge nel parere vincolante "di separati rami d'azienda posseduti da Blu ad Omnitel, H3G e Wind, e previa rinuncia da parte di Blu alla licenza mobile ed ogni altra autorizzazione relativa a servizi di telecomunicazione di cui la stessa sia titolare". Secondo l'Agenzia l'atto prova che la concentrazione è avvenuta proprio perché Blu era stata di fatto azzerata. In realtà nel passaggio delle quote qualche struttura è sopravvissuta: 600 trasmettitori installati, alcuni sistemi informativi, un call center a Calenzano, vicino Firenze, e 739 dipendenti, di cui 150 lavorano nella sede toscana. Elementi, sospetta l'Agenzia, che non portano alcun valore aggiunto a Tim, ma conservati solo per aggirare la norma antielusione e per respingere, in seguito, l'eventuale accusa di tomba fiscale.
Ora Telecom ha 60 giorni per scegliere se aderire o andare allo scontro finale davanti al giudice. Una decisione che peserà direttamente sulle casse dell'azienda: se il 'patteggiamento' prevede l'eliminazione di alcune sanzioni e il pagamento in forma ridotta della multa, la sentenza negativa di un tribunale potrebbe accollare a Telecom per intero penali e interessi. D'altro canto le possibilità di averla vinta non sembrano remote. Le statistiche più aggiornate evidenziano che l'anno scorso l'Erario ha prevalso solo nel 30 per cento dei contenziosi promossi davanti alle commissioni tributarie provinciali.

Sparkle scivola sull'Iva
La Guardia di Finanza ha ricostruito una complessa operazione che ha consentito a Telecom Sparkle di ottenere crediti Iva per circa 180 milioni. Questa società romana, posseduta al 100 per cento dalla holding quotata in Borsa, gestisce servizi voce, dati e Internet a livello internazionale con ricavi per circa 2,3 miliardi nel 2006. In pratica, Telecom Sparkle vende traffico telefonico ad altre compagnie di telecomunicazioni e ad aziende multinazionali. L'elenco dei clienti comprende anche due società finlandesi che l'anno scorso hanno firmato un contratto da un miliardo per trasferire dati da Parigi verso Roma. È un servizio internazionale, quindi esente da Iva. Per raggiungere i destinatari finali, però, Telecom Sparkle si serve di intermediari a cui gira lo stesso traffico pagando 900 milioni. Una somma a cui va aggiunta, questa volta, l'Iva per 180 milioni. Gli intermediari in questione sarebbero un paio di piccole società romane. Grazie al loro intervento l'azienda del gruppo Telecom ottiene un credito Iva pari, appunto, a 180 milioni. Questo credito viene in parte ceduto alla holding quotata in Borsa, che lo usa per tagliare la propria Iva a debito.
Tutto regolare? Gli investigatori sospettano che l'intervento degli intermediari sia servito soltanto per creare una posta fiscale attiva. E quindi per pagare meno tasse. Adesso però c'è il rischio concreto che quella complessa operazione si trasformi in un boomerang. Tra pagamento dell'imposta evasa, multa e interessi il conto finale a carico della compagnia potrebbe toccare i 600 milioni di euro. I tecnici dell'Agenzia delle entrate sono già al lavoro sulla vicenda e nei prossimi mesi potrebbero tirare le somme dell'indagine.

Meno tasse per Olivetti
Il verbale della Guardia di Finanza è stato notificato a Telecom in ottobre ed è già arrivato anche sui tavoli degli ispettori dell'Agenzia delle entrate. Le Fiamme Gialle sono tornate ad esaminare i risvolti fiscali del riassetto che nel 2003 portò all'accorciamento della catena di controllo del gruppo telefonico all'epoca presieduto da Tronchetti Provera. In sostanza, mentre in cima alla piramide Pirelli & C si fondeva con Pirelli spa, ai piani inferiori Olivetti, dopo aver lanciato un'offerta pubblica d'acquisto in Borsa, assorbì Telecom Italia, di cui già possedeva il 55 per cento circa. A giochi fatti, la controllante prese le insegne della controllata: via Olivetti rimase solo Telecom Italia.

All'epoca l'operazione venne criticata da molti investitori perchè, tra l'altro, aveva l'effetto immediato di aumentare sensibilmente l'indebitamento già elevato del gruppo. Tutte critiche respinte al mittente dal presidente Tronchetti che nei suoi incontri con gli analisti finanziari segnalò tra i vantaggi più rilevanti del riassetto un risparmio fiscale di circa 4 miliardi di euro.

Una traccia concreta di queste ricadute positive emerge dal bilancio 2003 di Telecom Italia. In quell'anno il gruppo riuscì a dare un taglio netto alle tasse grazie, come recita la nota integrativa dei conti consolidati, "all'iscrizione di 1.266 milioni di imposte differite attive (....) a seguito della svalutazione, ai soli fini fiscali, di azioni della società incorporata (Telecom Italia, ndr) e divenute recuperabili grazie alla fusione tra le due società". Traduzione: il riassetto fruttò, da subito, un guadagno di 1,2 miliardi. La manovra partiva da lontano. Già nel 2002, quindi un anno prima di varare la fusione con Telecom Italia, la holding Olivetti aveva svalutato la sua partecipazione nel gruppo telefonico per oltre 8 miliardi. Una svalutazione, recita il bilancio dell'epoca, che serviva esclusivamente a 'usufruire di benefici fiscali altrimenti non ottenibili'.

Le esatte contestazioni avanzate dalla Guardia di Finanza nella sua indagine sono coperte dal riserbo più assoluto. È certo però che gli investigatori si sono convinti che dietro quel complesso gioco societario si nasconda una maxi elusione fiscale. Se hanno ragione loro l'avventura della nuova Telecom italo-spagnola rischia di trasformarsi in una corrida.