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Guerra contro l'Europa

di Romolo Gobbi - 21/11/2007

Nel 2000 pubblicai un pamphlet contro l’intervento americano nell’ex Jugoslavia. In un primo momento gli USA fecero i pacifisti, anche se avrebbero voluto la dissoluzione della Jugoslavia. Le premesse erano riposte nei vecchi rancori tra Serbi, Croati e Bosniaci, sui quali intervennero in molti per far scoppiare la guerra civile in Jugoslavia. Innanzitutto, la Chiesa Cattolica, che voleva riacquistare il pieno controllo sulla Croazia e la Slovenia cattoliche: il Papa Wojtyla, il 17 agosto 1991, visitando la città di Pécs, in Ungheria, vicino ai confini con la Serbia e la Croazia, denunciò le sofferenze della Chiesa Cattolica croata: “Condivido il profondo dolore dei benemeriti vescovi croati, che vedono il loro gregge disperso, le chiese distrutte”. Per la dissoluzione della Jugoslavia erano anche la Germania, che voleva riacquistare il controllo economico e politico già avuto in passato, e l’Austria, per l’esistenza di una forte minoranza slovena nel proprio territorio. Alle pressioni politiche si aggiunsero naturalmente le forniture militari: “Le armi giunsero in Croazia dai paesi cattolici europei, quali Germania, Polonia, Ungheria, nonché da stati dell’America Latina, quali Panama, Cile, Bolivia. Con l’intensificarsi della guerra del 1991, le esportazioni di armi spagnole, a quanto pare controllate soprattutto dall’Opus Dei, aumentarono di ben sei volte, ed erano dirette a Zagabria e a Lubiana”. Anche l’Italia contribuì al riarmo della Croazia e della Slovenia: “già nell’ottobre del ’91, a Zara e Karlovac sarebbero arrivati dal nostro paese cento missili aerei Stinger e nella primavera del ’92 missili anti-carro e anti-aerei tedeschi del valore di molti milioni di dollari”.
Senza questi “interventi” la separazione della Croazia e della Slovenia sarebbe avvenuta quasi pacificamente, secondo gli accordi di Londra tra Tudjiman e Milosevic. Anche la spartizione della Bosnia avrebbe dovuto avvenire con una guerra limitata; infatti: “in seguito agli accordi di Kadjordjevo, tra Zagabria e Belgrado si apre una linea di comunicazione che resterà ininterrotta lungo tutti gli anni di guerra”. Ma anche in Bosnia, in seguito alle solite pressioni e anche a quelle dei Paesi islamici, la guerra di spartizione divenne una guerra civile di tutti contro tutti; a tal punto che l’ONU e la NATO, dopo aver inviato un ultimatum alla Serbia, a partire dalle 2 del mattino del 30 agosto del 1995, scatenarono ben tremila missioni aeree contro le postazioni militari serbe. Vi parteciparono aerei americani, francesi, inglesi, e olandesi, che erano partiti dagli aeroporti italiani e dalla portaerei Roosevelt. Gli Stati Uniti assunsero da questo momento un ruolo decisivo per le sorti dell’Europa, innanzitutto, sconvolgendo la natura difensiva della NATO, e trasformandola in forza di intervento al servizio degli americani ovunque si fosse presentata l’occasione. Gli USA ebbero anche un ruolo decisivo nella stipulazione degli accordi di pace, firmati nella base militare di Dayton nell’Ohio, ma che non fecero altro che confermare la spartizione della Bosnia concordata cinque anni prima da Serbia e Croazia.
L’interesse americano alla dissoluzione della Jugoslavia non era tanto motivato da interessi geopolitici locali, quanto, piuttosto, da una volontà di destabilizzare l’Europa, inducendola alla guerra nel suo stesso territorio. Non contenti del risultato ottenuto con la guerra di Bosnia, sfruttarono l’occasione offerta dalle mire indipendentiste della minoranza albanofona del Kosovo. Infatti, dopo aver definito l’UCK, la milizia armata anti-serba, come un gruppo terroristico: “Dall’autunno del 1992 le attenzioni americane si rivolgono risolutamente all’UCK (…) a parte la visibile presenza a fianco di esperti dell’UCK di ex diplomatici americani in veste di consiglieri politici, poco si sa sui flussi di armi e di istruttori che l’UCK avrebbe ottenuto dagli americani…”. Di fatto, il capo dell’UCK , Hashim Thaci, venne accolto in Kosovo dagli americani, che firmarono con lui un accordo sul disarmo della milizia anti-serba e la sua trasformazione in polizia locale. Nonostante questo accordo, l’UCK continuò le sue attività anti-serbe, che culminarono nel gennaio del 1999, quando vennero scoperte 45 salme di kosovari e il generale americano William Walzer dichiarò: “Da quanto ho visto non ho esitato a descrivere questo atto come un massacro, un crimine contro l’umanità. E non esiterei nemmeno ad accusare le forze di sicurezza governative”. L’intento era chiaro, far intervenire la NATO contro la Serbia, accusata del massacro: “benchè la commissione finlandese incaricata dell’inchiesta internazionale abbia escluso di poter risalire agli uccisori. Forse non i serbi, ma i guerriglieri albanesi hanno mutilato i corpi”. La provocazione convinse il Gruppo di Contatto (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia) a firmare, il 29 gennaio 1999, un ultimatum alla Serbia per trovare un accordo sull’autonomia del Kosovo. Allo scadere dell’ultimatum, venne convocata una conferenza internazionale, da tenersi nel castello francese di Rambouillet. Il capo della delegazione kosovara era l’ex esponente dell’UCK, Hashim Thaci, che, con l’aiuto del segretario di stato americano Madeleine Albright, tese ai serbi un’imboscata, facendo credere che i kosovari erano d’accordo sul documento che proclamava l’autogoverno del Kosovo, mentre loro volevano volevano l’indipendenza. D’altra parte, si provocò il rifiuto dei Serbi, dichiarando che la Forza di pace della NATO che doveva recarsi in Kosovo era “esentata dall’obbligo di fornire inventari o altro documentazione su personale, veicoli, vascelli, aerei, equipaggiamento in entrata, in uscita o in transito”. La clausola significava praticamente che la NATO avrebbe potuto entrare e uscire dalla Serbia a suo piacimento, senza dover dare spiegazioni e, soprattutto, senza motivo, perché le truppe NATO potevano benissimo entrare in Kosovo dall’Albania o dalla Macedonia, come poi fecero. Il 24 marzo 1999, le forze aeree della NATO, composte da 1100 velivoli, appartenenti a 14 nazioni, decollati da 47 basi aeree stanziate in vari paesi cominciarono una campagna di bombardamenti, contro la Serbia, il Kosovo e il Montenegro che durò ben 79 giorni. Ma i veri protagonisti furono gli americani: “le bombe e i missili lanciati contro i Serbi erano prodotti negli Stati Uniti e lanciati soprattutto dagli americani”. E’ quindi opera degli americani la distruzione quasi completa dell’apparato industriale serbo, nonché delle centrali elettriche e delle infrastrutture. Tra queste vi furono anche tre ponti sul Danubio, all’altezza di Novi Sad, che bloccarono la navigazione dal Mar Nero alla Mitteleuropea, danneggiando così anche paesi neutrali, come l’Austria, la Romania, la Bulgaria, l’Ucraina e la Croazia e pure paesi della NATO, come la Germani e l’Ungheria.
Adesso tutto potrebbe ricominciare, perché il vincitore delle elezioni in Kosovo, il solito Hashim Thaci ha dichiarato che subito dopo il 10 dicembre annuncerà unilateralmente l’indipendenza. La minoranza serba concentrata nel nord del paese si prepara al peggio, e cioè alla ripresa degli scontri. Ben poco potranno fare le forze militari europee, anche perché gli USA, dopo aver dichiarato il loro appoggio all’indipendenza, si stanno defilando dal Kosovo. Secondo il ministro serbo Slobodan Samarzic il nuovo scontro: “non rappresenterebbe il capitolo finale della dissoluzione dell’ex Jugoslavia, ma quello iniziale di un nuovo ciclo di disintegrazione e secessioni dei Balcani”. Tutto a danno dell’Europa!