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L’economia è una scienza?

di Partrizio R. - 16/11/2007

 
 

L’attitudine dell’uomo della strada verso l’economia è spesso improntato ad una certa diffidenza, poiché essa è vista come materia ostica ed accessibile ai soli addetti ai lavori.
Ad onor del vero gli stessi economisti, nella stragrande maggioranza dei casi, non concorrono di certo a rendersi comprensbili, né tantomeno ad esporre le proprie idee in modo accattivante.
Le poche eccezioni, fra le quali possiamo citare ad esempio J. K. Galbraith, finiscono ingiustamente per essere messe al margine dell’insegnamento universitario, nonostante la popolarità raggiunta e l’obiettiva profondità delle argomentazioni espresse.
Oggigiorno si tende ad un grado di sofisticazione matematica che fa venire il mal di testa anche a chi si occupa quotidianamente della materia.
Pur amando la matematica e la statistica, inorridiamo quando, aprendo un libro di economia, vi troviamo una moltitudine di derivate che cercano di spiegare la razionalità del comportamento di un agente economico valutando la pendenza di una curva mostrata in un grafico: finisce per essere un trattato con uno scarso appiglio al mondo reale.
Un altro ambito in cui proviamo un profondo disagio è quel moderno ramo dell’economia aziendale che pretende di considerare le aziende come semplici mattoncini delle famose costruzioni per ragazzi, smontabili e rimontabili a piacere seguendo le alchimie di pagatissimi specialisti.
Poco importa se  produca farmaci, giocattoli, scarpe o qualsiasi altra merce, conta solo che il mercato (l’investitore) sia soddisfatto.
Se poi da ciò risulta un’azienda cannibalizzata, con gli immancabili esuberi di personale e la produzione spostata in Estremo Oriente, beh, questo significherà un aumento del dividendo e del corso azionario con relative pacche sulle spalle dei beneficiari.
Un perfetto esito kafkiano.
Orbene, questa non è economia, è semplicemente ideologia confezionata su carta patinata e propinata a suon di slogan pubblicitari.
I veri problemi sono altrove.


Innanzitutto occorre domandarsi se l’economia sia una scienza, o perlomeno se disponga degli strumenti necessari per misurare i relativi fenomeni della vita quotidiana.
Francamente c’è da dubitarne.
E’ vero che la materia è contigua a molte altre, come ad esempio le summenzionate matematica e statistica, storia, sociologia, diritto e filosofia, per cui l’ambito è da considerarsi umanistico e scientifico.
E’ anche vero che certi fenomeni come la stagflazione, non sono ancora spiegati adeguatamente e questo non per un semplice problema di modellistica: c’è qualcosa che sfugge, ma non si sa bene cosa.
In realtà esiste una teoria, tuttora in evoluzione, in grado di spiegare adeguatamente un gran numero di fenomeni: si tratta della macroeconomia quantica del professor Bernard Schmitt (Colmar, Francia, 1929).
Ci sia permessa a questo punto una digressione personale.
Abbiamo avuto la fortuna di frequentare i corsi di teoria monetaria e di macroeconomia di Schmitt all’Università di Friburgo (Svizzera) e come tutti ne siamo rimasti affascinati e profondamente colpiti.
Il tarlo del dubbio verso la cosiddetta teoria dominante ci fu instillato fin dall’inizio, e ci ha accompagnò fino al compimento degli studi, tanto da averne fatto, non senza una certa fatica, la nostra teoria di riferimento.
Le lezioni erano sempre seguite da un buon numero di studenti che asoltavano Schmitt con la massima attenzione, mentre lui, sempre senza nemmeno un appunto come promemoria, ci insegnava a rivedere la materia appena appresa al secondo anno.
C’è da ammettere che non sempre era agevole seguire le volute dei suoi sottili ragionamenti, anche se alla fine tutto quadrava: qualcuno diceva scherzosamente di capire solo una parte della teoria, ma di ritenerla senz’altro esatta.
Attualmente il professor Schmitt è in pensione ed il testimone è passato in primis al professor Alvaro Cencini (Università della Svizzera Italiana), come lui in grado di esporre la teoria senza appunti ed in modo avvincente.
Terminato l’inciso cercheremo di esporre per sommi capi i punti fondamentali della teoria.
Potrà sembrare inverosimile, ma la concezione economica cosiddetta dominante non conosce a fondo il ruolo basilare della moneta, considerata prevalentemente come un elemento marginale della teoria.
E’ stata considerata esogena o endogena, a seconda della scuola di pensiero, senza tuttavia fornire risultati del tutto soddisfacenti.
E’ indispensabile indicare il punto di partenza di tutta l’analisi: la contabilità a partita doppia applicata in tutte le banche.
La creazione monetaria ex nihilo passa in tal modo da una concezione di fatto metafisica, ad un’altra scientifica, in grado di spiegare la sua nascita e la distruzione, nonché l’eziologia dei principali disordini economici.


L’originale elemento di base del pensiero schmittiano consiste nella concezione quantica del tempo: si tratta di periodi indivisibili di tempo che hanno la proprietà di rendere istantanei dei fenomeni quali la produzione e la creazione monetaria, considerati come dei processi sostanzialmente fisici, formalizzabili  in un apparato più o meno complesso di equazioni.
Tuttavia se così fosse il lavoro degli economisti potrebbe essere rimpiazzato proficuamente da quello svolto da ingegneri, fisici, chimici, ecc. (1).
Così non è.
Se Leibniz sosteneva che «natura non facit saltus», la realtà economica vede dei flussi e dei riflussi, i quali, pur svolgendosi cronologicamente in un secondo tempo, hanno un effetto retroattivo, rendendo in tal modo il tutto perfettamente simultaneo.
E’ un mondo caratterizzato da un flusso di onde, di un «va e vieni» (2), con dei circuiti che si aprono e chiudono istantaneamente.
Non si tratta di un discorso ozioso, buono solo per dispute accademiche.
Un esempio pregnante può essere quello della famosa sintesi keynesiana del modello IS-LM (IS rappresenta l’equilibrio sul mercato dei beni, LM quello sul mercato monetario), la cui intersezione determina l’equilibrio macroeconomico, data la rigidità dei prezzi e dei salari: orbene l’analisi quantica mostra come questa intersezione non esista, poiché IS è iscritta nel tempo continuo e LM nel tempo quantico!
Ora, l’unica operazione economica in grado di quantizzare il tempo è il pagamento dei salari e da qui parte tutta l’analisi.
La produzione-consumazione è data da un primo semiflusso costituito dal pagamento dei salari e dal secondo semiflusso, posteriore nel tempo continuo, ma simultaneo in quello quantico, grazie all’effetto retroattivo, che chiude il circuito.
La moneta viene creata in ambito bancario e simultaneamente viene distrutta con effetto retroattivo.
Per dare un’idea il professor Cencini (3) si rifà all’esempio del guardaroba: l’utente consegna il soprabito alla guardarobiera, ricevendone in cambio lo scontrino, per poi restituirlo in cambio del soprabito.
Ora, quando il cliente lascia il suo indumento, lo scontrino diventa un diritto di prelievo, che scompare quando l’indumento viene ritirato.
In altre parole lo scontrino passa da «semplice pezzo di carta» a «diritto di prelievo», per poi ritrasformarsi in «semplice pezzo di carta».
L’esempio non è pienamente confacente alla realtà, ma serve a dare un’idea della trasformazione subìta dalla moneta.
Si sviluppa poi l’analisi degli interessi delle rendite e dei profitti, dando una nuova luce a questi concetti.
Questo approccio serve a dare una definizione esatta della moneta, della produzione e del capitale, per poi arrivare a definire il concetto di inflazione e di deflazione.


L’analisi si estende in seguito all’assillante problema dei pagamenti internazionali, per scaturire poi a quella che si può considerare la scoperta più profonda e stupefacente di Schmitt: il doppio onere del servizio del debito estero.
Questo problema è stato sviscerato da molti economisti, senza tuttavia fornire dei risultati soddisfacenti.
Il fatto che il sistema dei pagamenti internazionali non comprenda una vera «banca nazionale delle banche nazionali» comporta la duplicazione del pagamento degli interessi.
Keynes comprese bene l’entità del problema e cercò di sottoporlo agli accordi di Bretton Woods, formulando l’ipotesi del «Bancor», quale mezzo di pagamento internazionale.
Tuttavia fu prescelto il piano White, non in grado di fornire una vera moneta internazionale, con le conseguenze che si trascinano ancor oggi.




Note
1) Alvaro Cencini, «Capitoli di teoria monetaria», Centro di Studi Bancari, Associazione bancaria Ticinese, Meta-Edizioni.
2) Bernard Schmitt, «Inflation, chômage et malformations du capital», Economica, Castella.L’espressione è tipica del linguaggio schmittiano.
3) Alvaro Cencini, opera citata, pagina 34.