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I frammenti di Ammonio Sacca

di Traduzione di Francesco Lamendola - 15/11/2007

IN NEMESIO, PRISCIANO, IEROCLE

 

Traduzione dal latino di Francesco Lamendola

N. B. Questa è la prima traduzione in lingua italiana dei frammenti di Nemesio, Prisciano e Ierocle relativi all'insegnamento del filosofo neoplatonico Ammonio Sacca (nato nel 175 e morto nel 242 d. C.), colui che è considerato il fondatore del neoplatonismo e che ebbe fra i suoi discepoli lo stesso Plotino, l'autore delle "Enneadi".

Riportiamo dalla "Enciclopedia Garzanti di Filosofia": "Affidò la sua dottrina esclusivamente all'insegnamento orale; insegnò ad Atene ed ebbe come discepoli Plotino, Cassio Longino e Origene (che non va confuso con l'omonimo scrittore cristiano). Il suo pensiero, in cui confluirono i contributi più stimolanti delle filosofie anteriori (Platone in primo luogo, e poi Aristotele) seguiva un'ispirazione mistico-religiosa; perciò fu detto 'l'istruito da Dio'".

Quel che i testi di filosofia occidentali generalmente non dicono è che Ammonio, imbevuto di cultura asiatica e particolarmente indiana, costituisce un esemplare anello di congiunzione fra il sapere d'Oriente e quello d'Occidente; anzi non è affatto escluso che "Sacca" stia per "Sakya", indicando in lui un membro dello stesso clan cui era appartenuto anche Gotama Buddha.

La presente traduzione di F. Lamendola è stata eseguita non sugli originali greci ma su una versione latina di Nemesio dello studioso Alfano, vissuto nel XII secolo; su una traduzione anonima di Prisciano del VI o VII secolo; e su unat raduzione di Ierocle da Fozio, eseguita da Gyraldus nel XVII secolo. Si tratta della prima versione di tali testi mai fatta nella nostra lingua.

 

 

 

a)    NEMESIO

 

 

(Fonte originale (greca). La natura dell'uomo. Traduzione latina di Alfano, XII secolo).

 

Fragmentum I.

 

In realtà, se si dicesse che contro queste idee devono essere avanzate tutte le obiezioni (possibili), sarebbe necessario fare un (lungo) discorso. Ma in generale, contro coloro i quali sostengono che l'anima è un corpo, bastino le cose dette da Ammonio, maestro di Plotino e di Numinio il pitagorico. Ma eccole: "I corpi, per propria natura, possono cambiare e trasformarsi ed essere divisi in parti più piccole e distrutti completamente, e a nessuno, che permanga in se stesso indissolubile, manca qualche cosa che costituisca o trasporti  o, per così dire, racchiuda e contenga ciò che chiamiamo anima.

Se allora l'anima è un corpo, sebbene sottilissimo, che cosa mai sarà ciò che esso contiene? Infatti è stato dimostrato che ogni corpo è privo di contenuto e così pure del dissimile, finché giungiamo a postulare l'esistenza di un'essenza incorporea. Poiché se si dicesse, come fanno gli stoici, che l'anima è un vigoroso movimento intorno ai corpi, che si svolge verso l'interno e verso l'esterno: che quando si produce verso l'esterno determina le qualità e le quantità, quando invece verso l'interno determina l'unione e le essenze, si deve chiedere loro, poichéo gni moto si origina da qualche forza, quale forza sia quella da cui ha origine l'anima, e in che cosa consista.

Se dunque la forza è una qualche materia, parimenti torniamo a domandarne la causa. Poiché se non è materia, ma solo "qualche cosa di materiale", certamente sarà un'altra cosa, questo qualcosa, rispetto  alla materia. D'altra parte, ciò che partecipa della materia è detto materiato. Che cosa sarà allora ciò che partecipa della materia: forse un'identica cosa della materia, oppure un qualcosa di immateriale? Perché se non è materia, sarà per forza immateriale. Se dunque immateriale, allora non è un corpo: infatti ogni corpo è materiale.  Poiché se si dicesse che i corpi hanno tre dimensioni, e l'anima fosse dunque diffusa per tutto il corpo nelle tre dimensioni e che, perciò, farebbe tutt'uno col corpo, risponderemo che ciascun corpo è rappresentabile secondo tre dimensioni, ma che non tutto ciò che si estende in tre dimensioni è un corpo. E infatti la posizione e la qualità, esistenze incorporee in se stesse, in quanto accidenti si possono quantificare e descrivere  quantitativamente. Similmente l'anima,  di per se stessa, si presenta priva di dimensioni, ma secondo l'accidente (unita, cioè, ad un corpo) in cui è esistente nelle tre dimensioni, sarà scorta essa stessa nelle tre dimensioni. Di più: ciascun corpo, se è mosso da un agente esterno, sarà inanimato, Se, al contrario, è mosso da un agente interno, vuol dire che è inanimato. Ma è contraddittorio affermare che l'anima è sia animata sia inanimata. Dunque l'anima non è un corpo. Di più: se l'anima viene nutrita, viene nutrita in maniera immateriale: e infatti la nutre il sapere. Ma nessun corpo viene nutrito in maniera incorporea. Dunque, l'anima non è un corpo: Senocrate giunse a questa conclusione. Se poi non viene nutrita al modo in cui viene nutrito ogni corpo animale, vuol dire che l'anima, appunto, non è un corpo.

E queste cose siano dette in generale contro coloro che identificano l'anima con il corpo (AMMONIO, in NEMESIO, De natura hominis, traduzione latina di Alfano, c. 2, 7-15).

 

 

Fragmentum II.

 

Ora rispondiamo alla domanda in che modo si realizzi l'unione dell'anima e del corpo inanimato. La soluzione a questo interrogativo è cosa difficile. Ma se l'uomo consiste non solo di anima e di corpo, ma anche dell'intelletto, sarà ancora più difficile.

Infatti, nell'esistenza, tutte le cose armoniose si uniscono completamente in un'unica sostanza. Senza dubbio tutte le cose sono soggette al cambiamento e non permangono, com'erano prima, nei singoli elementi che le formavano. Poiché da quando sono state unite, divengono altro da ciò che erano state prima. In che modo, allora, il corpo unito all'anima continua ad essere il medesimo corpo; oppure in che modo l'anima, esistente e sostanziale in se stessa, viene unita al corpo e diventa parte di un essere vivente, conservando però la propria essenza imperturbata e incorrotta? Infatti è necessario o che si uniscano l'anima e il corpo, trasformandosi e corrompendosi entrambi gli elementi, o che si uniscano a causa delle predette discordanze, collocandosi poi come parti estese in una superficie, o come parti misurabili sottoposte a una misura: ovvero mescolandosi come il vino nell'acqua. Ma che l'anima non possa trovare luogo nel corpo, è stato già dimostrato nel discorso sull'anima. Infatti se l'anima fosse a contatto con il corpo, sarebbe animata solo quella parte del corpo che si trovasse più vicina all'anima, mentre la parte che non fosse a contatto con l'anima risulterebbe inanimata: il che è assurdo. Quindi non si può dire che l'anima è unita al corpo per contatto, come si possono unire il legno, il ferro e così via.

(Resta da vedere se sia possibile l'unione per miscela). Ma la miscela di vino e acqua corrompe l'uno e l'altra. Nella miscela, infatti, l'acqua non è più acqua pura né il vino è più puro vino. E una tale miscela di elementi diversi presenta un gravissimo inconveniente a causa della sottigliezza dei legami. Appare evidente, infatti, che i componenti (come l'acqua e il vino), a loro volta, si possono - volendo - separare. Per esempio, una spugna inzuppata nell'olio manda fuori acqua pura, proprio come fa il papiro. D'altra parte, separare materialmente in modo perfetto gli elementi di un composto è del tutto impossibile. Se, dunque, l'uomo non è né unione sostanziale del corpo con l'anima, né contrasto, né miscela con essa, per qual motivo si dice che l'uomo è un essere vivente? Platone, da parete sua, poiché non ammette discordanza, sostiene che l'essere vivente è formato di anima e di corpo, ma che l'anima si serve del corpo così come il corpo è la veste dell'anima. Ma questa concezione presenta un certo grado di discordanza. In che modo, infatti, l'uomo può essere una unità, se il corpo è la veste dell'anima? Evidentemente, la veste non è la stessa cosa di ciò che viene vestito. Ammonio, secondo Plotino, in verità risolve la questione nei seguenti termini:

"Gli intelligibili hanno una tal natura, da permettere loro di unirsi alle sostanze che sono sucettibili di riceverli, in modo tale che la loro unione sia così intima da apparire molto simile a quella che si verifica fra due sostanze che, nell'unirsi, si corrompono per dar luogo a una nuova sostanza (nella cosiddetta "unione sostanziale") e, allo stesso tempo, in modo da restare distinti e incorruttibili, sull'esempio di ciò che avviene nell'unione per contatto ("ad adiacentia"). Nell'unione sostanziale che avviene tra due sostanze corporee, gli elementi cambiano natura e si trasformano in un altro corpo: così gli elementi si convertono in sangue, il sangue in carne e nelle altre parti del corpo. Ma quando si tratta di intelligibili, avviene bensì l'unione, ma a questa non segue la trasformazione. Infatti è contro la natura stessa dell'intelligibile il potersi corrompere secondo l'essenza; esso, al contrario, deve o continuare a persistere nella sua natura originaria, oppure precipitare nel nulla e cessare di esistere.

Tuttavia bisogna scartare quest'ultima possibilità, perché altrimenti l'intelligibile non sarebbe un principio immortale. Se perciò l'anima, che è la vita stessa, subisse alterazioni nell'unirsi col corpo, allora sarebbe qualche cosa d'altro né sarebbbe più vita. E allora, che cosa essa darebbe al corpo, se non gli desse la vita? Dunque l'anima, unendosi al corpo, non diventa qualche cosa d'altro, diverso da sé medesima, e non si corrompe."

Una volta chiarito che gli intelligibili non possono soggiacere a mutamenti in quanto alle loro essenze, ne consegue che, nell'unirsi, non possono corrompersi. Dunque l'anima si unisce al corpo senza confondersi con esso. Che si unisca, è provato dalla simpatia che unisce l'anima e il corpo ("compassio"). Essa fa sì che il composto umano si dimostri a se stesso come un solo e identico essere. Che l'anima permanga distinta, poi, dal corpo al quale è unita, si fa evidente nel sonno, nel quale si separa in qualche modo da esso, divenuto simile a un cadavere e, in un certo senso, l'abbandona, conservandogli solo il soffio della vita affinché non perisca del tutto, mentre essa dà prova di rimanere attiva col divinare il futuro e avvicinandosi alle sostanze intelligibili. E la stessa cosa avviene allorquando l'anima in sé considera qualcuna delle sostanze intelligibili. Allora, infatti, come affermano certuni, si separa dal corpo e ritorna in se stessa, per elevarsi fino agli esseri che sono tali per eccellenza. L'anima essendo incorporea, si diffonde dappertutto come le sostanze corruttibili, e al tempo stesso rimane incorrotta e imperturbata e conserva la propria essenza; e, in forza della vita che è in essa, trasforma sostanzialmente la vita degli esseri cui si unisce, mentre essi - al contrario - non possono trasformare la sua.

Come il Sole, infatti, con la sua sola presenza muta l'aria in luce, rendendola luminosa, e la luce si unisce all'aria e vi si diffonde restandone, tuttavia, distinta; allo stesso modo l'anima si unisce al corpo rimanendo, però, in tutto distinta da esso. In una sola cosa l'anima differisce dall'esempio del Sole: che il Sole, essendo un oggetto corporeo e circoscritto nello spazio, non si può trovare dappertutto dove si trova la sua luce, allo stesso modo del fuoco. Il fuoco, infatti, si trova in un luogo ben circoscritto, come nel legno e nella lucerna. L'anima, invece, essendo incorporea e non circoscritta entro un luogo preciso, si diffonde per tutto il corpo con la sua luce, e non resta alcuna parte del corpo da essa illuminata, dove non sia tutta presente. L'anima si unisce al corpo, ma domina il corpo; né si trova nel corpo come in un vaso o in un otre, ma piuttosto il corpo si trova in essa che, per nulla impacciata, rimane presente a se stessa. I corpi, infatti, non possono essere di alcun ostacolo agli intelligibili. Essi si diffondono per tutti i corpi e si radicano e si espandono in modo tale, che ogni luogo del corpo ne è penetrato. Infatti gli intelligibili si trovano in luoghi intelligibili, e cioè o in se stessi, o nelle sostanze intelligibili (poste al di sopra di essi, cioè in Dio), cosicchè l'anima talvolta si trova in se stessa, ad esempio quando ragiona, e talvolta nell'intelligenza assoluta, quando vi perviene con la contemplazione e l'intuizione immediata. Dunque, allorché si dice che l'anima è in un corpo non s'intende affatto dire che vi sia come in un luogo, ma piuttosto che col corpo coesiste ed è presente, alla stessa maniera che si dice Dio essere in noi. E cioè coesiste col corpo ma non corporalmente, né materialmente, né fisicamente, né localmente: ma al pari dell'amante, che è legato alla sua amata in forza di rapporti di affetto e simpatia. Infatti, l'anima essendo una sostanza senza grandezza né volume né parti, non può essere chiusa e circoscritta in una qualsiasi parte dello spazio. In qual luogo, infatti, potrà essere circoscritto ciò che è totalmente privo di parti? Il luogo, per definizione,  esiste inseparabilmente dagli oggetti corporei che contiene. Il luogo è appunto il limite di ciò che contiene, in quanto contiene ciò che è contenuto. Pertanto, se qualcuno dicesse: "Allora la mia anima è ad Alessandria e a Roma e in ogni luogo", direbbe sempre un luogo determinato.  Infatti, sia l'espressione "ad Alessandria" sia, in generale,  le parole "qui"e "là" indicano sempre e solo un luogo preciso. Invece l'anima non si trova affatto in un luogo fisico, ma si deve soltanto dire che si trova in tale o talaltro rapporto di coesistenza con il corpo.

Così, quando un intelligibile si mette in rapporto con un luogo determinato, noi designamo questo rapporto di coesistenza dicendo, abitualmente, che quella sostanza (o l'anima) è in quel certo luogo perché lì essa manifesta il suo agire, ma ciò è detto impropriamente, perché confondiamo il luogo con la sua maniera di essere e con la sua attività. Infatti, quando sarebbe necessario dire: "Questa sostanza intelligibile manifesta la sua attività in quel luogo", diciamo invece, sbrigativamente ed impropriamente: "Essa è lì".

 

 

b)    PRISCIANO

 

 

 

(Traduzione latina anonima del VI-VII secolo circa: Solutiones eorum de quibus dubitant vit. Chosroes, Persarum rex).

 

 

Fragmentum III.

Sull'anima, e specialmente sull'anima umana.

In primo luogo: quale è la natura dell'anima, ed è sempre la stessa in tutti i corpi, o è differente?  E la diversità nelle forme dei corpi di tutti gli esseri viventi si rispecchia in una differenza delle anime; opure, al contrario, è la diversità dell'anima che corrisponde alla diversità dei corpi? Se, infatti, l'anima fosse unica, e specialmente quella umana, sembra che un'unica forma sarebbe prodotta da ciascun genere d'individui; tuttavia ciascun individuo presenta qualche differenza rispetto agli altri, e non vi sono individui perfettamente simili tra loro. È quindi necessario capire quale sia la causa che produce la diversità delle anime. Se, infatti, il corpo modella l'anima, ed è per questo che ciascun'anima differisce dall'altra, ecco che il corpo sembrerebbe dominare sull'anima; se, invece, l'anima modella il corpo e la differenza delle forme procede dalla stessacausa, sarà evidente che è l'anima a modellare il corpo. Ma se poi, a causa di una mescolanza, il corpo e l'anima si modellano reciprocamente, è evidente che la miscela sarà la migliore per entrambi, e resta piuttosto da vedere che genere di miscela sia e in quale maniera si mescolino l'anima e il corpo.

Premesso ciò, occorre per prima cosa indagare sulla natura dell'anima, se consista in qualche essenza e se sussista in se stessa, senza bisogno di qualche cosa d'altro (ossia il corpo); e, se ciò sarà dimostrato, se sia anche incorporea, semplice, indivisibile e indissolubile, nonché omogenea. Queste cose sono necessariamente interdipendenti: la sua immortalità, la sua incorruttibilità, la sua indistruttibilità e la sua separatezza dai corpi. Oppure dobbiamo vedere se, nell'anima, si trovino caratteristiche opposte a quelle che abbiamo ora elencato.

 

 

Fragmentum IV.

Se l'anima sia un'essenza o un accidente.

 

Ora, per arrivare a comprendere antiche e autorevoli dottrine, è necessaria una disposizione di spirito adeguata: nessuna via puramente razionale è sufficiente a penetrare il mistero dell'anima razionale, che è un'essenza incorporea, incorruttibile e distinta dal corpo, al quale è senza dubbio congiunta secondo natura. D'altronde, essendo stato esortato spesso dagli amici a chiarire tali problemi, è intanto necessario dimostrare che l'anima è un'essenza sussistente per se stessa. Se, infatti, è proprio dell'essenza sussistere di per sé, anzi sussitere indivisibile e separata (dal corpo), allora sarà per ciò stesso priva di quantità, ma capace - grazie alla sua mobilità - di accogliere qualità contrarie. Così come i corpi sono ricettivi del bianco e del nero, della salute e della malattia, e in genere accolgono tutte le qualità opposte, alternatamente; allo stesso modo l'anima è ricettiva delle qualità contrarie, per esempio la giustizia e l'intemperanza, la prudenza e l'imprudenza e, per parlare francamente, la virtù e la malizia. Si dimostra così chiaramente che l'anima, capace di mutare da una qualità a quella opposta e di recepirle tutte senza mutare in se stessa, è una essenza, che sussiste di per sé e non si identifica con alcuna qualità. Se, infatti, fosse una "qualità", non sussiterebbe per se stessa, ma soltanto nelle essenze; ma non potrebbe essere una "qualità", dal momento che accoglie qualità contrarie e, se fosse una qualità, non potrebbe sussitere, prima, di per se stessa. Allora, il fatto che è ricettiva dei contrari suggerisce che l'anima è una essenza; questo, infatti, è proprio dell'essenza indivisibile: non tollerare in se stessa aumento o diminuzione.

Per questo, dunque, brevemente e per molte altre ragioni, è dimostrato che l'anima razionale è una qualche essenza sussistente per se stessa. Da ciò, inoltre, è dimostrato che l'anima è incorporea e immateriale.

 

 

Fragmentum V.

Del perché l'anima sia incorporea.

 

Dato che l'anima possa dirsi corporea, potrebbe unirsi al corpo in tre modi: o per giustapposizione di parti, o per miscela o per aggregazione. Ma se si sovrapponesse al corpo, nel senso di un contatto tra due superfici, forse il corpo non potrebbe risultare animato in tutte le sue parti: infatti è impossibile sovrapporre la totalità di un corpo all'intera superficie di un altro corpo L'anima, dunque, non si può sovrapporre a un corpo nella sua interezza, e ciò dimostra che essa non è di natura corporea. Seconda ipotesi: che l'anima si unisca al corpo per miscela. Ma, se così fosse, l'anima non sarebbe indivisibile, ma un qualche cosa di divisibile e distruttibile per natura: ma è necessario che l'anima sia una unità (per fare del vivente un essere strettamente unitario): dunque non vi è miscela e l'anima risulta, ancora, incorporea. Terza possibilità: che l'anima si unisca al corpo per aggregazione dei due elementi di un composto, l'essere vivente. Ora, se così fosse, i due corpi si penetrerebbero l'un l'altro, interamente; ma ciò è impossibile: due corpi, infatti, sarebbero diventati un corpo solo.

Perciò l'anima non si sovrappone al corpo, né si mescola ad esso né, infine, vi si aggrega: è necessario, dunque, che non sia un corpo: è proprio soltanto di una sostanza incorporea penetrare in ogni sua parte una sostanza corporea.

 

 

Fragmentum VI.

Perchè l'anima sia separata dal corpo e rivolta verso se stessa.

 

Con tutto ciò abbiamo dimostrato che l'anima è di natura incorporea.

Qualcuno, però, dal fatto che anche l'anima irrazionale penetra interamente il corpo - ciò che vien definito entelechia - solleva obiezioni (a quanto detto) perché osserva che l'anima irrazionale trasmette la vita a tutto il corpo e ne provoca il movimento. Ma se, allo stesso tempo, egli sa distinguere il concetto di anima separata da quello di non separata, e comprende come l'anima irazionale non possa esistere senza il corpo né operare per se stessa, cioè senza il corpo, allora egli è portato a concepirla come una certa virtù o spirito che somministra al corpo le sue necessità, ovvero come calore connaturale, come alcuni lo chiamano, che provvede al moto del corpo, al suo nutrimento e al suo accrescimento.

L'anima razionale, in verità, diciamo che è separata: perché, certamente, se è stato dimostrato che le essenze sono incorporee, come abbiamo fatto in precedenza, e se l'anima è in grado di svolgere operazioni che nulla hanno di corporeo, ne deduciamo la natura separata dell'essenza dell'anima.

Se, infatti, la virtù è propria dell'anima razionale, per mezzo di essa la parte irrazionale sarà dominata e signoreggiata; è proprio di essa, d'altra parte, mostrarsi amante delle verità divine e degli intelligibili. Sono questi gli oggetti che formano i degni interessi dei filosofi, sia quanto alla speculazione, sia quanto alla condotta. Filosofare, infatti, non è altro che condurre una vita pura e incontaminata dalla materia, e avere consapevolezza reale delle cose che sono vere. D'altra parte sapere quali essi siano, prima di conoscere la proipria reale natura, è cosa impossibile: al contrario, è indispensabile conoscere se stessi, avere familiarità con la propria natura incorporea.

Infatti, nessun corpo è abituato a conoscere se stesso né a rivolgersi completamente verso se stesso; ma ogni conoscente è rivolto al conoscibile e perciò, quando conosce se stesso, rivolge a se stesso le proprie operazioni cognitive: è chiaro, pertanto, che l'essenza dev'essere separata da quelle cose da cui bramiamo purificarci. In che modo, infatti, l'anima avrebbe la virtù di purificare dalle passioni corporali, se la sua essenza fosse collocata proprio nel corpo? Nessuna purificazione potrà essere possibile, finché non sia eliminata l'ignoranza di coloro che, contro natura, sono estranei a se stessi. Se, dunque, colui che si dedica alla filosofia, scioglie l'anima dai legami del corpo, è chiaro che, secondo natura, bisogna estraniarsi dal corpo. A coloro che non sanno separarsi dalla materia, infatti, sarà impossibile divenire liberi dalle passioni della materia: nessuno, infatti, può compiere un'attività che sia migliore della propria essenza.

Da entrambe queste considerazioni (per conservare la propria natura bisogna che l'anima si "separi" dal corpo, e la filosofia è il mezzo per realizzare ciò) risulta chiaro perché bisogna filosofare; e che la nostra essenza sia incorporea, è reso manifesto dal fatto che sappiamo segregarci rispetto alla materia. Siamo dunque di natura immateriale quanto alla facoltà di conoscere, e separati dalla materia corporea quanto alla virtù: per entrambe le cose, si può dire che abbiamo un'anima vivente di vita incorporea e separata dai corpi.

Riassumendo. Grazie alla filosofia, l'anima arriva a conoscere se stessa e la realtà precedente alla sua separazione dal corpo, ciascuna conosce la propria essenza quando è separata dal corpo; di per sé, appunto, il conoscere è un atto incorporeo.

Dunque, l'anima dedita alla filosofia è incorporea e separata dal corpo e, di conseguenza, non si distrugge e non perisce col corpo. Dal momento che ogni anima separata dal corpo  conosce se stessa, per ciò stesso è rivolta verso se medesima: piegarsi su se stessa vuol dire separarsi completamente dal corpo. L'anima, infatti, non può operare anche insieme al corpo, finché non sia del tutto ripiegata su se stessa.  In altre parole: l'anima razionale è separata dal corpo nella misura in cui è ripiegata su se stessa.

E per molti altri segni appare manifesto che l'anima, separata dal corpo, è in grado di compiere svariate operazioni: come le visioni che appaiono nel sonno, le profezie riguardanti il futuro, e il fatto che certuni hanno illuminazioni in stato di veglia che li rendono, in certo qual modo, simili alla divinità. Le profezie e la contemplazione delle cose divine non hanno niente a che fare con il senso e con i fantasmi, bensì procedono da operazioni dell'anima del tutto separate dal corpo.

Se, d'altronde, sia l'essenza dell'anima che le operazioni intellettive sono separate dal corpo, ne consegue che essa non è composta; che è semplice ed omogenea. Come la composizione del corpo risulta fatta di materia e di forma, ossia una mescolanza ordinata di elementi diversi; così la sostanza incorporea dell'anima si sovrappone ad essi e, fintantoché rimane raccolta in se stessa, si conserva uniforme e non mista ad altri elementi nella sua essenza, meravigliosamente incorruttibile.

Se, infatti, ogni composto si può disciogliere e, di conseguenza, risulta corruttibile, l'anima - che non è un composto - continua ad esistere, non soggetta a scomposizione né a corruzione, ma incorruttibile e semplice. Da ciò necessariamente consegue che l'anima è immortale.

E questa verità è stata dimostrata a chi dubitava a causa dell'esempio di quelli che erano turbati dall'attrazione per le cose materiali.

 

 

Fragmentum VII.

Sull'immortalità dell'anima.

 

In favore della tesi dell'immortalità e incorruttibilità dell'anima militano specialmente tre ragioni.

La prima può essere formulata nei seguenti termini: l'anima dà sempre la vita a qualunque corpo col quale si unisce, sempre infondendo a ciascuno la vita, mai - al contrario - ricevendola. Infatti ss  l'anima dà sempre la vita, vuol dire che possiede sempre la vita, secondo la sua essenza e naturalmente. Nessuno di coloro che procedono da ciò che esiste per essenza, può accogliere quanto è caduco per sua natura e, al tempo stesso, rimanere unitario: l'associazione di due elementi opposti corrompe e dissolve il composto. L'anima, allora, non potrà mai accogliere il contrario di ciò che porta sempre la vita. Il contrario della vita è la morte. Dunque, l'anima non può ricevere la morte; pertanto è immortale.

Aggiunse poi, un tempo, uno dei sapienti - sto parlando del grande Plotino - e ciò era quel che per lui più contava: se neanche quell'anima che dona la vita stessa può, a sua volta, riprendersela, a maggior ragione non può accogliere il contrario della vita, cioè la morte. Avendo l'anima connaturata la vita, non ha affatto bisogno di quella vita che essa conferisce al corpo, perché la vita che dà al corpo non è che l'ombra della vita, che essa possiede per essenza. Infatti la causa non ha bisogno del causato, essendo sempre migliori le virtù che vengono dispensate al causato. Poiché il fuoco non riceve il calore  che lo fa scaldare, esso lo possiede naturalmente; e perciò, a maggior ragione, non riceve il freddo, che è contrario alla sua natura. In generale, quello che sempre dona qualche cosa, non può a sua volta ricevere ciò che dispensa, né tantomeno il suo contrario.

Veniamo alla seconda ragione che milita in favore dell'immortalità dell'anima. O non è necessario accogliere prima questa proposizione? Ciò che non è corruttibile per propria malizia (= per sua natura) è impossibile che venga corrotto da altri. Non è possibile, infatti, che ciò che è buono per sua natura venga corrotto da qualcos'altro: ma ciò che viene dal suo prossimo, è perciò stesso vantaggioso, né sarà intermedio fra i due: per esempio, né buono né cattivo.Possiamo anche dire così: costituisce un male solamente ciò che è in grado di corrompere. E inoltre questo dobbiamo imprimerci bene in mente: la malvagità dell'anima è cosa più grave della morte del corpo. Le malizie che pertengono all'anima sono: indisciplina, intemperanza, ingiustizia, timore ed altro. Ora, l'anima che sia in preda a queste malizie non viene corrotta da esse, né esse sono in grado di tormentare la vita che è nei corpi corruttibili. Infatti, ciò che vi è d'irrazionale nell'anima, vive nel corpo e lo domina : il razionale, al contrario vive in se stesso. Quanto più sono indisciplinate le affezioni dovute all'unione dell'anima col corpo, tanto meno l'anima è in grado di conoscere e di conoscersi.

Pertanto, coloro che hanno una qualunque malizia non si ammalano ma, piuttosto, sono come indeboliti da se stessi e turbati nell'agire.

Le malizie dell'anima non possono giungere a corromperla. Infatti, tutto ciò che non è corruttibile per propria malizia, è sicuramente incorruttibile. Dunque, l'anima è incorruttibile.

Ed eccoci giunti alla terza ragione in sostegno dell'immortalità dell'anima. Ciò che è causa del proprio moto, si dimostra la causa dell'immortalità dell'anima secondo la sua essenza, per così dire operatore di immortalità. Perché l'anima, muovendosi da se stessa, manifesta che è come se potesse portare agli altri la vita, e vive interamente per se stessa (è vita per essenza), poiché opera in se stessa e rivolta verso se stessa. Infatti ciò che conferisce la vita agli altri, quello anteriormente vive per se stesso, e così come ciò che è vita dà il movimento (infatti questo è proprio della vita: il fatto di dare il movimento), allo stesso modo ciò che vive viene mosso.Tutto ciò che partecipa della vita, per il fatto stesso di vivere viene mosso. Dunque, da entrambe le considerazioni deriva che l'anima dispensatrice di movimento e il movimento stesso sono due cose distinte. Nella sua essenza, l'anima è vivente ed è la vita stessa. C'è identità tra la sua essenza e la sua operazione, ciò che essa opera (= dare il movimento), prima è operante in se stesso (= si muove senza essere mosso da altri), ed essa entra tutta in se stessa, finché siano una cosa sola il fatto di muoversi da sé e l'operare su altri. L'anima, infatti, agisce su se stessa ed è, al tempo stesso, causa dell'altrui movimento (cioè del corpo).

Per prima cosa rimane se stessa: infatti, le cause sono, in primo luogo, causa di se stesse e così, poi, sono anche causa di ciò che è causato.

L'anima, così, avendo in se stessa il movimento vitale, al tempo stesso dona il movimento perché è vita, ed è mossa per il fatto di vivere. Invero, ciò che muove sé ed è mosso da sé, è pure movimento in sé: perché appunto consiste in sole essenze incorporee e separate, come lo è l'anima: proprio essa, infatti, ha la caratteristica di muoversi per virtù propria.

L'anima dà al corpo cui si unisce una visione del movimento vitale, e perciò un'apparenza simbolica dell'anima stessa e come una qualche indicazione: movimento per se stessa, dal momento che per se sussiste e per il conoscere.  Per farla breve, si può riassumere il discorso così: tutto ciò che è congiunto all'anima è vivente, tutto ciò che che è vivente partecipa al proprio moto. Ma poiché la ragione dell'anima è trasmettere il proprio impulso a coloro presso cui si pone, e d'altronde tutto ciò che produce una certa forma, esso per primo è ciò che produce nei partecipanti: ne consegue che l'anima è la prima cosa che si muove per virtù propria.

Tutto ciò, sia chiaro, lo diciamo solo in riferimento all'anima razionale. L'anima razionale, infatti, avendo come una sorta di visione del proprio movimento, si muove da sé con un altro (= il corpo) e non per se stessa.  Se, infatti, si muovesse da sé e per se stessa, nel muovere se stessa non avrebbe bisogno del corpo, anzi, avrebbe un'essenza separata dal corpo, così come opera separatamente. Tutto ciò che compie operazioni senza bisogno del corpo, infatti, evidentemente è separato e indipendente dal corpo, affinchè tutto ciò che è indivisibilmente unito non abbia per natura la capacità di operare meglio: il che sarebbe assurdo. Non dunque per se stessa, ma solo unitamente al corpo l'anima irrazionale si muove da sé: da ciò deriva che l'anima razionale muove se stessa ed è mossa in se stessa, e muovendosi da sé si realizza pienamente. Il corpo, invece, è come un'immagine simbolica dell'anima; come una certa qual indicazione del'immateriale che è l'anima, sussistenza che si muove per propria natura.

L'anima razionale, dunque, è mossa e dà movimento, comprende, amministra e valuta. E infatti il movimento che si muove da sé non è per nulla il movimento dei vagabondi: quelli, infatti, fanno parte di coloro che sono mossi da altri; qui, invece, si tratta di sostanze incorporee. L'anima razionale, allora, è mossa e partecipa ai movimenti del corpo, ma non corporalmente. Essi, infatti, per loro natura sono mutevoli. Come si vede nel movimento della generazione e in quello della corruzione, nell'aumento e nella diminuzione, nonché nel cambiamento e nella trasmutazione da un luogo all'altro. Sembra, infatti, che il divenire da ciò che non è - che è certamente una caratteristica delle cose sensibili - in ciò che è, sia prolungato allo scopo di realizzare una miglior conoscenza e accoglienza degli intelligibili. Sembra anche che l'anima partecipi alla corruzione, trasformandosi da ciò che è in ciò che non è; indebolita, infatti, smarrisce la conoscenza delle cose superiori e, gettata nei vizi del corpo, sembra per ciò partecipare alla corruzione.

Pertanto diciamo che è cosa buona e bella e saggia potenziare l'occhio interiore rivolto all'anima; invece definiamo cosa cattiva e turpe e nociva l'offuscarlo. Intanto l'anima permane attraverso i cambiamenti, sballottata tra la malizia e la virtù insieme ai moti del corpo.

È certo che, per ora, l'anima è trattenuta in terra per il fatto di essere unita al corpo; ma quando si è estraniata da esso, può fare ritorno a luoghi molto più felici. Così, dunque, essa compie dei movimenti corporali, muovendosi da se stessa. Accompagna il movimento secondo la propria natura, ed è perfetta e per sé sufficiente, come se mancasse solo di se stessa e di nient'altro, nel proprio movimento.

 

 

Fragmentum VIII.

 

Sulla causa della diversità tra le anime.

 

Avendo dimostrato la incorporeità e la semplicità dell'anima, è ovvio che la distinzone tra le anime non potrà esser fatta derivare dalla circostanza di animare esse un corpo piuttosto che un altro. Quale diversità, infatti, potrebbe originarsi da ciò che è semplice, indivisibile e, per sua stessa natura, privo di qualità particolari? Il fatto è che la diversità delle anime, che per natura si muovono da se stesse e sono indistinguibili tra loro, si manifesta meravigliosamente nelle disposizioni spirituali (più o meno influenzate dall'unione con il corpo). L'una dalla virtù che dimostra, l'altra dalla propria virtù si faranno conoscere. Per tale ragione, quelle che più si avicinano alla perfezione divina sono quelle che respingono la malizia. In realtà, le diverse qualità dei diversi corpi non derivano dall'anima razionale, bensì dai genitori, dai luoghi e dai diversi ambienti climatici. Ciò appare manifestamente agire anche negli altri esseri viventi e, in generale, in tutti coloro che sono soggetti ai fenomeni fisiologici della generazione e della corruzione; tanto che si può affermare che le qualità esteriori dei corpi sono diversificate dalle cause naturali che agiscono su di essi.

Né, dunque, l'anima determina la diversa forma dei corpi, né da essa viene determinata, essendo l'anima superiore ed inaccessibile ad ogni cambiamento, appunto a causa della sua semplicità [intesa come assenza di parti].

E infatti, in tutti gli animali gli individui della stessa specie hanno sempre e solo la stessa natura, come avviene dell'uomo e del cavallo e del leone e così via, e non saranno mai disgiungibili nelle loro componenti di materia e forma: il composto animale non è scindibile. È certo che le qualità si rivolgono singolarmente a quelle specie che presentano parziali differenze e dalle quali sono accolte; così gli uomini, che presentano differenze tra l'uno e l'altro individuo; e così pure tutti gli altri esseri, animati e inanimati. Si può dunque affermare che le diverse qualità dei corpi hanno origine, in qualche modo, dalla diversa mescolanza dei composti formanti ciascun individuo.

 

 

Fragmentum IX.

Della natura dell'unione tra anima e corpo.

 

È necessario ora introdurre la seconda parte del nostro ragionamento: in che modo l'anima sia unita al corpo e per mezzo di qualespecie d'unione: se per miscela, per aggregazione, o per qualche altra forma di partecipazione.

Abbiamo visto, infatti, che in ogni essenza, accolta in una certa sostanza, nel corpo di un essere vivente, se prima è trasportata o corrotta da qualche cosa d'altro, viene congiunta poi a formare un unico composto. Infatti, non appena l'anima comincia a comprendere (quale sia la sua vera natura), subito è indenne e incorrotta, pur essendo unita alla sostanza di qualche cosa d'altro. Se, infatti, fosse unita rimanendo corrotta, i due elementi formerebbero un'unica sostanza; ma, se possono rimanere intatti, benché forse a noi rimanga ignoto come ciò accada, non sembra che si uniscano "connaturalmente" in un'unica sostanza, come avviene in una miscela di vino e acqua, e come quando una spugna inzuppata d'olio rigetta dalla miscela l'acqua pura; e lo stesso avviene col papiro. Perciò si deve concludere che i due elementi si adattano l'uno all'altro, ma non si può giudicare che siano uniti in modo veramente naturale.

Tale processo meraviglioso ha luogo nell'anima: ciò stesso che viene mescolato a qualcos'altro, come le cose che si corrompono a vicenda, continua tuttavia a rimanere se stesso, conservando la propria essenza, come le cose che sono semplicemente sovrapposte.

Questa è, infatti, la natura delle cose incorporee: poiché coloro che sono immateriali, non subiscono corruzione quando si mescolano a qualcos'altro; ma, indivisibili, si spandono ovunque trovino opportuna accoglienza, e giungono dappertutto fra loro incorrotte, e si conservano separate e incorrotte dal corpo.

È proprio dell'essenza incorporea, difatti, sia l'essere ben salda nella sua indivisibilità, sia l'avvicinarsi a qualunque corpo ad contemperationem, cioè mediante una sorta di mescolanza ben proporzionata, in cui le particelle del corpo si uniscono scambievolmente con essa.

L'anima, perciò, rimane coesa e imperturbata: indivisibile in quanto essenza, separata "connaturalmente" dal corpo, cui pure è legata.

Possiamo fare il seguente esempio. Quando si pone una lucerna per rischiarare un ambiente, solamente la luce si diffonde nell'aria, mentre il fuoco rimane nel candelabro. Analogamente, nella vita dell'anima - che è incorporea e concentrata nella sua pura essenza - il corpo di un essere vivente viene illuminato da essa, e tuttavia non si confondono in una unità indistinta, come il fuoco non si confonde con la luce. L'anima, insomma, penetra il corpo interamente, ma non come un corpo penetra in un altro, adattandovisi  per giustapposizione, ma vi si unisce imperturbata e si diffonde in ogni sua parte, rimanendo perfettamente incorruttibile e incorporea.

Se, in verità, entrando nei corpi le anime non conservano la loro unità indifferenziata, divenendo dei composti, per ciò stesso tuttavia dimostrano di esistere sotto forma di miscela, cosa non impossibile; ma, dal momento che è incorporea, l'anima rimane impassibile davanti ai mali che sopraggiungono, obbedendo pur sempre al corpo cui è legata. Le essenze incorporee, infatti, vengono unite ai corpi e rimangono imperturbate: divenute una cosa con l'altro e, tuttavia, conservando per se stesse la propria unità. Esse trasformano il composto cui hanno dato origine in attività che sempre da loro riceve impulso, così come il Sole trasforma l'aria in luce e il fuoco riscalda le cose che gli sono vicine. La luce viene unita all'aria come si uniscono le cose che si alterano a vicenda; ma la luce, in quanto tale, imperturbata rimane nel Sole.

Perciò l'esperienza della natura incorporea si essenzia e si irrobustisce in se stessa; è la stessa essenza, ed è in grado di riempire tutto ciò che è capace di riceverla. Né l'azione dell'anima sul corpo può essere paragonata alla fiamma che si serve del lucignolo per produrne un'altra. L'anima, invece, viene unita al corpo come una fiamma che ha in se stessa la luce, unica e identica, "non soluta": come un numero lo è rispetto a quello che gli viene immediatamente dopo. E neanche tale continuità tra anima e corpo può essere intesa come contatto tra parti diverse, perché l'anima è priva di qualunque estensione fisica; e neppure - per la stessa ragione - l'anima può immaginarsi chiusa nel corpo come in un sacco, essendo qualcosa di più e di diverso da una semplice quantità.

La sua unione col corpo si può quindi definire di natura ineffabile, tale da non potersi descrivere sensibilmente con la parola e neanche ricorrendo all'immaginazione. Possiamo dire soltanto che, se l'anima viene "ricevuta nel corpo", lo è nell'unico modo in cui una sostanza intellettuale può dirsi ricevuta: secundum solam intelligentiam: facoltà di comprensione d'ordine intellettuale, ma in senso spirituale.

Il Creatore di tutte le cose, che trascende le stesse essenze intellettuali, reca anche l'anima per ciascun corpo, affinché a questo si unisca per illuminarlo e per dargli vita. Che tra l'anima e il corpo si debba parlare di unione, lo dimostrano i fenomeni che necessariamente devono attribuirsi al composto e non alla sola anima. Che poi l'anima, nonostante questo legame col coprpo, rimanga una sostanza impassibile, lo dimostrano i fenomeni che accadono nel sonno. L'anima, infatti, nel sonno ritorna meravigliosamente in se stessa, somministrando al corpo solo quel tanto di vitalità che è necessario, continuando a vivere come brace sotto la cenere.

Per concludere, le sostanze incorporee si uniscono ai corpi come, analogamente, esse si possono unire ad altre sostanze incorporee, e cioè senza confondersi tra loro in alcun modo: perfettamente unite e perfettamente distinte.  L'anima inclina "naturalmente" alla unione col corpo, ma non corporalmente (abbandonando, cioè, la sua natura per assumere quella del corpo), bensì secundum compassionem et similitudinem con lui, secondola sua ess