Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Vicino Oriente: Tra Israele e Anp accordo impossibile

Vicino Oriente: Tra Israele e Anp accordo impossibile

di Antonella Vicini - 21/11/2007

 

Vicino Oriente: Tra Israele e Anp accordo impossibile


È scattato il conto alla rovescia prima della Conferenza di Annapolis. Quella che è iniziata, infatti, è l’ultima settimana di incontri e di attività diplomatica che precederanno il summit internazionale voluto fortemente da George W. Bush.
Dall’impegno profuso dal Dipartimento di Stato Usa, perché tutte i contrasti riescano ad essere appianati, risulta sempre più evidente che il 26 e 27 novembre l’Amministrazione giocherà tutte le sue carte per favorire la stesura di quella dichiarazione congiunta tra parte palestinese e israeliana che dovrebbe dare il via a un processo negoziale vero e proprio, ma che nella sostanza appare sempre più lontano.
Proprio ieri, il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha sottolineato che non è stato trovato ancora alcun accordo su un documento congiunto, mentre Ahmed Qurei (Abu Ala), cui è stato affidato il compito di redarre il documento con la controparte israeliana, ancora più drasticamente ha reso noto che “i negoziati sono terminati senza raggiungere il risultato che avremmo voluto”.
In questo clima si è svolto, ieri, un nuovo faccia a faccia tra il premier israeliano Ehud Olmert ed il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, a Gerusalemme, per quello che, secondo i programmi, dovrebbe essere l’ultimo in programma prima del vertice.
Allo studio ci sono tutte quelle problematiche irrisolte - confini dei due Stati (in relazione ai limiti ante 1967); status di Gerusalemme; rientro dei profughi palestinesi; la questione degli insediamenti illegali ebraici; misure per garantire la sicurezza di Israele; spartizione e gestione delle risorse idriche nella prospettiva dei due Stati - che sono dei veri e propri nodi cruciali, con il potere di impedire che si giunga al risultato tangibile cui il governo di Tel Aviv assicura di voler arrivare.
Olmert, che con tutta probabilità oggi a Sharm el Shiek incontrerà anche il presidente egiziano Hosni Mubarak per chiedergli di intercedere presso gli altri Paesi Arabi durante la riunione della Lega Araba che si terrà nei prossimi giorni, ha già ridimensionato il significato del vertice statunitense, spiegando che non deve essere né “esagerato”, né “ignorato”.
Il senso che Israele attribuisce alla piéce organizzata Oltreoceano è emersa chiaramente durante una riunione speciale del consiglio dei ministri israeliani, dedicata all’appuntamento americano.
“Al summit di Annapolis non vi sarà un negoziato” ha detto Olmert, spiegando bene che si tratterà di “un meeting di supporto per mettere in moto il processo”.
“Non bisogna esagerare il significato del summit o creare eccessive aspettative. Ma non è neanche necessario diminuire il significato del fatto che il presidente degli Stati Uniti e altri leader mondiali si riuniranno in un incontro così ampio per mostrare il loro sostegno a negoziati fra israeliani e palestinesi”.
Le aspettative di cui parla Olmert sono le stesse create, ad hoc, nei giorni scorsi dagli vertici israeliani e in particolare dal ministro degli Esteri Tzipi Livni – a guida del pool di negoziatori israeliani – che, parlando prima con il ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema e poi con l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’Ue, aveva preannunciato “sorprendenti aperture” prima della conferenza di Annapolis.
Il fatto è che queste “aperture” altro non sono che azioni già previste da tempo, come la liberazione di una parte detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e l’annuncio dell’interruzione della costruzione di nuovi insediamenti illegali in Cisgiordania e l’inizio dello smantellamento di parte di quelli già esistenti, senza il divieto, però, di ampliare i restanti.
Concessioni con trabocchetto, dunque, che non hanno nulla a che vedere con le condizioni di natura politica avanzate dall’Anp nei negoziati preliminari. Per questo motivo la notizia che il gabinetto Olmert ha deciso il rilascio di 441 detenuti palestinesi, in prevalenza di al Fatah, di fronte alla richiesta di Mahmoud Abbas di liberarne 2 mila, sugli 11 mila totali, non ha sortito il grande effetto sperato. Il beau geste non ha convinto finora neanche la compagine allineata, moderata, e alleata; difficile quindi che convincerà il popolo palestinese. Si vocifera che il prossimo coniglio nel cilindro israeliano possa essere la scarcerazione di Marwan Barghouti, nell’aria ormai da mesi, in attesa del momento giusto.
In questo scenario, le uniche mosse degne di significato restano quelle giocate sulla scacchiera internazionale. Oltre alla Lega Araba, che si pronuncerà giovedì sull’invito al summit giunto dagli Stati Uniti - anche se la sua partecipazione è pressoché certa -, un ruolo importante sarà quello della Siria se deciderà di accettare l’invito, non ufficiale, di George W Bush. Sicura, invece, la partecipazione dell’Italia, in quanto Paese membro del G8, che sta cercando negli ultimi tempi di ritagliarsi uno spazio da mediatore nel grande calderone delle crisi vicino – orientali.