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Inquinamento, all'arrembaggio dei mari

di Marinella Correggia - 14/11/2007

 

 

Non molte settimane fa un rapporto di scienziati commissionato da Greenpeace descriveva il tempestoso stato dei mari, assediati (oltre che dai cambiamenti climatici e dall'eccessivo prelievo di creature marine fra l'altro intrise di sostanze organiche inquinanti persistenti: Pop, persistant organic pollutants), da inquinamenti di varia fonte: scarichi industriali e agricoli, fogne, incidenti vari, uso degli oceani come discariche di sostanze tossiche, fughe radioattive, e ovviamente lo scandalo delle petroliere-carrette alle quali basta un nonnulla per far finire in acqua migliaia di tonnellate di petrolio e altri combustibili fossili, e che routinariamente puliscono in mare gli enormi serbatoi. Anni e anni dopo un evento, le zone marine e costiere circostanti sono ancora contaminate.
Non per niente, in Russia si parla di «disastro ambientale» per definire quel che è successo domenica scorsa, quando una piccola nave petroliera russa, la Valganeft-139, nata nel lontano 1978, colpita da una tempesta, ha rovesciato in mare 2.000 tonnellate di olio combustibile. Intanto nel mar Nero e nel mare di Azov la stessa tempesta ha regalato allo stretto di Kerch, fuori dal porto di Kavkaz, 2.000 tonnellate di zolfo contenute in tre altre carrette. I responsabili dell'agenzia ambientale russa Rosprirodnadzor hanno dichiarato che l'olio combustibile, pesante, si sta adagiando sul letto del mare, il che significa che «ci vorranno anni per bonificare l'area», fuori dal porto ucraino di Kerch. L'area si trova al centro della rotta migratoria di diversi uccelli marini dalla Siberia centrale al mar Nero, e siamo in pieno picco della stagione migratoria. Il fatto che lo sversamento si sia verificato vicino alla costa lo rende particolarmente disastroso. Uccelli e mammiferi ingeriscono il veleno cercando di pulirsi, mentre i pesci lo assorbono per contatto diretto, per non dire dei danni futuri, soprattutto attraverso la bioaccumulazione nella catena alimentare dal momento che nei predatori (anche umani) si sommano le dosi di veleno presenti nei pesci mangiati.
Sempre in questi giorni, riferisce l'agenzia France Presse, gli ambientalisti australiani hanno denunciato il piano di una compagnia australiana, la Ocean Nourishment Corp di Sidney: scaricare nel mar Sulu, a sud delle Filippine, centinaia di tonnellate di fertilizzanti - urea rocca di azoto - come parte di un esperimento per combattere i cambiamenti climatici. Greenpeace e altri gruppi hanno chiesto al governo filippino di bloccare l'esperimento, conosciuto come «fertilizzazione dell'oceano»: «È solo un modo irresponsabile distogliere l'attenzione dalle reali soluzioni all'effetto serra» hanno dichiarato. Una tonnellata di fertilizzante è già stata scaricata. Secondo la compagnia, l'urea stimola la crescita di fitoplacton nel mare e potrebbe così assorbire grandi quantità di anidride carbonica, il principale gas serra; come effetto collaterale, l'aumento del fitoplacton darebbe più cibo agli stock ittici. Ma l'Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, Ipcc), l'organismo scientifico dell'Onu premio Nobel per la pace 2007, ha già dichiarato che l'effetto della fertilizzazione degli oceani rimane in gran parte ipotetico e che occorre valutare i molti effetti ambientali che ne possono derivare. Il mar Sulu, fra Palawan e Mindanao, è inserito nel parco marino Tubbataha Reef dell'Unesco.
Pochi mesi fa sempre le Filippine sono state interessate da un inquinamento marino da petrolio molto grave: la petroliera Solar I (nome davvero poco adatto) è naufragata in acque profonde trascinando con sé 1.800 tonnellate di petrolio, distruggendo miglia di un'area corallina e danneggiando 1.000 ettari di riserva marina. È stato il peggior incidente del genere che abbia colpito le acque del paese. Impressionanti le immagini degli alberi di mangrovie neri come la pece. E impressionante il fatto che 25 mila persone abbiano dovuto allontanarsi dalle loro abitazioni sulla costa.