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La nuova ondata di shock

di Bruce Grierson - 16/11/2007


I pubblicitari cercano in tutti i modi di scioccare una generazione immune a ogni shock. Così, abbiamo imparato a non farci turbare da nulla. Anche quando i pubblicitari insidiano le parti più sacre di noi, ai fini della vendita e della distribuzione, restiamo seduti fingendo di non badarci; e, di fatto, non ci badiamo. Ragazzo, siamo avvolti nel teflon, come quelle padelle francesi. I media non possono toccarci, perché siamo cinici.

Alla fine degli anni ’50 e all’inizio dei ’60, decine di pazienti psichiatrici dell’Allan Memorial Institute di Montreal vennero curati dal dottor Ewen Cameron, un uomo che aveva idee radicali sul modo in cui la mente umana è strutturata, e su come può essere ri-strutturata, da un punto di vista terapeutico, da un bravo psichiatra come lui stesso. Cameron credeva che le radici della malattia mentale risiedessero in errate strutture di pensiero sviluppate nel tempo. Pensava che i pazienti potessero essere “destrutturati” attraverso la ripetizione costante di una parola o di una frase chiavi, una tecnica che definiva “guida psichica”. Dopo aver confinato i pazienti in “camere del sonno” all’interno dell’Istituto, Cameron “inculcava” nello loro teste un “messaggio guida” accuratamente selezionato (in genere un messaggio negativo, seguito molto più tardi da un altro affermativo) attraverso cuffie o altoparlanti.

Ogni messaggio (per esempio: “Non sei sicuro di te stesso. Sei debole e inadeguato”) veniva trasmesso per 15 ore al giorno, sette giorni a settimana, fino a due mesi. Non sorprende che la “guida psichica” divenne rapidamente una tortura per i pazienti. In realtà, il lavoro di destrutturazione di Cameron ricordava gli esperimenti di controllo mentale condotti nella Corea del Nord, dove si dice che i militari tramutassero i prigionieri di guerra in accoliti simili a robot (la CIA, desiderando sapere qualcosa di più sul lavaggio del cervello, e per sviluppare in risposta proprie tecniche, finanziò il lavoro di Cameron per tre anni, chiamandolo in codice MKULTRA). Per “spezzare la resistenza” alla penetrazione dei messaggi, Cameron calmava i pazienti con elettroshock, LSD, ipnosi o sonniferi che li tenevano in sospensione inconscia fino a 22 ore al giorno, mentre i messaggi guida venivano trasmessi.

Se non ricordi i famosi esperimenti di lavaggio del cervello condotti da Ewen Cameron, non preoccuparti: nemmeno i suoi pazienti ne hanno memoria. Quando venivano dimessi, molti non avevano alcun ricordo della cura ricevuta. In alcuni casi, pazienti che avevano ascoltato centinaia di migliaia di ripetizioni del loro messaggio guida non erano in grado di ripeterlo nemmeno una volta. Come per Rip Van Winkle [Protagonista di un romanzo di Irving Washington, NdT], a queste persone mancava semplicemente un pezzo della loro vita.

Ma qualcosa di profondo era chiaramente accaduto loro. Subito dopo gli esperimenti di deprogrammazione, apparivano storditi e disorientati. Molti non riuscivano a ricordare il proprio nome o il modo in cui mangiare; di fatto, avevano dimenticato molte delle cose che avevano imparato in vita. Perfino oggi, gli ex-pazienti di Cameron riferiscono sintomi come violenti sbalzi d’umore e l’incapacità di concentrarsi abbastanza per leggere.

Gli esperimenti dell’Allan Institue cessarono alla fine degli anni ’60. In seguito, nove pazienti fecero causa per milioni di dollari contro la CIA; nel 1988, il tribunale riconobbe loro una cifra molto minore.

Tuttavia, in un senso più vasto, il lavoro di Ewen Cameron non si è mai arrestato. Con altri attori e sotto un’altra forma, le “lobotomie elettriche” continuano di buon passo. Il numero dei soggetti è passato da poche decine a due miliardi. I messaggi guida sono diventati più sofisticati: criptici, seducenti, allarmanti. Non si chiamano più “innesti”, ma “messaggi pubblicitari”.

I pubblicitari di oggi hanno molti più limiti di quanti ne avesse Cameron. Eticamente (o praticamente) non possono “spezzare” la resistenza dei soggetti con la torazina o l’acido, né paralizzarli con iniezioni al curaro. Possono usare, e la usano, un certo tipo di ipnosi – la luminescenza seduttiva e tremolante del televisore – ma, per la maggior parte, i loro strumenti sono gli stessi annunci pubblicitari: questi devono essere affilati abbastanza da penetrare nella coscienza del soggetto e impedirgli di contorcersi mentre viene trasmesso il messaggio (“Non sei sicuro di te stesso. Sei debole e inadeguato. Prova questi jeans”). È possibile concepire la pubblicità moderna come una destrutturazione a spettro largo: un cocktali di migliaia di diversi messaggi ripetuti, il cui effetto globale non viene compreso meglio di quanto non lo venissero i messaggi instillati da Cameron, quaranta anni fa. Cosa fa la pubblicità sugli esseri umani, a lungo andare? Non lo sappiamo.

Tutto ciò che sappiamo è che, anno dopo anno, man mano che i messaggi commerciali diventano sempre più veloci e obliqui, il moderno consumatore dei media è sempre più difficile da impressionare. Non è più lo studente attento seduto in prima fila con la schiena eretta, ma una persona accasciata in fondo all’aula, che dormicchia o sta cercando di scappare dalla finestra. La vecchia filosofia pubblicitaria – dimostrare “l’unicità” del prodotto e creare la fedeltà alla marca – è morta. Agenzie tradizionali come la Leo Burnett e la J. Walter Thompson perdono affari a favore di agenzie più piccole e aggressive come la Fallon McElligott e la Wieden & Kennedy, che hanno capito che non si può giocare a scacchi con un bambino dall’attenzione deficitaria e incostante: egli si allontanerà dal cartellone pubblicitario. Oggi si gioca a scacchi solo se c’è anche uno spogliarello, oppure per soldi; altrimenti, devi lanciare le pedine contro il bambino.

Tutto ciò spiega la crescita, negli anni recenti, della cosiddetta “pubblicità scioccante”. L’industria sta ammettendo che, affinché un’inserzione funzioni, deve essere insolita, vivace e diretta. Si deve trattare di un’immagine che pochi di noi hanno mai visto, come un cavallo nero che scopa un cavallo bianco, una top-model che fa un ruzzolone o una donna che versa il latte del proprio seno nella tazza di caffè di un’altra donna.

I pubblicitari direbbero che lo shock si riduce alla verità. Metti una persona schietta a una cena di persone distinte e ipocrite, e lo shock è assicurato. Gli attuali livelli di candore nella pubblicità degli assorbenti farebbero arrossire la Cathy Rigby del “Penso che sia perfettamente naturale”, ma asciugare una macchia di caffè con un Kotex è la vita vera come è vissuta dalla gente vera, no?

Epater le bourgeois: scioccare i valori della classe media. L’arte, si dice, non è interessata alla morale. Qui è dove l’arte e la pubblicità – per lo meno, la pubblicità scioccante – potrebbero differire. Le pubblicità scioccanti riguardano tutte la morale. Di solito, consistono nel disprezzo (operato per il puro piacere della provocazione) verso il più forte tabù culturale. In Germania, ciò vorrebbe dire probabilmente il nazismo; in Italia, la chiesa cattolica; nell’America del nord, il sesso. Cosa resta da esplorare, a proposito di quest’ultimo? L’incesto? La pedofilia? Il voyeurismo degli escrementi (quelle immagini di Jenny McCarthy sul “trono” hanno entusiasmato alcuni, disgustato altri e, a quanto pare, aumentato le vendite delle scarpe Candie del 19%)? I pubblicitari dello shock tendono a misurare il successo delle proprie campagne in base alla controversia suscitata. Se non riesci a scioccare la classe media, fai incavolare gli stupidi, potenti conservatori; guadagnati qualche riprovazione pungente da parte di un politico. I conservatori sono forse le uniche persone da cui puoi ancora ottenere una reazione, di questi tempi. Ecco perché i pubblicitari li amano: hanno bisogno di loro.

Il resto di noi, non volendo essere scambiati per qualcuno che cerca di cancellare la libertà dell’arte o il diritto all’espressione, adotta una posizione aperta di assoluto permissivismo. Due cavalli che scopano ti scioccano? Hey, amico, non sei uno che esce molto, vero? Scommetto che anche “Arancia meccanica” ti darebbe fastidio.

Così, abbiamo imparato a non farci turbare da nulla. Anche quando i pubblicitari insidiano le parti più sacre di noi, ai fini della vendita e della distribuzione, restiamo seduti fingendo di non badarci; e, di fatto, non ci badiamo. Ragazzo, siamo avvolti nel teflon, come quelle padelle francesi. I media non possono toccarci, perché siamo cinici.

Ma non potrebbe essere, invece, che siamo cinici perché i media ci hanno già toccato? Toccato ?

La verità, quasi banale, è che ora è difficilissimo scioccarci. Per cui, i pubblicitari non cercano più di scioccarci in modo convenzionale, ma stanno lavorando a una sorta di silenziosa pulsazione elettromagnetica che infligga danni gravi e indefinibili a qualsiasi circuito con cui entri in contatto.

Voglio dimostrare che oggi, nella pubblicità, esistono tre livelli di shock: lo shock viscerale, quello intellettuale e (in mancanza di un termine migliore) quello spirituale. Ipotizziamo che io sia un pubblicitario che voglia scioccarti a livello viscerale; voglio aggirare il tuo cervello, provocando una reazione involontaria. Voglio spaventarti, disgustarti o, soprattutto, eccitarti. Venti anni fa, questo avrebbe potuto dire mostrare una donna in reggiseno; dieci anni fa, una donna senza reggiseno. Ovviamente, qui siamo nel campo d’azione di Calvin Klein. Klein ha ottenuto i risultati più eclatanti con una successione di icone sempre più provocatorie: Brooke Shields con i jeans aperti; Jeff Aquilon, appeso come un orso grizzly, che mostra le mutande; Kate Moss nuda sul divano. Di recente, le cose sono diventate davvero forti: ragazze che succhiano banane, bambole sessuali gonfiabili che spuntano da cartelli autostradali, bambini seminudi sdraiati come attori porno professionisti in squallidi seminterrati rivestiti di legno.

La casa di moda French Connection ha recentemente scoperto che, mentre non è possibile usare la parola inglese “fuck”, “vaffanculo” in un giornale a larga diffusione, la parola “fcuk” va benissimo. Puoi creare messaggi pubblicitari in cui è scritto “Moda fcuk” o “Pubblicità fcuk”; in tal modo sdogani la regina delle parolacce inglesi nel mondo della stampa, perché chiunque legga “fcuk” sulla pagina, dice “fuck” nella testa.

Ma in una cultura circondata da immagini surreali, violente ed erotiche, lo shock viscerale diventa sempre più difficile da produrre. Forse per questo, una recente tendenza della pubblicità non mira più alle viscere, ma alla testa. Quello che io definisco “shock intellettuale”, in realtà, vuol dire semplicemente che i pubblicitari sconvolgono le aspettative dei lettori e del pubblico. Lo vediamo, nella sua versione più comune, quando una pubblicità dice la verità ed è onesta con noi: fatto piuttosto scioccante per una pubblicità.

Trentacinque anni dopo la comparsa dell’ironia nella pubblicità, e quindici anni dopo quella dell’auto-ironia, stiamo forse assistendo alla nascita di un nuovo modello fondamentale, oltre l’ironia, più vicino a una finta ingenuità iper-calcolata. Sì, sembra che i pubblicitari stiano dicendo: “La festa è finita, ormai fai parte del nostro gioco”.

Chiamiamola anti-pubblicità: di fatto, sono annunci commerciali che assomigliano molto a quelle riviste parodistiche e “sovversive” cui Adbusters ha fatto da apripista. La pubblicità non solo svaluta il prodotto, ma spesso fa la parodia di se stessa. I pubblicitari di oggi devono sentirsi come i cantanti punk alla metà degli anni ’70, quando il loro movimento cominciò inaspettatamente ad andare per la maggiore. I veri punk capirono che, per sopravvivere, il punk avrebbe dovuto “rifiutare se stesso”. Anche molti pubblicitari hanno capito che la pubblicità deve rifiutare se stessa, se vuole conservare qualche credibilità presso un pubblico cinico.

Considera gli spot per la TV ABC della TBWA/Chiat Day: “Chi, tra noi, non ha mai passato un intero weekend sul divano, nella fredda luce di un Sony Trinitron, per fare ritorno al lavoro fresco e totalmente riposato?”. La campagna riconosce candidamente – anche se facendo dell’ironia – che il prodotto in vendita non fa al caso tuo (questo potrebbe non essere così rischioso come sembra: per le “Sigarette della morte” ha funzionato bene).

Oppure la pubblicità della birra Amstel in cui si vede il finto attivista Garrison Boyd che chiede di boicottare la suddetta birra. La campagna cominciò con pubblicità convenzionali, della durata di un paio di settimane; poi, sulla scena irruppe Boyd, equipaggiato di tutto punto, che tappezzava i cartelloni della Amstel con adesivi anti-Amstel. Al termine, la campagna si affidò alle invettive anti-Amstel di Boyd: “Evitate queste Amstel a tutti i costi!”.

O, ancora, la recente campagna della Sprite in cui due sempliciotti guardano gli spot pubblicitari alla TV alla ricerca di una presunta soda chiamata Jooky, fino a quando si rendono conto che bere Jooky non migliorerà le loro prestazioni sessuali nell’immediato. Il messaggio implicito è: nemmeno la Sprite.

Altri esempi abbondano. Nelle recenti campagne per la birra Fosters e per le scarpe da corsa Simple, assistiamo alla genesi dietro le quinte delle pubblicità stesse. Per esempio, le istruzioni del direttore al copywriter su come le sfumature possono trasformare il prodotto. Pubblicità simili seguono la tradizione del famoso spot Isuzu in cui David Leisure interpretava la parte di un venditore di macchine inguaribilmente bugiardo, e di quelli per la Nike con Bo Jackson, in cui l’assurdità delle pubblicità per scarpe viene portata in piena luce. Ma tali spot collocano la Isuzu e la Nike un passo avanti, invitando il pubblico a ridere dal di dentro dell’intero frivolo business della pubblicità.

Vendere a una generazione di cinici richiede una grande astuzia. I pubblicitari devono sapere che il pubblico è smaliziato e quindi riconoscere le proprie strategie per quello che sono; ma sono costretti a continuare a vendere. “La cosa da ricordare a proposito della cultura popolare”, dice il bambino precoce Calvin alla sua amica tigre Hobbes nell’omonimo fumetto, “è che oggi il pubblico della tv è alla moda e sofisticato. Questa roba non ci riguarda. Sappiamo separare i fatti dalla finzione; comprendiamo la satira e l’ironia. Siamo spettatori stanchi e distaccati che non vengono influenzati da ciò che vedono”. A questo punto, Calvin interrompe la sua predica per gonfiare le sue scarpe da basket. Calvin è il consumatore postmoderno.

Perché la pubblicità finto-ingenua funziona? Una ragione è che il pubblicitario sfrutta il paradosso. Il consumatore riceve due messaggi contraddittori. Uno è: poiché la pubblicità è finta, bisogna diffidare di qualsiasi prodotto reclamizzato di questi tempi. L’altro è: siamo stati molto onesti con te; potremmo mai mentire sulla bontà di questo prodotto?

Di fatto: non fidarti di noi. Fidati di noi.

Quando la gente riceve un messaggio misto, accade qualcosa di molto strano: per un attimo, resta paralizzata. Lasciatemi illustrare questo punto. Un amico di un mio amico, un tipo molto basso che frequenta locali dove la situazione puntualmente degenera, ha imparato a usare i messaggi “misti” con grande efficacia. Quando viene provocato da una persona più grande e robusta, guarda in faccia l’aggressore e dice: “Io non voglio litigare, vero?”. L’altro impiega sempre qualche secondo per interpretare questo messaggio: da una parte c’è un gesto apertamente aggressivo, dall’altra una dichiarazione di pace. Questo intervallo di tempo è sufficiente al mio amico per a) svincolarsi o b) assestare quei due pugni che metteranno fine al litigio prima che possa cominciare.

Lo shock della pubblicità finto-ingenua è lo shock delle aspettative rovesciate. Immagina che l’aspirante lavoratore che stai intervistando improvvisamente ti dica: “Non assumermi. Sono stupido e ruberò sugli incassi”. O che il tuo appuntamento amoroso cominci così: “Ciao, sono Kelly. Sono una maniaco-depressa e ho una malattia agli organi genitali”. Questo è lo shock che si prova quando ci si trova di fronte all’ultima cosa che ci si sarebbe aspettata. In breve, il tuo sistema di certezze è scosso. Molti quattordicenni sperimentano un momento di disorientamento simile quando si rendono conto che i genitori stanno usando la “psicologia al contrario” su di loro (“Ti ho rollato un paio di spinelli per il concerto degli Everclear. E prendi la mia macchina: ecco le chiavi.”). Questo coglie di sorpresa il ragazzo, costringendolo a una sola risposta immediata: “Mi stai prendendo per il culo”.

Le pubblicità intellettualmente scioccanti, dunque, non sono degli elettrodi ad alto voltaggio applicati ai capelli e alla caviglia, ma un concentrato diluito di gas nervino messo in circolo attraverso le vie respiratorie. Col tempo, esso può spezzare la saldezza dei tuoi giudizi, valori, opinioni. Quando il nemico (i pubblicitari) comincia a usare lo stesso linguaggio, i consumatori entrano in crisi. Se vengono usate le stesse parole per creare lo spettacolo e per distruggerlo (come afferma il situazionista Guy Debord), il consumatore non sa di chi fidarsi, se mai può fidarsi di qualcuno.

Per i pubblicitari, questo è un gioco delicato. È come se, parodiando se stessi, rubassero l’idea a chi li critica e li sfidassero a una contromossa (a opporre il positivo al negativo). Cosa deve fare una rivista come Adbusters? Pubblicare annunci che promuovono direttamente la birra Amstel, le sigarette Marlboro o le scarpe da ginnastica Nike, dando per scontato che il pubblico sia tanto sospettoso della pubblicità – di qualsiasi pubblicità – che la sua reazione sarà tenersi al largo?

Questo ci porta – in modo contorto – al terzo, nuovo e finale tipo di shock. Lo shock spirituale va oltre il titillamento e i giochi mentali. Queste pubblicità non sono tanto astute o falsamente modeste, quanto profondamente disturbanti. Il giornalista Bob Garfield di “Advertising Age” le ha definite “pubblitrocità”. Esempi? Benetton che mostra i moribondi di AIDS e i soldati bosniaci morti; i modelli di Calvin Klein incoscienti in covi di drogati con gli occhi resi vuoti e perduti dall’eroina. Recentemente, la casa di moda italiana Diesel ha lanciato una campagna estremamente disturbante. Si tratta di criptiche pubblicità-nella-pubblicità ambientate nella Corea del nord dove si vedono, per esempio, modelli magri sulla fiancata di un bus stracolmo (presumibilmente) di coreani affamati e sofferenti. “Non ci sono limiti alle tue possibilità di dimagrire” dice la pubblicità sull’autobus.

Queste pubblicità, per me, sono le più complesse “pubblicità scioccanti” mai prodotte. Sembrano operare a un livello più profondo di quello che gli stessi pubblicitari conoscono o capiscono. Molti tengono un piede nel campo dello “shock intellettuale”. Le pubblicità dei jeans Diesel ambientate in Nord Corea, per esempio, riduce la moda a una convenzione. Ma a differenza, per dire, degli spot sulla ABC TV, non sono molto divertenti.

Se lo shock intellettuale scuote il nostro sistema di certezze, lo shock spirituale mira ai nostri valori. Probabilmente, c’è qualcosa di immorale nella pubblicità che abitua la gente alla sofferenza altrui. Il modo con cui lo shock incoraggia il malessere mi ricorda ciò che David Korten ha definito “il ciclo dell’alienazione”, che gli stanchi consumatori di oggi in qualche modo conoscono intuitivamente (fondamentalmente, passiamo attraverso quattro fasi: 1. I pubblicitari ci assicurano che i loro prodotti ci daranno ciò che ci manca. 2. Comprare i loro prodotti richiede soldi. 3. La ricerca dei soldi allarga il solco tra noi stessi, la famiglia e la comunità. 4. L’alienazione profonda crea un senso di vuoto sociale e spirituale, che può essere alleviato solo da… vedi punto 1.).

La prima volta che vediamo un bambino morire di fame, durante un programma notturno alla TV, siamo atterriti e mandiamo dei soldi. Ma quando queste immagini diventano più familiari, la compassione diminuisce. Cominci a provare repulsione per queste pubblicità; non vuoi vedere mai più un bambino morire di fame. I consumatori cinici comprendono cosa viene fatto loro. In realtà, non se ne curano.

Questa idea della spirale crescente del cinismo del consumatore non è nulla di straordinariamente nuovo. Ciononostante, essa può, io credo, spiegare vite intere. Dà una risposta credibile al perché i disordini caratteriali sono cresciuti del 50% nell’America settentrionale, negli ultimi venti anni (più credibile, almeno, delle teorie che chiamano in causa gli additivi nel nostro cibo, la quantità di informazioni che oggi riceviamo o l’esposizione elettromagnetica milioni di volte più grande di quella subita dai nostri antenati). La ripetizione di messaggi sconvolgenti può avere – deve avere – degli effetti, anche se non quantificabili, negli strati più profondi e primitivi della nostra mente, in quelle regioni limbiche dove risiedono gli impulsi sessuali e creativi.

Mai, nella storia, i pubblicitari hanno individuato con tanta precisione il loro destinatario. Chi ha reddito disponibile? I giovani, sempre di più (l’America, secondo la saggezza popolare di oggi, è di fatto governata dalle teen-ager). Quindi, le agenzie sfornano pubblicità, anti-pubblicità, “pubblitrocità” per la clientela giovane, stanca della compassione e dura da scuotere. È come se il 75% di noi fosse costretto ad ascoltare la colonna sonora del mondo a un volume altissimo e fastidioso, in quanto è stato calibrato sull’udito danneggiato del restante 25%. Col tempo, ciò crea non solo tensione, ma anche rabbia; alla fine, il 75% comincerà a dare la caccia all’altro 25% con le torce.

Cosa ci sciocca adesso? Forse nulla. Possiamo ancora essere titillati, divertiti, ma forse non possiamo mai essere davvero scioccati. Per essere scioccati, è necessaria una dose di innocenza che oggi raramente si trova nelle persone con più di cinque anni. Forse siamo già stati “destrutturati”, più di quanto vogliamo ammetterlo, come i pazienti psichiatrici di Ewen Cameron; forse siamo i Candidati della Manciuria [riferito al film titolato in italiano: Vai e uccidi, NdT] nel paese dei consumi, che vagano per le strade con la testa piena di messaggi che determinano il nostro comportamento (“Non sei sicuro di te stesso. Sei debole e inadeguato”), messaggi che non siamo in grado di ripetere nemmeno una volta.

Bruce Grierson vive a Vancouver, dove fa il redattore e lo scrittore. Non è mai stato destrutturato, ma non riesce a ricordare dove ha lasciato la macchina.

Figura 1“Fcuk è un marchio registrato da French Connection UK”

Eccola, la madre delle parolacce inglesi. Una parola che provoca ancora, nella maggior parte di noi, un’immediata risposta viscerale. Non si dimentichi mai che la parola non è in realtà “la parola”, ma solo un anagramma. L’impatto resta, simile a quello di un uomo incinto o di una bambina che sbuccia lentamente una banana. Le parole e le immagini accuratamente selezionate ci colpiscono a un livello pre-verbale. Sono solo delle immagini divertenti o c’è dell’altro, di cui non ci rendiamo conto?

Figura 2“Avvertenza: il fumo provoca il cancro ai polmoni, malattie cardiache, enfisema. Inoltre, può complicare la gravidanza.”“Sigarette Winston. Condensato: 16 mg; nicotina: 11 mg. Media secondo il metodo FTC.”“Perché le pubblicità dei jeans non possono essere così sincere?”

Avvertenza: vendere a una generazione di cinici smaliziati richiede una grande astuzia. In pubblicità come quella di sopra (per le nuove, normalissime, sigarette Wilson), il consumatore riceve due messaggi contraddittori. Il primo è: poiché la pubblicità in sé è roba da fessi, devi dubitare di tutto ciò che vedi reclamizzato. Il secondo è: siamo stati onesti con te sin dall’inizio, quindi credici. Questo prodotto è quello buono.

Figura3

A cosa mira esattamente la casa di moda italiana Diesel con questa campagna che accosta i nord coreani indigenti al consumismo di stile occidentale? Questo nuovo tipo di pubblicità scioccante opera, molto probabilmente, a un livello più profondo di quello previsto dal pubblicitario stesso. Cerca di commercializzare alcuni dei nostri sentimenti più personali riguardo la sofferenza, la giustizia, l’avidità e gli eccessi. Una volta cooptati, questi sentimenti non fanno più parte di noi.

Copyright originale Bruce Grierson.
Originalmente apparso sulla rivista Adbusters
www.adbusters.org
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l'edizione italiana Innernet.