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Sfogliando un vecchio libro (una riflessione sul rapporto uomo-natura)

di Francesco Lamendola - 17/11/2007

 

 

  

     Una riflessione sul rapporto uomo-natura, svolta sullo sfondo ambiguo e sontuoso di una foresta tropicale e ricollegata ad  un momento storico particolarissimo: la fine della "belle èpoque", lo scoppio della prima guerra mondiale, il tramonto irreversibile di un grande mito: quello delle "magnifiche sorti e progressive" che ragione e scienza avrebbero generosamente dispensato all'umanità.

      Intrecciata ad essa, una riflessione sullo scorrere del tempo e sulla divaricazione insanabile fra tempo storico e tempo psicologico, còlta, anch'essa, come cifra della perenne inadeguatezza e della perenne inquietudine dell'uomo occidentale, che solo il mistero della morte sembra capace di placare.

 

      Questo articolo è stato pubblicato sul numero 5 del maggio 1988 (anno XV) del giornale "Il Piave", pag. 16, corredato da una incisione d'epoca raffigurante un paesaggio dell'isola di Guam, nell'arcipelago delle Marianne (Oceano Pacifico).

      Viene ora riproposto per il sito dell'Associazione Eco-Filosofica, quale contributo alla riflessione su temi frequentemente trattati, sia con scritti che con conferenze, nell'ambito delle tematiche ambientaliste, ecologiste, eco-filosofiche.

 

 

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I.

 

 

      Un vecchio libro squadernato che odora di anni lontani, dalle pagine ruvide e ingiallite, qua e là macchiate leggermente di una muffa color cioccolata.

      È il diario di guerra di un ufficiale tedesco di marina, che nel 1914, allo scoppio del primo conflitto mondiale, stava navigando con la sua squadra di incorciatori nell'Oceano Pacifico, al largo delle isole Marianne.

      Alla vigilia delle ostilità si credeva ancora, a quel tempo, in una guerra breve e soprattutto cavalleresca; né immaginavano, lui e i suoi compagni, a quali orrori senza nome il mondo intero stava andando incontro.

      Se qualcuno avesse parlato loro di gas asfissianti, di bombardamenti sulle grandi città a mezzo di aerei e dirigibili, di guerra sottomarina indiscriminata, probabilmente avrebbero scosso il capo, increduli.

 

      "Avvistammo, il 27 giugno, Urakas (1), che è l'isola più settentrionale di quel gruppo e ci avvicinammo sufficientemente per poterla ben esplorare. Quest'isola selvaggia, deserta, in mezzo all'immenso oceano, ci fece un'impressione straodinaria, quasi sinistra.

     "Il suo cono vulcanico di un color bruno rossastro, sopra il quale s'innalza un leggero pennacchio di fumo, si eleva sul livello del mare circa 300 metri; è senza vegetazione e senza vita. Solo alcuni scogli di una vecchia isola, che la circondano, mostrano qualche arbusto e innumerevoli uccelli che trascinano la loro esistenza annidandosi fra i crepacci delle rocce.

      "Il fischio acuto della nostra sirena li spaventò alquanto e strillando fortemente, si sollevarono e girarono intorno all'isola ed alla nostra nave. Erano agitati dallo spavento e curiosi di vedere l'insolita balena…" (2)

 

      La natura, maestosa e indifferente, assurge al ruolo di protagonista di questa scena suggestiva; mentre le sagome microscopiche delle navi, scintillanti nelle grigie corazze sotto il sole dei Tropici, sfilano ai piedi del vulcano, alzando anch'esse al vento i pennacchi di fumo delle loro ciminiere.

 

      Come in un'incisione di Taylor (3) o in un libro di Jules Verne, l'uomo dell'"età del progresso" e la sua tecnologia costituiscono solo un elemento marginale; un'intrusione, certo, ma resa meno brutale dalla primitività stessa di quella tecnologia (ai nostri occhi di post-moderni), per cui le prore decorate degli incrociatori possono venire in parte assimilate a certi rilievi del paesaggio.

      E ci viene in mente il film d'animazione cecoslovacco, quando registi come Karel Zeman potevano  portare sullo schermo i romanzi di Verne utilizzando attori veri, pupazzi animati e incisioni ottocentesche nel medesimo tempo. (4)  Impressione rafforzata da quel volo fantastico di migliaia e migliaia di uccelli intorno al picco del vulcano e agli alberi delle navi, che, empiendo il silenzio dell'oceano coi loro acuti stridii, paion gettare un ponte ideale fra natura inanimata e presenza umana, avvolgendole entrambe nel disegno spettacolare dei loro cerchi concentrici.

 

 

 

II.

 

 

      Certo, l'uomo si presentava estraneo e arrogante al cospetto della natura, ignaro ancora d'inquinamento e di catastrofe ecologica (come doveva apparire strana, allora, una simile idea, quando "natura" evocava ancora una forza da abbattere e soggiogare!), imbottito di presunzione positivistica e di illimitata fiducia in sé stesso, nella propria razionalità

      Perfino quei mari remoti, quelle isole da sogno fra poco avrebbero echeggiato del rombo dei cannoni: un'eco simile a un suono di campane a morto per la belle èpoque  che finiva, bruscamente, coi suoi sogni e le sue illusioni, mentre iniziava il massacro destinato a durare oltre quattro anni e a mietere 10 milioni di morti.

      Eppure tutto ciò sembrava tanto lontano e improbabile!

 

      "La domenica del 28 giugno (5), gettammo l'ancora davanti a Pagan, una delle più importanti isole del gruppo [delle Marianne], che è abitata e dove si produce la copra. Essa mi destò un triste ricordo perché l'anno prima vi avevamo perduto un giovane ufficiale.

     "Attirato dalla meravigliosa vegetazione tropicale che si estende fra i due possenti coni vulcanici di color giallastro dai pendii ripidi, egli era sceso a terra con qualche amico. Nel ritornare verso l'imbarcazione, si smarrì e dovette soccombere nella giungla foltissima, alle fatiche che gli aveva causato la marcia e l'implacabile sole. Duecento uomini si misero alla sua ricerca sotto la guida del comandane e lo trovarono che sembrava semplicemente addormentato fra i folti arbusti: la morte doveva essere stata rapida e senza sofferenze.

     "Io non avevo potuto recarmi a terra, ma non dimenticherò giammai il corteo funebre, quando la bara raggiunse la riva e quando l'imbarcazione la portò a bordo con la bandiera ornata a lutto…" (6)

 

      Ci par di vedere il giovane Heinrich dagli occhi azzurri, avanzare verso il cuore misterioso dell'isola nella sua bianca uniforme immacolata, come afferrato da un miraggio che lui solo può vedere.

      Ma il miraggio, per definizione, è sempre un passo avanti; e poi lo smarrimento di aver perso i compagni, perso il sentiero, la marcia affannosa tra palme e cipressi, felci arborescenti ed acacie; il sudore, i vestiti strappati, la vampa del sole, lo sconforto, la fine.

 

      Lo hanno trovato disteso, "come se dormisse" nel grembo della foresta silenziosa, il viso non reca tracce di sofferenza.

      Tutto il suo dramma si è compiuto nel breve arco di poche ore, con gli alberi verdi, gli uccelli e il sole altissimo quali unici testimoni.

 

      Che strano destino per il giovane ufficiale, uscito fresco fresco dall'Accademia navale nella lontana Europa - così lontana da confinare con la barriera dei sogni -, morire ucciso da un miraggio in quella sperduta isola oceanica. "Attirato dalla meravigliosa vegetazione tropicale", sembra quasi che sia stato colpito da un fato misterioso; come se laggiù, in quell'umida foresta tropicale, il destino gli avesse fissato un appuntamento con il numinoso e con l'indicibile.

      Perché vedere la divinità, significa varcare la soglia da cui nessun umano ha mai potuto ritornare.

 

 

III.

 

 

      L'uomo, venuto con spavalderia a bordo delle sue navi d'acciaio, non aveva però cessato di nutrire una segreta ammirazione per quella natura lussueggiante e "diversa", che pure intendeva dominare e piegare incondizionatamente ai suoi disegni.

      Una passione, quella delle scienze naturali, allora assai duffusa anche fra i militari: l'ammiraglio della squadra tedesca, che appena cinque mesi dopo avrebbe trovato - con tutti i suoi marinai - una tomba senza nome nelle verdi acque subantartiche (7), era egli stesso un valente botanico e zoologo (8).  Si direbbe quasi che, nel momento di tradire irrimediabilmente il tacito patto millenario con la natura, fatto di consapevolezza del limite e di senso del mistero, anche gli uomini più razionali ed "efficienti" ne avvertissero il fascino prepotente, attraversato da impalpabili e pur conturbanti chiaroscuri di sensualità.

 

      Vi è qualche cosa di arcano, di simbolico, nella vicenda di quel giovane ufficiale che trova la morte nello scenario più bello e sontuoso che la natura possa elargire ad un essere umano; quella stessa natua che è stata - con le sue sottili seduzioni - la causa di tale morte.

       E soprattutto vi è qualche cosa di arcano e di simbolico in quella morte, così ingannevolmente simile a un dolce sonno ristoratore, a un tuffo supremo nelle sorgenti dell'eterno rinnovamento: perché nella foresta, metafora dell'universo, tutto muore e tutto rinasce incessantemente.

 

      "Muore giovane chi è caro agli dèi", diceva l'antica saggezza greca; e, in questo caso, senza dolore, nella verde penombra riposante, come un vascello che si smarrisce nel mare infinito, e misteriosamente ritorna fino alle sorgenti stesse della vita…

       Come se lo strappo, la lacerazione tra spirito e natura, tra coscienza razionale e mondo inanimato (ma vi è poi qualcosa di totalmente inanimato, nel mondo?), fossero stati ricuciti dall'olocausto del giovane ignaro.

     Quasi che egli sia stato una sorta di offerta sacrificale per un supremo sforzo di riconciliazione tra uomo e natura; un atto riparatorio  degli umani nei confronti di un creato troppo a lungo sfruttato e alterato, senza riguardo alla nostra sostanziale unità, fisica e metafisica, con esso.

 

 

 

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NOTE.

 

 

1)      Oggi meglio nota col nome di Farallon de Pajaros (in spagnolo, Faraglione degli uccelli).

2)      HANS POCHHAMMER, L'ultima crociera dell'ammiraglio Spee. Battaglie navali di Coronel e Falkland, trad. it. Milano, Omero Marangoni ed., 1932, pp. 29-30. La traduzione (in un italiano un po' approssimativo) è di Pfüttzer-Gaby-Bauer.

3)      Per le incisioni ottocentesche di T. Taylor e altri, cfr. la Nouvelle Géographie Universelle di E. RECLUS, il grande scienziato anarchico (trad. it. Milano, 1898, spec. vol. XV).

4)      KAREL ZEMAN, Vynález zkázy (La diabolica invenzione), dal romanzo Face au drapeau di J. Verne, Cecoslovacchia, 1958; e, con la stessa tecnica, K. ZEMAN, Cesta do praveku (Viaggio nella preistoria), Cecoslovacchia, 1955. Cfr. Il film cecoslovacco, a cura di ERNESTO G. LAURA, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1960.

5)      È il giorno dell'eccidio di Sarajevo, in cui trovarono la morte l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo e la moglie Sofia Chotek. Come è noto, esso fu la causa occasionale dello scatenamento della prima guerra mondiale.

6)      H. POCHHAMMER, Op. cit., pp. 30-31.

7)      Nella battaglia navale delle isole Falkland (8 dicembre 1914), in cui colarono a picco quattro incorciatori tedeschi con 2.040 uomini. Cfr. A.A. V.V., Storia della marina, Milano, F.lli Fabbri ed., 1978  (10 voll.), vol. II, pp.588-592; RICHARD HOUGH, La caccia all'ammiraglio von Spee, trad. it. Milano, Longanesi & C., 1971.

8)      Su questo aspetto della personalità di Maximilian von Spee, cfr. R. HOUGH, Op. cit., pp. 40, 46, 49-50, 62, 67, 151, 229, 252-54.

 

N. B. La illustrazione allegata a corredo dell'articolo è un Paesaggio dell'isola di Guam nelle Marianne, da LUTKE, Voyage autour du monde, 1826-1829, Parigi.

 

 

                                                                 Francesco Lamendola

 

 

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Altri interventi sui medesimi argomenti:

 

-         F. LAMENDOLA, Filosofia e Natura, in Quaderni dell'Associazione Eco-                  Filosofica,  n. 3 del 2003;

-         F. LAMENDOLA, Giardini di vita, pubblicazione Orto Botanico Locatelli, Mestre (Venezia), numero unico, maggio 2004;

-         F. LAMENDOLA, Lo spazio magico del Labirinto, pubblicazione Orto Botanico Locatelli, Mestre (Venezia), numero unico, maggio 2005;

-         F. LAMENDOLA, Piante velenose: minaccia o risorsa?, pubblicazione Orto Botanico Locatelli, Mestre (Venezia), numero unico, settembre 2005;

-         F. LAMENDOLA, Le piante e la bellezza, pubblicazione Orto Botanico Locatelli, Mestre (Venezia), numero unico, maggio 2006;

-         F.LAMENDOLA, Ma che c'entrano gli dèi?, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica, n. 5 del 2005;

-         F. LAMENDOLA, Raimon Panikkar e la Torre di Babele della cultura moderna, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica,  n. 2 del 2005;

-         F. LAMENDOLA, Conversazioni filosofiche 1, in Quaderni dell'Associazione Filosofica Trevigiana,  n. 4 del 2003;

-         F. LAMENDOLA, Conversazion filosofiche 2, in Quaderni dell'Associazione Filosofica Trevigiana, n. 5 del 2003;

-         F. LAMENDOLA, Conversazioni filosofiche 3, in Quaderni dell'Associazione Filosofica Trevigiana, n. 7 del 2003;

-         F. LAMENDOLA, Conversazioni filosofiche 4, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica, n. 6 del 2006;

-         F.  LAMENDOLA,  Conversazioni filosofiche 5, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica, n. 7 del 2006;

-         F.   LAMENDOLA, Oltre il paradigma sviluppista, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica, n. 5 del 2006;

-         F.  LAMENDOLA, Virgilio e le "Georgiche", capolavoro ispirato alle api, in Apitalia, Roma, Melitense ed., n. 548, settembre 2005;

-         F.  LAMENDOLA, Socrate credeva nell'immortalità dell'anima?, in Quaderni dell'Associazione Eco-Filosofica, n. 2 del 2006.

 

 

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