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Hold-up a Baba Gurgur (Turcomannni e Kurdi)

di Gilles Munier - 17/11/2007




Spinti dai loro dirigenti, centinaia di migliaia di Kurdi d’Iraq, ma anche dei Kurdistan siriano, iraniano, turco, si installano a Kirkuk. Ben più del numero degli abitanti espulsi ai tempi di Saddam Hussein. Lo scopo: modificare la composizione etnica della città prima del referendum che a fine 2007 deciderà lo statuto della regione.

A partire dal 10 aprile 2003 – all’indomani della caduta di Bagdad – assistiamo a Kirkuk ad un’autentica invasione kurda: Massud Barzani e Jalal Talabani, rispettivamente dirigenti del Partito Democratico del Kurdistan (PDK) e dell’Unione Patriottica del Kurdistan (UPK) organizzano militarmente la massiccia immigrazione dei Kurdi verso i territori iracheni che vogliono conquistare.

I nuovi venuti si iscrivono nelle liste elettorali e attendono il referendum che si dovrà svolgere entro il prossimo 31 dicembre.

Obiettivo dell’operazione: dare una vernice democratica all’annessione della regione da parte dei Kurdi e cedere agli Americani i campi petroliferi di Baba Gurgur, situati nei pressi di Kirkuk.



Turcomannni e Kurdi


L’International Crisis Group (ISG) ha raccolto la testimonianza di un membro – turcomanno – del Governatorato che riassume la situazione : « Nel 2003, Kirkuk aveva 800 000 abitanti. Ora, ne ha 1 150 000. Da dove vengono i 300 000 abitanti in più? Essi corrispondono a 50 000 famiglie. Si sa che 10 000 famiglie sono state espulse; da dove vengono queste 40 000 famiglie supplementari ? ». Da allora, la popolazione è passata a 1 500 000 abitanti, in maggioranza Kurdi, dunque a favore dell’annessione.

La messa in atto dell’operazione non è semplice, perché l’articolo 140 della nuova “costituzione” irachena stabilisce che il referendum deve essere preceduto dalla “normalizzazione” della situazione nella regione e da un « ri-censimento ». La “normalizzazione” è in corso. Essa significa ritorno dei Kurdi, dei Turcomanni e degli Assiri sfollati e, parallelamente, partenza degli Arabi che li avevano sostituiti. Vengono esercitate pressioni sui Kurdi che rifiutano il ritorno perché si sono rifatti una vita altrove o perché temono che l’annessione si trasformo in un bagno di sangue. Per far loro cambiare idea, il « Governo regionale kurdo » non rilascia loro più documenti amministrativi e li priva di aiuti sociali.


I metodi impiegati contro I non Kurdi sono più radicali. Se essi rifiutano i 15 000 dollari di risarcimento, rischiano di essere assassinate o di sparire nelle prigioni della Regione autonoma.

L’attentato del 7 luglio 2007 ad Amirli – 150 morti, 250 feriti – ricorda la ferocia dell’Irgun in Palestina. Sul luogo, i servizio segreti kurdi sono accusati e la risposta non si è fatta attendere : il 16 luglio un’automobile è esplosa a Kirkuk davanti ad una sede dell’UPK, facendo numerose vittime.


I nuovi arrivati a Kirkuk non ci vivono tutti. Molti restano a Sulimaniya oppure a Erbil, a causa del problema degli alloggi o per ragioni di sicurezza. Non ci vanno che il fine settimana per giustificare il loro « trasloco ». A Kirkuk, per diventare elettori, basta scavare delle fondamenta o prenotare un appartamento in un immobile da costruire…Comunque, il “ri-censimento” non è facile da organizzare. Esso deve fare il conteggio etnico e religioso degli abitanti della regione di Kirkuk, e quello dei “territori disputati”, cioè rivendicati dai Kurdi. Il problema è che essi si estendono dal Monte Sinjar alla frontiera siriana, fino alla frontiera iraniana… e ad una ventina di chilometri a Sud di Bagdad. Per gli Arabi, I Turcomanni, gli Yazidi, i Shabaki, gli Assiri che popolano i luoghi da lustri, ostili alla suddivisione dell’Iraq, si tratta di una dichiarazione di guerra. A Kirkuk ci sono sempre stati dei Kurdi, ma quelli che pretendono che la città sia kurda falsificano la storia. Gli archivi ottomani, i racconti di viaggiatori, i rapporti dei diplomatici incaricati in Mesopotamia e delle spie – specialmente dell’Intelligence Service agli inizi del XX secolo – attestano senza eccezioni che Kirkuk e la sua regione sono turcomanne. I dirigenti kurdi fanno risalire il loro diritto di costituire uno Stato al Trattato di Sèvres del 1920, ma dimenticano di dire che il Kurdistan promesso… non comprendeva Kirkuk. All’epoca, i Britannici non avrebbero apprezzato che essi reclamassero una regione con risorse tanto promettenti : le falde petrolifere scoperte andavano da Mossul a Kasr El Chirin, passando sotto Tuz Khurmatu, Kifri, Mandali, regioni popolate in maggioranza da Turcomanni e non da Kurdi. Nel febbraio 1925, la commissione della Società delle Nazioni che trattava sulla questione di Mossul – attribuita alla Franca dall’accordo Sykes-Picot - propose ufficiosamente ai dirigenti iracheni di unire il governatorato all’Iraq, se essi si fossero impegnati a cedere ai Britannici la Compagnia Turca dei Petroli, cosa che essi fecero. La frontiera irachena fu dunque tracciata come volevano gli Inglesi.

La scoperta dell’immenso campo petrolifero di Baba Gurgur, il 15 ottobre 1927, sconvolse l’equilibrio etnico della zona. Ai Kurdi che ci vivevano, si aggiunsero quelli reclutati dall’Irak Petroleum Company (IPC) : montanari ritenuti docili e forti nel lavoro. Fu loro riservato il quartiere Imam Kassim, a Kirkuk. L’IPC li preferiva ai Turcomanni, sospettati di kemalismo, e li utilizzava per contrastare la crescente influenza in Iraq del nazionalismo arabo e del bolscevismo.


I Kurdi di Kirkuk sono in buona parte discendenti dai profughi delle guerre scatenate sotto la monarchia e i regimi repubblicani. La rivolta di Sheikh Mahmud, proclamato « re del Kurdistan » nel novembre 1922, fu schiacciata nel sangue. Vi si rifugiarono migliaia di montanari kurdi, che fuggivano i letali bombardamenti col gas della RAF. Nel 1945, la prima rivolta di Mustafà Barzani fu anch’essa stroncata dagli Inglesi. Gli abitanti dei villaggi distrutti vi affluirono anch’essi, mentre il loro capo trovò asilo in URSS dopo un breve periodo come generale nell’effimera Repubblica kurda di Mahabad, in Iran.


La guerra per Kirkuk

Dopo il rovesciamento della monarchia, il 14 luglio 1958, il Presidente Abdel Karim Kassem decretò un’amnistia generale. Barzani, allora filo-comunista, rientrò trionfalmente a Bagdad. L’intesa tra loro durò due anni, finché il capo kurdo – consigliato dai Sovietici desiderosi di ostacolare gli approvvigionamenti petroliferi occidentali – pretese la creazione di una regione autonoma con capitale Kirkuk. Kassem gli dichiarò subito guerra. Nel settembre 1961, migliaia di profughi kurdi finirono a Kirkuk. Furono installati ad Iskan, ad est della città.

Dato che l’URSS, alla fine, sostenne i successivi governi iracheni, Barzani si rivolse all’Iran, a Israele e agli Stati Uniti che lo utilizzarono per destabilizzare il regime dei fratelli Aref, poi dei baathisti giunti al potere nel luglio 1968. Nel giugno 1972, Barzani si oppose alla nazionalizzazione dell’IPC affermando che il petrolio del nord era kurdo e che ne avrebbe ceduto lo sfruttamento agli Americani dopo l’accesso dei Kurdi all’indipendenza. Nel marzo 1974, rifiutò la legge di autonomia negoziata con Saddam Hussein, con il pretesto che la carta della Regione non inglobava Kirkuk. Ripresero i combattimenti, con il loro carico di morti e di profughi. La guerra Iran-Iraq del settembre 1980 causò la distruzione di nuovi villaggi lungo le frontiere con l’Iran. I superstiti si ritrovarono a vivere in frazioni costruite nella piana di Erbil. Dopo la caduta di Bagdad, il 9 aprile 2003, essi sono stati trasferiti a Kirkuk nella prospettiva del référendum.

La guerra del Golfo del 1991, l’embargo e poi il rovesciamento di Saddam Hussein, hanno dato ai separatisti kurdi l’opportunità di creare uno Stato. Sapranno coglierla ? Niente è meno sicuro, perché Kirkuk non è solo un pomo della discordia tra Iracheni – Arabi e Turcomanni contro Kurdi - ma tra Massud Barzani e Talabani che si detestano cordialmente. Quest’ultimo fa valere dei diritti specifici, sostenendo che la maggiore parte dei Kurdi di Kirkuk parla il Sorani, dialetto di Soulimaniya, suo feudo.

I due capi di guerra si dedicano al rilancio verbale senza misurare le conseguenze. Per Barzani, Kirkuk è « il cuore del Kurdistan », e per Talabani la « Gerusalemme dei Kurdi », un suggerimento, si dice, del Mossad israeliano. Forti delle promesse americane, essi pensano di avere la meglio. Se avranno successo, la città sarà la capitale della Regione autonoma, poi di uno Stato « indipendente » e, forse un giorno, quella di un « Grande Kurdistan » comprendente le regioni kurde dei paesi limitrofi. L’impresa americana Bechtel che ha costruito l’oleodotto Kirkuk-Haïfa – chiuso con la creazione di Israele nel 1948 - già studia il modo di alimentare Israele in petrolio e acqua a partire dal Kurdistan iracheno

Evidentemente, questo significa fare I conti senza la resistenza irachena e senza la reazione più o meno violenta dei Turcomanni o dei kemalisti che ritegono di avere un diritto di ispezione sull’antico wilayet di Mossul. Vuol dire anche ignorare Moqtada Sadr il quale sostiene gli Sciiti delle Paludi espulsi da Kirkuk. Questo non ha loro tolto il diritto di voto nel governo, dice. I trasferimenti dell’iscrizione degli Arabi o dei Turcomanni in liste elettorali di altre regioni – in cambio di poche centinaia di dollari – sono del tutto illegali. Egli si propone di organizzare con loro un referendum parallelo se i Kurdi manterranno il loro.

L’hold-up kurdo in preparazione a Kirkuk inquieta il Vicino Oriente. Secondo Al-Binah al-Jadidah, quotidiano sciita di Bagdad, re Abdallah d’Arabia ha proposto lo scorso aprile a Massud Barzani e Borham Saleh, « Vice Primo ministro » iracheno, 2 miliardi di dollari per rinviare il referendum di 10 anni. Essi hanno rifiutato.

Bloomberg Markets stima a 25 miliardi di barili le riserve di petrolio della Regione autonoma.

Con Kirkuk – 10 miliardi di barili – e i « territori disputati » – 20 miliardi di barili – i proventi del « Grande Kurdistan iracheno » supererebbero quelli del Messico o della Nigeria.

È comprensibile che tali cifre diano le vertigini ai capi feudali kurdi e suscitino all’estero non poche bramosie.




http://http://www.afrique-asie.fr/article.php?article=215