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Il libro della settimana: Éric Brunet, Il tabù della destra. La Francia ha Sarkozy e l’Italia?

di Carlo Gambescia - 21/11/2007

Il libro della settimana: Éric Brunet, Il tabù della destra. La Francia ha Sarkozy e l’Italia?, a cura di Angelo Mellone con interventi di Oliviero Diliberto, Barbara Palombelli, Michele Serra, Castelvecchi, Roma 2007, pp. 266, euro 18,00.

Ci sono libri inutili. E quello di Éric Brunet, giornalista di France 3, molto noto oltralpe, appartiene a questa categoria. Oppure, a voler essere larghi, Il Tabù della destra (Castelvecchi, Roma 2007, pp. 266,euro 18,00) può essere letto come appendice gialla in stile "a morte i comunisti mangiatori di bambini". Ma a quale libro? A quell’autentico capolavoro di sociologia della conoscenza scritto nel 1955 da Raymond Aron: L’oppio degli intellettuali. Anche se, leggere il libro di Brunet dopo quello di Aron, se ci si passa la battuta, è come passare all’improvviso da Petrolini al Cabibbo…
Aron sostenne con grande acume sociologico la natura esclusivista ed elitaria di certa sinistra che civettava con il comunismo e l’idea di rivoluzione. E alla cui base vi era la pericolosa convinzione di essere dalla parte giusta della storia: di qui una guerra delle parole, fatta di scomuniche nei riguardi di una destra, giudicata nella migliore delle ipotesi come criptofascista. All’epoca il libro venne messo all’indice da Sartre e accoliti. In Italia fu pubblicato da Cappelli nel 1958 e subito “silenziato”, come si dice oggi. E infine riedito nel 1998 da Ideazione Editrice, grazie all’infaticabile lavoro di un intelligente “aroniano” come Alessandro Campi. Il testo è perciò ora disponibile, per chiunque voglia seriamente approfondire la questione...
Perché diciamo la verità: nel libro di Brunet l’ analisi latita. E l’intero testo maleodora di pezzi scritti in fretta e con la bava verdastra dell'invidia alla bocca, verso una sinistra acchiappa-privilegi. E poi raccolti in un libro pieno di pettegole confessioni para-redazionali antisinistra, giusto in tempo per salire al volo sul carro intellettuale del vincitore: Sarkozy.
Per carità nulla di male… Tutti sappiamo quanto sia debole la carne e come funzionino gli ingranaggi politici di un' industria culturale, capace di fiutare anche il minimo cambiamento di vento politico. Anche se, per dirla tutta, Raymond Aron da vero liberaldemocratico preferiva sempre andare a piedi e in solitudine.
C’è poi un aspetto del libro particolarmente sgradevole. Brunet, così pronto a difendere quegli intellettuali francesi penalizzati da una sinistra dipinta come inquisitoria e parassita, non spende invece una parola su Alain de Benoist: vero esempio di intellettuale integerrimo ma vittima di una pesante discriminazione, anche professionale. Tuttora in atto. Anzi, Brunet lo cita, ma solo una volta, e per avvalorare ad usum Sarkozy, la strategia politica dell’attuale presidente, che avrebbe ripreso da de Benoist e, per sua stessa ammissione, da Gramsci, l’idea di un “gramscismo di destra, come ricerca dell’egemonia culturale (p. 55). Ma in quale modo? Cooptando nel governo anche personalità di sinistra affamate di presenzialismo... Mah… Lasciamo all’intelligenza del lettore ogni valutazione sulla consistenza intellettuale di questo filo rossonero tra de Benoist, Gramsci e Sarkozy…
Perciò, in prima battuta, non si capisce come mai un giovane e colto politologo, appena trentenne, come Angelo Mellone, abbia accettato di curare un libro inutile come quello di Brunet. Offrendo addirittura spazio agli altrettanto inutili interventi di Oliviero Diliberto, Barbara Palombelli, Michele Serra: perfetti inanellatori di banalità degne del fumo di “Porta a Porta”.
In realtà un perché c’è. E si scopre nell’introduzione, dove Mellone, da cavallino di razza, affrontando il problema italiano sulla falsariga di quello francese, introduce quasi di soppiatto una interessante tripartizione concettuale fra destra ideale; destra tratteggiata dalla sinistra; destra reale, o sociologica.
Quella ideale, che crediamo piaccia a Mellone, rinvia più alla sensibilità di intellettuali come de Benoist e Buttafuoco, tanto per fare due nomi importanti. E rimanda a una visione eroico-romantica di una destra anticipatrice in grado di farsi anche sinistra. O addirittura di andare oltre ogni discrimine politico-parlamentare… Niente a che vedere insomma con la destra liberale alla Raymond Aron. Più sicura ma statica.
La destra tratteggiata dalla sinistra, e ben cesellata da Mellone, è una specie di mix tra fascismo-regime, populismo razzista e l' Italia ridanciana e cafona di certi film natalizi. Un’antropologia, alla quale certa destra, immaginaria (ma fino a un certo punto), sembra talvolta ubbidire in termini di Labeling Theory ( mi comporto come il mio avversario, la sinistra, si aspetta che io mi comporti…): con risultati politicamente disastrosi.
Infine la destra reale. Che si compone di ceti medi moderati, poco ideologizzati, che sognano meno tasse e più sicurezza sociale e morale, piuttosto che rivoluzioni neoliberiste o fascismi immensi e rossi.
Ora qui, nonostante le sue notevoli capacità analitiche, sembra sfuggire a Mellone il vero problema: quello dell’ impossibilità di conciliare culturalmente nell’Italia di oggi una destra eroica e spericolata, che ripetiamo sembra piacergli, con quella prosaica di un elettorato di destra che preferisce le pantofole delle certezze, tipo law and order. In un quadro politico-culturale - ecco il punto problematico - che evolve oggettivamente, e giustamente, verso il superamento della frattura fascismo-antifascismo, nonché verso la legittimazione di una destra democratica, conservatrice e liberale, capace però di guardare al centro verso i ceti medi in pantofole. Insomma, una destra reale, o sociologica, che come mostrano le scelte di Brunet, snobbi de Benoist e incensi Sarkozy in nome della sicurezza e del benessere sociale.
Pertanto smascherare e rifutare la Labeling Theory ad uso e consumo della sinistra, come sottolinea Mellone, chiosando Brunet, va benissimo, ma poi bisogna fare il passo successivo, almeno in Italia Quale? Se si vuole far politica culturale in un’Alleanza Nazionale, che oggi guarda con entusiasmo a Sarkozy e alla destra liberale e moderata, la destra eroica e romantica va relegata in soffitta. Per puntare alla conciliazione politico-culturale, senza qui voler fare alcuna ironia, tra liberalismo e pantofole…
Al contrario, per coloro che non condividono l'itinerario politico-sistemico di An, e che aspirano a muoversi liberamente all’esterno, devono invece restare necessari come l’aria, la critica e il confronto a tutto campo con le idee più diverse se non opposte. Anche perché, di fatto, l’intellettuale “non conformista”, non essendo un funzionario culturale di partito, non ha il problema delle scadenze elettorali. Ma, come mostra la sorte di de Benoist e di altri anche in Italia, c’è un prezzo molto alto da pagare… E non tutti se la sentono.
Mellone, insomma deve fare una scelta, o comunque aiutare il lettore (di destra) a farla. Qui il vero punto della questione è quello di capire che tra le due situazioni politico-culturali (“in” e “out”) non può esservi ponte. A meno che non si voglia fare al tempo stesso “in e “out”, scadendo però, visto che il fascismo immenso e rosso è prudente lasciarlo perdere, nel solito giochino giornalistico dell’immaginario comune o generazionale degli italiani, flessibile come un elastico. Ad esempio, cercando di contendere i registi “rivoluzionari” e i fumettari anni Settanta alla sinistra… E magari proponendoli a un elettore di destra in pantofole che ancora rimpiange i film di Aldo Fabrizi e ricorda solo i fumetti di Walt Disney… E che continua ad apprezzare le trombe del "Dio Patria e Famiglia".
Certo, una destra democratica e liberale non può appiattirsi neppure sui valori del conservatorismo puro ( e scambiare le trombe con i tromboni...). Il problema perciò è quello di trovare un punto di equilibrio fra tradizione (conservatrice) e modernità (liberale, ma non libertina). E non di appiattirsi su una specie di destra yéyé che magari rincorra il veltronismo culturale, rischiando di precipitare nel ridicolo... Ma su quest'ultimo punto, Mellone, da studioso di scienze politiche, probabilmente sarà d'accordo con noi.
Perciò, concludendo, vogliamo considerare la temporanea coabitazione Brunet-Mellone solo come un piccolo incidente di percorso. Lungo una strada, che considerate le qualità di intellettuali del giovane politologo italiano, sarà in futuro ricca di belle soddisfazioni professionali.