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A proposito di migranti: “la Repubblica” e il concetto di straniero

di Carlo Gambescia - 14/11/2007

 

Ieri la Repubblica ha dedicato il “Diario” alla figura dello straniero. Invitiamo vivamente i lettori a leggere le analisi di Gustavo Zagrebelsky, Tahar Ben Jelloun e l’intervista di Fabio Gambaro a Emmanuel Todd.
Chi ci legge si chiederà perché siamo divenuti così buoni… Per una semplicissima ragione: conoscere il nemico. Dai tre articoli, infatti, emerge un’ unica posizione, molto superficiale: quella dell’accoglienza aperta a tutti, sulla base di tre criteri: i diritti universali dell’uomo (Zagrebelsky); lo stato di necessità, che prima o poi potrebbe riguardare tutti noi (Tahar Ben Jelloun); la lezione della storia, che sarebbe appunto segnata da migrazioni di massa (Emmanuel Todd).
Ammettiamo subito che la disposizione mentale dei tre articolisti è quella giusta. Perché priva di pregiudizi etnocentrici nei riguardi dello “straniero”. Probabilmente la posizione meno “aperta” - ma si fa per dire - è quella di Todd. Il quale dice sì all’immigrazione, ma recependola in termini di assimilazione: “Dobbiamo comprendere i loro costumi, ma aiutandoli a far sì che i loro figli siano come i nostri”. Aggiungiamo pure che i tre studiosi pare accettino il collegamento tra accoglienza e necessità del welfare state.
Dunque, fin qui tutto bene. Tuttavia, quel che stupisce è la non menzione del necessario e non virtuoso collegamento tra il declino del welfare state e lo sviluppo della globalizzazione. E la conseguente crescita dei flussi migratori a causa di quest'ultima.
Sembra quasi, a cominciare da Zagrebelsky, che oggi non si viva in un sistema capitalistico, segnato da alti e bassi economici, e perciò, di regola, destinato ad essere ciclicamente distinto da conseguenti conflitti sociali. Contrasti, come hanno mostrato i “Trenta Gloriosi” (1945-1975), che possono essere disinnescati solamente con l’estensione del welfare state a tutti. Il che richiede forti investimenti sociali e crescita di quella spesa pubblica, che invece oggi si tende a tenere sotto controllo. Puntando sulla precarizzazione e sul basso costo sociale del lavoro, per favorire appunto una migliore competizione globale fra imprese transnazionali, sempre più prive di scrupoli sociali, a causa di un specie di gara emulativa al perseguimento dei peggiori "spiriti animali"
Si ha perciò l’impressione che certa sinistra laica, illuminata e politicamente democratica (ben impersonata da intellettuali come Zagrebelsky), sempre pronta a bacchettare, e giustamente, qualsiasi “rigurgito” razzista e fascista, si guardi invece bene dal criticare il reale (e ingiusto) funzionamento del sistema economico. Finendo così per fare il gioco di un capitalismo al quale oggi serve solo manodopera straniera a basso prezzo, di cui liberarsi facilmente, domani, quando non occorrerà più.
Il vero punto della questione è che il capitalismo, pur corretto dal welfare, rischia di essere storicamente, proprio perché geneticamente segnato da alti e bassi economici, il peggior sistema per accogliere, e bene, i migranti. Soprattutto - e dispiace dirlo - se di condizione culturale e religiosa differente. Dal momento che nelle fasi di crisi il richiamo identitario dei vari gruppi sociali, rischia di farsi irresistibile, trasformando così il conflitto economico in conflitto culturale e religioso. Inoltre, per dare buoni risultati, l’assimilazione, proposta da Todd, richiederebbe, l’estensione dei diritti sociali a tutti i migranti. Il che, come abbiamo visto, implica una crescita della spesa sociale, che il capitalismo attuale rifiuta fermamente.
Pertanto la questione dei flussi migratori riguarda un’economia capitalistica, che così com’è non potrà mai gestire l’accoglienza, se non in termini di sfruttamento sociale ed economico del migrante. E di una sempre possibile guerra civile interna, tra gruppi identitari opposti.
A meno che il richiamo del crescente ”odio” verso il capitale non riesca, in un quadro mondiale di crescente malessere sociale, a mettere insieme le varie identità, in termini di unità degli “sfruttati” contro gli “sfruttatori”. Ma sempre di "guerra sociale" si tratterebbe...
Come evitare tutto questo? Difficile dire. Una decrescita autocentrata, anche concordata con le grandi imprese (cosa non facile, anche solo per l’Europa), implicherebbe comunque un controllo dei flussi migratori, per rapportarli, alla produttività e ai consumi ridotti del sistema. Nonché una sicura scomposizione dell'ordine economico internazionale in aree geopolitiche. E di qui anche possibili altri conflitti…
Questo per dire, in conclusione, quanto siano superficiali le ricette degli “esperti” di Repubblica. E sicuramente anche pericolose, perché si ignora, o ancora peggio, si fa finta di ignorare la realtà economica. Facendo così il gioco dei più forti.