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Kosovo: una vergogna europea

di Stefano Vernole* - 19/11/2007


Le elezioni parlamentari tenutesi in Kosovo e Metohija sabato 17 novembre sono estremamente indicative dell’incredibile situazione generata nella regione ex jugoslava dagli interessi geopolitici statunitensi e dall’assoluta inadeguatezza dell’Unione Europea.

Innanzitutto i risultati elettorali: per la seconda volta da quando le truppe della NATO hanno preso possesso della Provincia serba, i partecipanti al voto non hanno raggiunto nemmeno il 50% degli aventi diritto, uno smacco oggi tanto più evidente in quanto giunge a meno di un mese dalla data (10 dicembre) in cui la maggioranza albanese del Kosmet dovrebbe proclamare la propria indipendenza da Belgrado.
Il governo di Kostunica, che aveva invitato la minoranza serba al boicottaggio del voto, può ora cantare vittoria, sottolineando con forza che evidentemente gli stessi Albanesi del Kosovo non vogliono un’ “indipendenza” gestita dalla mafia balcanica e monitorata dalle truppe dell’Alleanza Atlantica (alla quale è già previsto che il Kosovo indipendente dovrà appartenere).

Secondariamente, i vincitori delle elezioni simboleggiano il doppio peso utilizzato dalla “Comunità Internazionale”; mentre il Presidente del Partito Radicale serbo, Vojislav Seselj, movimento di maggioranza relativa in Serbia, si trova rinchiuso nelle carceri dell’Aja con accuse improbabili, il capo di un esercito di narcotrafficanti, Hashim Thaci, ex comandante di quell’UCK un tempo definito da Washington “movimento terroristico”, si prepara a ricevere l’incarico di nuovo premier del Kosovo.
D’altronde anche gli altri candidati non spiccavano certo per doti morali, dall’ex UCK Ramush Haradinaj, che pur detenuto all’Aja gode di una libertà di movimento sconosciuta agli altri imputati, al finanziere Behgjet Pacolli, implicato insieme a Boris Eltsin nel riciclaggio dei proventi derivanti dalla ristrutturazione del Cremlino.

Non a caso i portavoce della Nuova Armata Nazionale albanese per la liberazione del Kosovo (AKSH) possono rilasciare tranquillamente interviste nelle quali annunciare futuri confronti militari con ipotetici gruppi armati serbi, in virtù di un esercito di 12.000 uomini riorganizzatosi indisturbato in questi 8 anni sotto gli occhi complici della NATO.
In terzo luogo, questa chiamata alle urne umilia in maniera irreparabile le pur possibili aspirazioni che qualche capo di Stato europeo aveva lasciato intravedere su una possibile autonomia del Vecchio Continente dall’egemonia nordamericana.

Permettere che ai seggi di un’elezione riguardante una seppur piccola regione (il Kosovo è grande circa quanto l’Abruzzo) venissero issate la bandiera dell’Albania (1) e quella degli Stati Uniti legate assieme, rappresenta uno schiaffo alla sovranità non solo della Serbia, che tuttora potrebbe rivendicare in base alla Risoluzione 1244 dell’ONU il controllo della Provincia, ma della stessa Europa alla quale il Kosovo appartiene non solo geograficamente.

Forse è proprio la ricchezza spirituale del Kosmet, con la sua storia e le sue ricchezze artistiche, ad aver “favorito” questo processo di extraterritorialità, non potendo assolutamente l’Europa odierna, umiliata dai camerieri della Banca Centrale e protesa verso un modello di sviluppo “americanizzato”, identificarsi in un tale retroterra culturale.

Invece di prodigarsi in uno scatto di orgoglio per l’ennesimo esproprio subito, l’Unione Europea ha preferito fare la “voce grossa” contro Vladimir Putin, annunciando per bocca dell’OSCE il ritiro dei propri osservatori in vista delle consultazioni legislative russe del prossimo 2 dicembre.

Questo ulteriore “capolavoro” diplomatico nei confronti di Mosca, rea di aver tagliato la quota abituale di delegati internazionali presente alle proprie elezioni, dimostra ancora una volta lo stupido eurocentrismo di cui sono malati i burocrati di Bruxelles (2) e soprattutto evidenzia in quale schieramento essi intendono giocare la partita strategica ormai in atto tra due blocchi ben contrapposti, quello atlantista e quello dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai.

Un filosofo che prima di ogni altro aveva ben compreso la decadenza verso la quale l’Europa si stava incamminando, scrisse una volta che “la scimmia dell’uomo è il peggior nemico dell’uomo”; ora, adattando la frase alle nostre circostanze, potremmo tranquillamente azzardare che “la scimmia dell’Europa è il peggior nemico dell’Europa” …


*Stefano Vernole, giornalista pubblicista, esperto di questioni balcaniche e di conflitti congelati, è coautore di “La lotta per il Kosovo”, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2007 e redattore di Eurasia. Rivista di studi geopolitici.



Note

1)Oltre alla percentuale dei votanti inferiore al 50%, la questione del simbolo è un’altra delle contraddizioni più evidenti dei sostenitori di un Kosovo indipendente dalla Serbia; quando Ibrahim Rugova, che pure nel 2000 godeva di un consenso plebiscitario, propose di dotare il Kosovo di una propria bandiera, aggiungendo al tradizionale vessillo albanese una stella e un logo con la scritta “Dardania”, l’associazione dei veterani di guerra dell’UCK rubò i 200 stendardi così preparati e li bruciò pubblicamente. Evidentemente, coloro che sottolineano la presunta specificità degli Albanesi del Kosovo, ignorano l’evidente legame che li unisce a Tirana e il probabile effetto a catena scatenabile nei Balcani da un via libera al nazionalismo panalbanese.
2)La tipica mentalità illuminista, di cui rimane pervasa l’Unione Europea, pretende di insegnare ai Russi come va governato il proprio Paese e dimostra così come il Vecchio Continente costituisca soltanto una variante “morbida” al dogma sistemico statunitense dell’ “esportazione della democrazia”. Questa presunzione europea sta suscitando in Russia una risposta nazionalista di portata sempre maggiore, che ha favorito al contrario una forte intesa tra Mosca e Pechino, alleate nella richiesta di un mondo multipolare non solo sul piano strategico ma anche su quello culturale. Sembra quasi che l’Occidente voglia continuare a proporsi come modello ideale, dal quale gli altri devono solo imparare, dimenticando però che il forte progresso economico dell’Asia ha reso negli ultimi anni molte di queste nazioni assolutamente gelose delle proprie specificità. Tuttavia rimane assodato per i dirigenti europei che il processo elettorale in Russia meriti di essere monitorato da osservatori internazionali, mentre quello statunitense – che pure ai tempi della prima elezione di Bush jr. registrò gravissimi brogli in Florida – costituisca un esempio da imitare …