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Reportage da Oaxaca

di Antonio Pagliula - 22/11/2007

     
La scorsa settimana ho visitato Oaxaca, la città della APPO (Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca). Ancora oggi emergono la forza e l’unione popolare di una città che lotta e resiste contro le ingiustizie, mentre la repressione continua imperterrita e silenziosa, tanto da non fare quasi più notizia sui media.

Oaxaca (Messico) – Chi arriva a visitare Oaxaca non può non accorgersi dell’aria diversa che si respira qui rispetto al resto dell’intero Messico. I colori, i profumi e la ricca mescolanza di culture secolari rendono unica questa meravigliosa città coloniale, ma è quando ci si ferma a parlare con la gente del posto che ci si accorge di ciò che la rende realmente unica e differente.

Oaxaca ha paura, la si può leggere negli occhi di chiunque...
dalla vecchietta del negozio all’angolo al proprietario di ristorante, passando per i commercianti degli innumerevoli mercati che popolano la città. Paura, frustrazione, paralisi si percepiscono al passeggiare tra le vie della città. Molta gente sembra intimidita al parlare dei fatti degli ultimi tempi, si sente quasi impotente. Non per questo però c’è rassegnazione, anzi.

Gli abitanti di Oaxaca non si rassegnano facilmente. La città ha rabbia, una rabbia storica, accumulata nei secoli e ancora più viva oggi. Questa rabbia deriva dall’autoritarismo imposto nella regione da 78 anni ininterrotti di dominio politico del PRI (Partido Rivolucionario Istitucional), che hanno fatto lo stato di Oaxaca uno dei più poveri, tanto da presentare i peggiori indicatori di sviluppo umano di tutto il Messico insieme al Chiapas. Ma la fiamma di questa rabbia è stata riaccesa e ravvivata negli ultimi anni e sarà difficile spegnerla questa volta.

Il PRI, infatti, continua a “governare” lo stato oaxaqueño. Il vecchio e autoritario partito, radicato grazie alla corruzione in tutte le istituzioni, mantiene alto il livello di attenzione e intolleranza nei confronti dei movimenti sociali indipendenti, con lo scopo di prolungare ancora il più possibile il suo dominio sull’apparato formale del potere.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’elezione, con il solito dubbio di brogli elettorali, del governatore Ulises Ruiz, sempre del PRI. La repressione ed il rinnovato autoritarismo avevano creato le basi per un vero rinnovamento, la nascita di un movimento che ha caratterizzato l’intero 2006, e che continua vivo e forte nonostante tutto, tanto da far considerare Oaxaca il teatro della prima insurrezione del XXI secolo.

Nel 2006 la APPO (Assemblea dei Popoli di Oaxaca) ha protagonizzato uno dei processi di dissidenza più significativi degli ultimi anni. Per mesi le barricate nella capitale statale, gli scioperi dei maestri e le organizzazioni che si sono sommate progressivamente alla protesta, hanno messo sotto scacco il governo di Ulises Ruiz.

Poteva essere la grande opportunità di sradicare definitivamente questo sistema autoritario da Oaxaca. Anche la congiuntura a livello nazionale sembrava aprire all’idea di un cambio reale e radicale, con la grande mobilitazione popolare contro la frode elettorale ai danni di Obrador. Così però non è stato.

Durante il momento più critico del processo di cambiamento popolare di Oaxaca si provò a stabilire un dialogo per una soluzione politica. Purtroppo però in questo stesso momento prese il via un’altra negoziazione, parallela alla prima e a livelli politici più alti, con la quale si decise di salvare il governatore oaxaqueño in cambio dell’appoggio alla “vittoria” elettorale di Felipe Calderón (del Pan, partito di azione nazionale).

Questo patto in pratica mise fine alla possibilità di una soluzione pacifica per Oaxaca. L’alleanza e la complicità tra le due necessità, quella del nuovo governo federale che contava con una base elettorale debolissima, e quella di un PRI con sempre meno spazio per muoversi dopo aver dominato quasi come partito unico la storia politica messicana per quasi un secolo, misero fine all’interruzione di Oaxaca per mezzo di pura violenza, sia federale che statale, che procurarono 27 morti e resero la violazione dei diritti umani nello stato di Oaxaca il pane di tutti i giorni.

La repressione di Oaxaca contribuì a mettere fine alle illusioni di molti circa la possibilità di una transizione politica messicana, facendo emergere le debolezze del nuovo ordine politico. Un ordine politico sostenuto basicamente da un accordo tra il PRI – che da partito d’opposizione si ritrova ad appoggiare la nuova presidenza Calderón – e il PAN, il partito che si era autoproposto come avversario dell’autoritarismo e della corruzione del PRI.

La “soluzione di forza” del conflitto di Oaxaca si basò sull’intervento violento della Polizia Federale Preventiva e sull’azione degli squadroni della polizia statale che secondo l’informe della Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani provocò, tra il luglio e il dicembre 2006, 27 morti e 500 detenzioni illegali.

Violenza fisica e psicologica nei confronti delle persone detenute ed un uso sproporzionato della forza contro la popolazione furono le caratteristiche predominanti. La criminalizzazione delle proteste sociali, la persecuzione della libertà d’espressione e la punizione dei dissidenti divennero all’ordine del giorno nell’intero stato oaxaqueño.

Un primo avviso si ebbe con gli attacchi alle barricate di Santa María Coyotepec e Santa Lucía del Camino il 27 ottobre dello scorso anno (clikka sulla foto per ingrandire). Vi parteciparono autorità municipali, agenti paramilitari e le forze statali. Fu il giorno in cui furono assassinati 4 maestri ed il giornalista statunitense Brad Will. A questo seguirono l’avanzata della Polizia Federale Preventiva allo zócalo il 29 ottobre, un’ennesima repressione il 10 novembre ed infine l’offensiva finale del 25 novembre 2006.

In questo lasso di tempo centinaia di persone innocenti furono detenute e torturate. La maggior parte dei detenuti non ha avuto accesso a una giusta difesa, non furono riconosciute e certificate le lesioni di decine di arrestati e quelli di origine indigena non ebbero accesso ad un interprete.

Attivisti sociali e politici furono perseguiti ed attualmente sono ancora sette i detenuti relazionati con la APPO, tra questi anche i portavoce dell'assemblea, Flavio e Horacio Sosa , arrestati nel dicembre scorso a Città del Messico con l’inganno. L’arresto avvenne infatti in seguito ad un invito a negoziare da parte del governo Calderón.

Ma le violenze e la repressione a Oaxaca continua ancora, come si può leggere qui sui fatti del 2 novembre 2007 (sono disponibili anche tre interessanti video in lingua spagnola).

La APPO in pratica ha contribuito a rendere ancora più evidente la fragilità delle istituzioni messicane, gli scontri tra quest’assemblea popolare e la struttura del potere hanno messo a nudo gli attori politici principali del paese, ma per riuscire a spiegare realmente quello che è successo a Oaxaca ci si deve sforzare ad osservare i protagonisti dal basso.

E’ questo che fa emergere la differenza, il tratto caratteristico, quello che distingue una mobilizzazione da un movimento. A Oaxaca è nato un movimento. Non c’è, infatti, la presenza di un leader o di un partito politico alle spalle. Il movimento oaxaqueño è fatto di uomini e donne qualunque, uniti dagli stessi obiettivi e associati in un’assemblea popolare per la difesa dei diritti civili, delle minoranze indigene, a difesa del ruolo della donna e del medio ambiente, che lotta e resiste per lo smantellamento di un ingiusto regime, quello Priista di Ulises Ruiz.

Le autorità federali e statali da mesi ormai cercano di dimostrare che a Oaxaca sia tornata la pace e la tranquillità, offrendo come prova la riduzione delle manifestazioni e dei cortei della APPO. Ma cadono nell’errore di credere che la APPO ed il popolo di Oaxaca rientrino dei soliti canoni della vita politica. Così non è, la APPO ormai è un movimento ben radicato che non ha bisogno di scendere in piazza o di marce per dimostrare vitalità.

Solo un turista depistato o chi continua a confidare dei media di massa può realmente pensare che la APPO abbia perso forza o che il movimento sia stato soffocato. Chiunque altro, giunto a Oaxaca, si può rendere conto che la APPO è tutt’altro che finita. E’ viva, vegeta e radicata nel tessuto sociale di questo stato. Sicuramente però continua la repressione, come dimostrano i recenti avvenimenti del 2 novembre, una repressione che ha diffuso la paura tra le stradine di questa città, ma che non ha avuto l’effetto di abbattere la APPO, anzi. La paura si sta trasformando sempre più in rabbia, una rabbia nata dalla sensazione di sconfitta ed alimentata dai soprusi di un governatore autoritario (Ulises Ruiz) e da un governo federale ostile e non riconosciuto.

Una rabbia che può riesplodere da un momento all’altro.