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Teologia dell’infamia

di Franco Cardini - 21/11/2007

     
Franco Cardini analizza il libro Visibilmente crudeli in cui il medievista Giacomo Todeschini ha delineato una storia teologica, giuridica ed economica del concetto d’infamia fra basso Medioevo ed età moderna. Partendo dallo studio dei “marginali”, persone escluse o ai margini della vita sociale, Todeschini ha individuato un linguaggio quotidiano in cui l’«onorabilità morale» e la «rispettabilità sociale» finivano col sovrapporsi. Todeschini ricostruisce anche i collegamenti fra tale idea di infamia e quella di usura, illuminando così il processo di nascita del mercato moderno ed evidenziando le sue ambiguità.

Sono sporchi da ogni parte, sanno di streggia da ogni banda, puzzan di stalla da per tutto.... Il curioso erudito romagnolo del Cinquecento Tommaso Garzoni, autore della celebre Piazza universale delle professioni del mondo, non era certo tenero con chi esercitasse i mestieri ‘vili’: per quanto non esitasse a riconoscere l’utilità sociale dei fabbri, dei calderai, dei contadini, dei mercanti di merci di seconda mano e così via; e quella di chi esercitasse mestieri ancora più ’bassi’, come i boia, gli stracciaroli, i facchini e gli ’sgherri da piazza’. Ma ancor al di sotto si situavano coloro che si erano dati ad attività decisamente disonorevoli, quali il ladro, l’imbroglione, il rapinatore. Chiunque s’impegnasse in lavori tanto bassi finiva con l’emanar un odore tanto morale quanto materiale disgustoso, che al buon poligrafo cinquecentesco ricordava il fetore che caratterizzava gli ebrei e che derivava dal loro abituale consumo di carne d’oca. Interessante ripresa, questa, del foetor iudaicus caratteristica degli israeliti già secondo Martin Lutero e, più tardi, il Voltaire. [...]
Questa scarsa considerazione, venata non solo di disgusto bensì quasi di condanna, che giungeva a coinvolgere tutti i poveri che non fossero tali per volontaria scelta religiosa, approdava a una forte limitazione dell’onorevole concetto di ‘cittadinanza’, attribuibile tra Medioevo ed età moderna solo a una parte ristretta di quanti in effetti costituivano la totale popolazione di un centro urbano. Ne derivava un lessico d’uso pratico e quotidiano nel quale i connotati d’onorabilità morale e quelli di rispettabilità sociale finivano col convergere e praticamente col confondersi: i cives non potevano esser viles, e nel concetto di vilitas disprezzo sociale e condanna morale convergevano.
Ai subalterni e ai ‘marginali’ tra Medioevo ed età moderna sono stati dedicati molti studi: e ben noti sono alcuni fra gli autori che se ne sono occupati, da Bronislaw Geremek a Piero Camporesi a Jean-Claude Schmitt a Eric J. Hobsbawm a Nilda Guglielmi; e molto ci si è occupati anche dei signa d’infamia, dei simboli e dei colori che qualificavano una condizione disonorevole e che - al pari del ‘segno’ imposto da Dio a Caino nel Genesi - consentivano così d’identificare immediatamente l’infamis, dalla tristemente celebre rota gialla imposta agli ebrei dal Concilio Lateranense IV del 1215 in poi fino alle vesti rosse o gialle che caratterizzavano obbligatoriamente le meretrici. Mancava tuttavia a tutt’oggi uno studio serio, organico ed esauriente che delineasse la storia teologica e giuridica del concetto d’infamia e che con una sicura e convincente indagine storica la collegasse all’etica da una parte, all’economia dall’altra. Specie a quest’ultima, in quanto i concetti d’infamia e d’usura sono stati oggetto, fra Tre e Quattrocento, di un iter complesso che ha finito con il liberare [...] da quello che restava un peccato gravissimo e infamante - l’usura, appunto - la pratica diffusa, necessaria e divenuta col tempo persino onorevole del prestito a interesse.
È spettato a uno dei nostri migliori e più stimati medievisti, Giacomo Todeschini dell’Università di Trieste, il tracciare con limpido rigore la storia dell’infamia come qualità negativa che impediva a chi ne fosse segnato di godere appieno del ruolo di membro della civitas christiana.
Tale la materia del libro Visibilmente crudeli. [...] Si tratta di una ricerca che collega strettamente teologia, diritto ed economia, secondo una cifra appunto propria del Todeschini e desunta dal severo magistero della scuola medievistica bolognese di Ovidio Capitani. Ma si sbaglierebbe se si ritenesse che questo studio assolutamente serio mancasse di un suo forte addentellato con la realtà odierna. Al contrario. Dichiara subito l’autore: «Più si avanza nello studio dei testi economici e teologici, che consentono l’analisi dei rapporti fra religione ed economia, più appare chiaro che la modernizzazione europea fu accompagnata da un progressivo aumento dei criteri di esclusione dal mercato e dalla società... Il ‘mercato’ come specchio della società giunse quindi ad assumere, gradualmente, la fondamentale ambiguità che ancora oggi lo caratterizza.

Giacomo Todeschini, Visibilmante crudeli, il Mulino, 2007, pp. 312, € 18.