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Giornali, denari e politica: se la casta ormai è una sola...

di Roberto Laghi - 16/11/2007





 

Di casta hanno scritto Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, illustrando privilegi e prepotenze della classe politica italiana, descrivendo così un sistema di potere trasversale agli schieramenti in grado di dominare tutti gli aspetti della vita pubblica e istituzionale. Ma non dobbiamo pensare che quella casta sia un'eccezione rispetto alla realtà del nostro Paese...

Tutt'altro. E se qualcuno ci parla di altre caste, non dobbiamo considerarle come entità a sé stanti ma come un vero e proprio apparato eretto a prassi quotidiana di spartizione di poteri e denari (pubblici, possibilmente) che regola buona parte della vita pubblica italiana.

Nelle pagine de La casta dei giornali di Beppe Lopez (Stampa Alternativa) è lo stesso autore a sottolineare la contiguità di diversi sistemi di potere e pressione all'interno del contesto italiano.

La riflessione di Lopez, che elenca dati, cifre e nomi in quantità, stringe il fuoco sul giornalismo e sulle provvidenze all'editoria, per presentare un'anomalia tutta nostrana: se 700 milioni di euro all'anno (2006) se ne vanno in finanziamenti diretti o indiretti a favore delle testate giornalistiche, qualcosa che non va in questo Paese ci deve essere. Ma non è solo sulle maglie larghe delle leggi e sui tanti, troppi sotterfugi che per volontà politica o per inadempienza (magari consapevole) del legislatore restano aperti a chi voglia abusare di questo sistema di provvidenze, è importante capire anche qualcosa in più sul giornalismo italiano, sulla sua missione, sul suo senso.

Leggiamo le parole di Lopez: “Il fatto è che i nostri quotidiani, storicamente assimilati alla casta della politica e degli affari, non hanno mai avuto come preminenti obiettivi la vendita di copie e la creazione di uno specifico e dinamico mercato dell'informazione. In aggiunta a questo, sono stati marchiati nel secondo dopoguerra da una fortissima e prevalente politicità.”

I giornali italiani non sono fatti per vendere, dunque e non hanno interesse a creare un mercato editoriale libero in cui resti sul campo chi con la qualità del proprio giornalismo riesce a conquistare un numero sufficiente di lettori per rimanere in vita. Questo deriva da una concezione dell'informazione di retaggio “italo-ottocentesco” in cui i giornali sono intesi come veicolo d'opinione e diretti a un pubblico elitario – quelli che contano – invece che di informazione rivolta ai cittadini. E lo scarso numero di lettori ha forse più a vedere con la qualità dei quotidiani e con le modalità con cui si propongono al pubblico più che con lo scarso interesse dei cittadini nei confronti dell'informazione.

Se queste sono le premesse, con l'incacrenirsi di una situazione in cui a fare incetta dei contributi statali sono soprattutto i grandi gruppi editoriali, con in più il sovrapporsi nel tempo di normative e cavilli in maniera disorganica, non stupisce l'attuale situazione del giornalismo italiano e dell'assenza di fatto di un mercato editoriale libero, nonché della difficoltà di promuovere una riforma del settore che sia capace di riportarlo alle condizioni di giustizia e concorrenza.

Non è importante in questa sede che mi soffermi sulle cifre precise né sulla presenza di false cooperative create ad hoc per prendere i finanziamenti, neppure sulla regola che permetteva a due parlamentari di dare l'adesione a un movimento politico per far sì che il giornale che di quel movimento si dichiarava nominalmente portavoce prendesse i soldi, e nemmeno della contraddizione di un quotidiano come Il Sole 24 ore che, paladino del libero mercato dalle sue pagine, riceve provvidenze per milioni di euro dallo Stato: per queste informazioni il libro di Lopez è una lettura necessaria. Anche sulle pagine di Aidem si erano fatti i conti in tasca ai gruppi editoriali, trovate l'articolo di Silvia Garambois qui su Megachip .

Se politica e giornalismo fanno parte della stessa casta, quali reali possibilità di cambiamento nel settore editoriale abbiamo noi, cittadini, che da un lato vogliamo un'informazione onesta e rigorosa e dall'altro non possiamo più tollerare lo spreco di denaro pubblico per rimpinguare le casse di chi, nella migliore delle ipotesi, non ne avrebbe per nulla bisogno?

E come può fare il giornalismo italiano a uscire da questa condizione, che non è più di subalternità e pressione nei confronti della politica, ma è esso stesso azione politica (il sostegno a Veltroni come leader del Pd del Corriere della sera e di Repubblica, tanto per citare un esempio) per diventare informazione a servizio dei cittadini e della comunità?

A queste domande Lopez non risponde, probabilmente perché rispondere non è possibile. Ma di esempi, soprattutto dalla rete, ne arrivano molti e tanto si sta costruendo, tra citizen journalism e informazione dal basso. Con la speranza che si arrivi presto a sfondare il muro che separa questo attivismo dai mass media, per riportare il giornalismo al suo senso primario.