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Scegliere la propria evoluzione è scegliere l'Essere invece del non-Essere

di Francesco Lamendola - 19/11/2007

 

Una cosa è esistere, una cosa è essere.

Esistere vuol dire lasciarsi portare dall’esistenza, meccanicamente, passivamente.

Essere vuol dire scegliere la propria esistenza: con amore, con convinzione, con fiducia.

Generalmente si pensa che l’esistere sia proprio delle cose, delle piante e degli animali, mentre essere sia proprio dell’uomo.

Veramente non abbiamo elementi sufficienti per affermare che le cose, le piante e gli animali esistano in maniera del tutto inconsapevole: semplicemente, non ne sappiamo abbastanza.

Quanto all’uomo, è un errore pensare che egli sia per il solo fatto d’essere uomo.

Si può essere umani senza alcuna reale consapevolezza: dunque  si può scegliere di esistere anziché di essere. È sempre una scelta, ma una scelta regressiva. Io scelgo di collocarmi al livello più basso dell’evoluzione possibile, dunque scelgo di esistere. Non mi assumo la responsabilità di scegliere la mia esistenza in quanto tale; scelgo solo di non scegliere, cioè di esistere. Per far questo, non c’è bisogno di avere un’anima e neppure un sistema nervoso centrale: un midollo spinale potrebbe bastare e avanzare.

Se scelgo la mia esistenza con amore, convinzione e fiducia, compio uno straordinario salto di qualità: da essere umano a creatura spirituale consapevole e benevola.

Certo, posso anche scegliere la mia esistenza con odio e sfiducia, come hanno fatto tanti falsi maestri, da Freud a Sartre. Diverrò allora una creatura spirituale malevola: e, se lo farò deliberatamente, scenderò al livello di un demonio: creatura malvagia e infelice per eccellenza. Malvagia perché infelice, e infelice perché priva di amore e di speranza.

Dire “uomo” significa poco: è un contenitore talmente vasto che può comprendere realtà diversissime, addirittura non confrontabili.

La condizione umana, in effetti, è un punto fuggevole tra l’incomprensibilità del sub-umano e l’incommensurabilità dell’oltre umano. È una condizione precaria, instabile, al punto che non le è consentito di rimaner ferma in se stessa: o si regredisce a livelli pre-umani, animaleschi o addirittura demoniaci; o si avanza e ci si espande, in maniera potenzialmente illimitata, nella sfera misteriosa e affascinante dell’oltre umano.

Noi siamo già il futuro dell’uomo. L’uomo è una maschera che deve essere abbandonata, una impalcatura che serve per attraversare il fiume tumultuoso del qui-e-ora. Non un ente nel senso pieno della parola, ma una potenzialità infinita.

Parole profonde, a questo proposito, ha detto Bhagwan Shree Rajneesh, un maestro che, specialmente nella seconda parte del suo percorso spirituale, stava incominciando a dire alcune verità importanti, ma scomode. Talmente scomode che, forse, i servizi segreti americani (egli aveva tentato di fondare una comunità nel cuore degli Stati Uniti) decisero di eliminarlo, come è ipotizzato nel libro di Majid Valcarenghi e Ida Porta Operazione Socrate, Milano, Tranchida Editori,  1995). E se questo pensiero dovesse apparire troppo fantascientifico, si rifletta che altri maestri scomodi sono stati tolti di mezzo negli Stati Uniti, valga per tutti il nome di Wilhelm Reich.

Nel libro La rivoluzione interiore (edizione originale Bombay,1973; traduzione italiana Roma, Edizioni Mediterranee, 1983, pp. 13-19), Rajneesh delinea un quadro efficace della condizione umana e della necessità, per l’uomo, di operare una evoluzione individuale o, come egli preferisce chiamarla (per sottolineare la differenza con l’evoluzione in senso proprio, che è inconscia), una “rivoluzione interiore”.

 

“Con l’uomo cessa il processo naturale, meccanico dell’evoluzione. L’uomo è l’ultimo stadio dell’evoluzione inconscia, con l’uomo inizia l’evoluzione cosciente.

“Molte cose vanno prese in considerazione. Prima di tutto: l’evoluzione inconscia è meccanica e naturale. Accade di per sé. Tramite questo tipo di evoluzione si sviluppa la coscienza; quando la coscienza entra nell’esistenza, l’evoluzione inconscia si arresta perché il suo scopo è stato raggiunto. L’evoluzione inconscia è necessaria finché la coscienza si affaccia nell’esistenza.

“L’uomo è diventato un essere cosciente. In un certo senso ha trasceso la natura. Da questo momento in poi la natura è diventata impotente, ha raggiunto il limite possibile con una evoluzione naturale. D’ora in poi l’uomo diventa libero di decidere se evolversi o no.

“La seconda cosa da ricordare: l’evoluzione inconscia è collettiva, ma dal momento in cui l’evoluzione diventa cosciente, diventa individuale. Aldilà dell’evoluzione umana, della natura dell’uomo, non è più possibile nessuna evoluzione automatica o collettiva. D’ora in poi l’evoluzione diventa un processo individuale. La coscienza crea l’individualità. Prima che la coscienza si evolvesse non v’era alcuna individualità, esisteva solo la specie, non l’individuo.

“Finché l’evoluzione è inconscia, tutto segue un processo automatico, non esistono sorprese di alcun genere. Le cose accadono secondo la legge di causa-effetto. L’esistenza è un fenomeno meccanico, dal funzionamento sicuro. Ma con l’uomo, con l’avvento della coscienza, compare nell’esistenza l’incertezza. D’ora in poi nulla è certo: l’evoluzione può aver luogo, può non verificarsi; vi è il potenziale, ma la scelta dipende completamente da ogni singolo individuo.

“Ecco perché l’ansia è un fenomeno prettamente umano. Al di sotto della natura umana non vi è alcuna ansietà, perché non vi è nessuna possibilità di scelta. Ogni cosa accade come deve accadere. Non vi è né scelta, né colui che sceglie, pertanto l’ansia è impossibile.

“Con la possibilità di scelta compare anche l’ansia, come un’ombra. D’ora in poi, ad ogni istante dovrai scegliere, ogni cosa diventa il risultato di uno sforzo cosciente. Tu sei il solo responsabile: se fallisci, sei tu che hai fallito, è una tua responsabilità. Se riesci, sei tu che hai avuto successo, ancora una volta è una tua responsabilità. In un certo senso ogni scelta è assoluta. Non puoi respingerne le conseguenze, non puoi dimenticarla, né tornare indietro. La tua scelta diventa il tuo destino. Resterà sempre con te fino a diventare parte di te, non potrai liberartene mai più. Ma la tua scelta è sempre una scommessa, un gioco d’azzardo. Ogni scelta è fatta al buio perché non vi è mai nulla di certo. Ecco perché l’uomo soffre di ansia. Ciò che lo tormenta, per cominciare, è l’antico  dilemma: essere o non essere? Farlo o non farlo? Fare questo o fare quello?

“Se non scegli, hai scelto di non scegliere, anche questa è una scelta. Così sei obbligato a scegliere, non sei libero di non scegliere. Non scegliere avrà sulla tua vita lo stesso peso di qualsiasi altra scelta.

“La coscienza dell’uomo è la sua dignità, la sua bellezza e la sua gloria. Ma è anche il suo fardello. Quando diventi cosciente, la gloria e il fardello giungono simultaneamente, ogni tuo passo è un movimento tra questi due fenomeni. Con l’uomo compaiono nell’esistenza la scelta e la coscienza individuale. Ora puoi evolverti, ma la tua evoluzione sarà uno sforzo individuale. Potrai forse diventare un Buddha o non diventarlo affatto, ma la scelta dipende solo da te. (…)

“La scelta cosciente verso l’evoluzione è una grande avventura, la sola avventura che esista per l’essere umano. Il cammino è arduo, non può essere altrimenti. Sarà costellato di errori, di cadute, di fallimenti perché non vi è alcuna certezza. Questa situazione crea tensione per la mente: non sai dove ti trovi, né dove stai andando. Hai perso la tua identità.

“Questa situazione può spingerti al suicidio. Il suicidio è un fenomeno prettamente mano, è nato nell’uomo insieme alla possibilità di scelta. Gli animali non possono suicidarsi, perché per loro non è possibile scegliere la morte coscientemente. La loro nascita avviene a livello inconscio, e così la loro morte. Ma con l’uomo – l’uomo ignorante, l’uomo non ancora evoluto – almeno una cosa è diventata possibile: la possibilità di scegliere la propria morte.

“La nascita non viene scelta; per quanto riguarda il fenomeno ‘nascita’, siete ancora nelle mani dell’evoluzione inconscia. In effetti la vostra nascita non è un avvenimento che si colloca nella sfera dell’umano, appartiene ancora alla natura animale, perché non dipende dalla vostra scelta. L’uomo comincia solo con una scelta. Ma potete scegliere la vostra morte, è un atto che può essere deciso. Così il suicidio diventa in definitiva un atto umano.

“E se non scegli l’evoluzione cosciente, con ogni probabilità finirai per scegliere il suicidio. Forse non hai il coraggio di suicidarti realmente, ma ti avvierai verso un lento, prolungato suicidio, trascinerai la tua esistenza, aspettando solo di morire.

“Non puoi dare la responsabilità della tua evoluzione a nessun altro. Accettare questa situazione ti darà una forza immensa, perché aumenterà la tua consapevolezza d’essere in un processo di crescita, di evoluzione individuale…”

 

Certo, alcune affermazioni di Rajneesh andrebbero discusse. Ad esempio, resta da vedere se l’evoluzione collettiva sia davvero inconscia; se esista una evoluzione inconscia; e se sia proprio vero, come lui dice, che Aurobindo garantiva l’evoluzione a tutti e senza fatica, appunto perché inconscia, automatica; o se piuttosto non intendeva affrettare il corso dell’evoluzione cosmica, mediante un esercizio deliberato della volontà.

Un’altra cosa che si potrebbe discutere, mentre egli la dà per scontata, è se davvero l’essere umano non abbia alcuna parte nella scelta di nascere (affermazione, oltretutto, in contrasto con la credenza, da lui professata, nel ciclo delle rinascite). Secondo alcune scuole di pensiero, noi scegliamo la nostra nascita tanto quanto scegliamo la nostra morte; ma non è questa la sede per approfondire un tale argomento.

Quel che ci preme sottolineare non sono i punti di disaccordo o di perplessità, ma i punti di convergenza con il pensiero di Rajneesh. E l’idea centrale del suo assunto ci sembra senz’altro valida e condivisibile: a noi toccano l’ansia, la responsabilità e la gioia della scelta che, sola, ci introduce veramente nella sfera dell’essere. E altrettanto vero è che noi siamo condannati a scegliere (come sostengono gli esistenzialisti), tanto che scegliamo anche quando scegliamo di non scegliere; ma che solo da una scelta progressiva, cioè diretta ad affermare e ad assumere, e non a negare e rifiutare, tale responsabilità ineludibile, possiamo uscire dal circolo vizioso dell’ego e partecipare alla gioia della partecipazione consapevole all’evoluzione cosmica. Solo così possiamo sentirci parte di un tutto armonioso e non frammenti separati e infelici, dunque votati al male (se non degli altri, di noi stesi).

È vero quel che egli dice del suicidio: che se nasce, come in genere avviene, da una ipertrofia dell’ego, non porta affatto a una liberazione, ma a un rafforzamento delle catene dell’ego medesimo. Questo non aveva capito il povero Carlo Michelstaedter, suicida per orgoglio di affermare la propria libertà nell’unica direzione possibile: quella dell’uscita dalla vita.

La verità è che nella vita non siamo entrati con le nostre forze, e che, tuttavia, ad essa abbiamo dato un assenso preventivo. Lo hanno dato le generazioni che ci hanno preceduto, creando le condizioni per ché noi potessimo entrare nella vita; e lo ha dato, probabilmente, la nostra essenza spirituale, in un dove e un quando che ora non possiamo ricordare ma che, come pensava Platone, risale a quel legame originario con l’Essere che si manifesta poi, nella nostra vita condizionata alla dimensione spazio-temporale, sotto forma di innata, profonda nostalgia.

Perché proveremmo una tale nostalgia nei confronti dell’Essere, se non vi fosse stato un “tempo” (un tempo fuori del tempo) in cui eravamo tutt’uno con lui, e se di esso una parte della nostra anima non serbasse un sia pur vago ricordo?

Ma per tornare all’Essere non vi è che una strada: scegliere la nostra esistenza e sceglierla con amore, convinzione e fiducia.

Scegliere di essere e non solo di esistere, appunto.

In quel momento avviene la rivelazione: spogliandosi del proprio ego, i veli cadono e si scopre che dall’Essere, in realtà, non ci eravamo mai allontanati. Lo avevamo creduto, però; e da quella illusione erano nati il disordine, la disarmonia, la sofferenza, la paura e il desiderio di fuga. Come la fuga nel suicidio: una fuga inutile, che non libera l’anima, che non sopprime le cause dell’angoscia e della sofferenza.

Scegliere di essere, dunque, corrisponde al movimento spirituale più grande che la natura umana possa compiere; l’unico che porti liberazione e pace.

Senza dubbio è per questo che i poteri malvagi, che oggi tengono l’umanità in catene, non desiderano affatto una tale consapevolezza e fanno tutto ciò che sta in loro per impedirla.

A noi spetta di fare tutto ciò che possiamo per realizzarla in noi stessi e per favorirla nei nostri compagni di viaggio.