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Virtualità antropologica e capitalismo assoluto (intervista a Costanzo Preve)

di Costanzo Preve/Luigi Tedeschi* - 23/11/2007

      

 

 

 

 1) L’Italia è entrata, a seguito dell’Europa, nell’era della politica virtuale. Infatti, la storia d’Italia e dell’Europa degli ultimi 50 anni può essere interpretata un succedersi coerente di eventi storici che costituiscono fasi successive di assimilazione della cultura e della struttura sociale proprie del capitalismo occidentale a guida imperiale americana. E’ dunque valida l’equazione progresso = capitalismo, data la linea direttrice univoca dell’evoluzione sociale e politica determinata dal primato dell’economia globalizzata, assurta a dogma finalistico – totalizzante del destino dell’umanità. Così come la tecnologia ha trasformato i processi produttivi determinando l’espansione ipertrofica dei consumi, anche la cultura e il costume della nostra società hanno subito mutamenti epocali a causa dell’imporsi del mondo virtuale dell’immagine mediatica, con la sua influenza determinante nella psicologia delle masse e nei rapporti interpersonali. Anche la politica dunque si è dovuta adeguare a questa nuova forma di sensibilità collettiva indotta dall’imporsi della cultura dell’immagine virtuale. In Italia l’avvento della politica virtuale è prossimo e viene prefigurato nella nascita del Partito Democratico, di un partito cioè anti – ideologico guidato da Veltroni, autentico prodotto della politica dell’immagine, che trova il suo corrispettivo a destra in Fini. Tali prospettive di mutamento, capovolgono radicalmente le basi del processo democratico di formazione del consenso. Non sono più i contenuti politici e/o ideologici i fattori determinanti del consenso e della legittimazione popolare a creare una leadership politica, ma è l’immagine virtuale costruita dai media a plasmare la materia informe della psicologia delle masse. Nella nuova politica è la forma a creare i contenuti, sono le élites che producono in serie il consenso mediatico. Le élites, quindi, sono autoreferenti, distaccate ed indipendenti dal rapporto con le masse, il cui consenso viene creato e incanalato nelle forme di rappresentanza politica prefigurate dalle élites stesse, quali nuovi demiurghi della politica multimediale.

 

Sono d’accordo con la tua tesi di fondo, per cui “la linea direttrice univoca dell’evoluzione sociale e politica è determinata dal primato dell’economia globalizzata, assurta a dogma finalistico-totalizzante del destino dell’umanità”. Se questo è oggi “l’oggetto del contendere” – e mi sembra chiaro che lo sia – allora le tre tradizionali contrapposizioni che abbiamo ereditato dal novecento (e cioè Destra/Sinistra, Fascismo/Antifascismo ed infine Comunismo/Anticomunismo), non possono che essere reimposte artificialmente in via appunto “virtuale”. E qui sta a mio avviso uno dei più importanti e decisivi aspetti della “virtualità politica” oggi, e cioè costringere i veri conflitti  politici attuali nella dimensione virtuale di un “videogioco” politico. Non a caso il videogioco, il centro commerciale come comunità artificiale di consumo, il concerto rock come sublimazione pseudo-religiosa di massa, l’esaltazione del femminismo e della coppia gay, come indebolimento della coppia tradizionale borghese-proletaria (e cioè sia borghese che proletaria), la discoteca come frastuono individualizzato che supera il vecchio ballo sessualmente sublimato (il valzer), così come il vecchio ballo eroticamente palese (il tango), il pacifismo ridotto a cerimonia ritualizzata di pecoroni salmodianti e sfilanti dietro pagliacci in trampoli, l’ecologismo alla moda da agriturismo veltroniano, la diffusione a macchia d’olio dell’ideologia interventista e missionaria delle ONG (organizzazioni non-governative, in realtà governative-imperialiste-integrali) con contestuale legittimazione dell’interventismo militare occidentale contro i barbari in burka, eccetera, eccetera, fanno parte integrante di un unico complesso sistemico di “uniformazione antropologica globalizzata” (UAG), in cui la virtualità è diventata “strutturale”. Ma ci ritornerò sopra fra poco.

Utilizzando le categorie teoriche del cosiddetto  Sesto Capitolo Inedito del Capitale di Marx (libro – lo ripeto – né di destra né di sinistra, e qui sta il suo enigma filosofico di fondo), direi che in questi ultimi due secoli si è determinato un passaggio progressivo da una sottomissione puramente formale ad una sottomissione reale ed integrale dell’ideologia del progresso al processo di approfondimento integrale dell’accumulazione capitalistica. Questo stesso concetto è stato espresso anche da Martin Heidegger con un linguaggio diverso da quello di Marx, nei termini dell’integrale consumazione progressiva della tradizione della metafisica occidentale nella tecnica planetaria. E se pensatori tanto diversi come Marx e Heidegger finiscono con il dire la stessa cosa, sia pure sulla base di dinamiche di pensiero diversissime, significa che vale la pena pensarci sopra con serietà e spregiudicatezza insieme.

Nella prima fase storica di sottomissione puramente formale dell’idea di progresso alla logica dell’accumulazione capitalistica (nel linguaggio di Heidegger, fase metafisica; nel mio linguaggio categoriale, fase borghese del capitalismo), l’idea di progresso conteneva ancora elementi emancipativi di tipo critico-universalistico (Condorcet, Kant, Hegel, Marx, eccetera), che non coincidevano ma anzi divergevano dalla logica puramente economica. Si trattava dell’elaborazione della coscienza infelice borghese, di residui di giusnaturalismo egualitario, di istanze di riconoscimento reciproco fra padroni e servitori, di progetti di passaggio universalizzato dalla superstizione alla razionalità dialogica, eccetera. E’ questo il codice comune di gran parte della filosofia moderna post-cartesiana.

Nell’attuale seconda fase storica di sottomissione reale ed integrale dell’idea di progresso alla logica di sviluppo dell’accumulazione capitalistica (nel linguaggio di Heidegger, fase della risoluzione integrale della metafisica occidentale in tecnica planetaria; nel mio linguaggio categoriale, fase postborghese e postproletaria del capitalismo assoluto), l’idea di progresso diventa integralmente ideologia manipolatoria del progresso, come tu correttamente rilevi. Sta qui la base materiale della cosiddetta “virtualità”, e cioè della creazione strutturalmente funzionale di un mondo parallelo al mondo reale. Il mondo reale, infatti, ha perduto ogni residua capacità di legittimazione religiosa, filosofica e morale (sottomissione reale del lavoro al capitale, risoluzione integrale della metafisica occidentale in tecnica planetaria, piramide sociale neofeudale postborghese e postproletaria con aumento inaudito dei differenziali di potere, sapere, consumo, differenziali ormai anonimi ed impersonali, creazione di comunità subalterne, manipolate e virtuali per far fronte ai naturali bisogni di antropologici associativi della natura umana, eccetera). La perdita di ogni residua capacità di legittimazione sociale razionale (che nelle culture occidentali è stata realizzata prima religiosamente e poi a partire dal settecento razionalmente) è stata allora “compensata” (ma fino a quando? Speriamo il più brevemente possibile!) con l’introduzione massiccia e pianificata di dosi di virtualità crescente. E’ questa (e non la cocaina, l’eroina e l’ecstasy) la principale droga dell’epoca presente. E tuttavia anche la massiccia diffusione delle droghe ha sempre come base materiale la necessità sociale di dosi sempre più massicce di “virtualità”.

 

2) Le scelte della politica virtuale sono non scelte, ma amministrazione della realtà data dall’esistente. Le scelte strategiche sono preordinate e presupposte alla politica, scaturiscono dalle fasi di trasformazione dell’economia globale. La fluidità e la precarietà delle situazioni contingenti, del resto, non consentono scelte a medio e lungo termine. In tale situazione, vediamo riprodursi specularmente nella politica le fasi e i tempi che scandiscono i cicli economici. Così come la vita degli individui è scandita dai ritmi e dai modi di consumo, anche la politica, attraverso il culto dell’immagine virtuale, propone leaders diversi nella loro apparenza, ma del tutto omologhi e fungibili nella sostanza dei contenuti: leaders assimilabili ad oggetti di consumo dalla rapida obsolescenza. La politica si è dunque adeguata ad una realtà economico – sociale caratterizzata da una mobilità immanente, in cui tutto scorre, nulla permane, senza nemmeno consequenzialità logica tra presente, passato e futuro immediato. Tale eterno divenire si esaurisce in una sequenza infinita di attimi in cui vengono consumate immagini, merci ed idee. Questa condizione umana di mobilità – relativismo è del tutto sganciata da qualunque divenire storico, non avendo obiettivi finalistici che trascendano l’immediato presente. Il divenire della politica virtuale, non contiene una realtà in fieri futuribile, ma può riassumersi in una mobilità permanente, in cui agiscono masse composte da milioni di microcosmi individuali fini a se stessi. La politica virtuale, quindi, è il prodotto di un individualismo relativista globalizzato, si è potuta affermare proprio in virtù di questo vuoto di soggettività, dello sradicamento dell’uomo dalle comunità sociali di appartenenza, che, quali corpi sociali intermedi orientavano le scelte individuali sia nel campo etico che in quello politico. La politica è ormai immagine virtuale, proprio a causa dell’assenza di una società civile che potremmo paragonare ad un laboratorio sociale in cui possano maturare, sia a livello individuale che di gruppo, scelte mediate, partecipate e consapevoli nell’ambito politico.

 

Una delle più grandi eredità viventi della filosofia classica greca sta nel riconoscimento del fatto che per natura l’uomo è un “animale politico” (politikoon zoon). Se questo è vero – come io credo – allora questa politicità può essere a lungo manipolata, sottomessa, sospesa (come avviene ad esempio negli esodi difensivi nella vita privata ed amicale alla Epicuro, eccetera), ma non può essere mai abolita. E questo avviene anche necessariamente nell’epoca dell’attuale politica “virtuale”, che personalmente definirei con maggiore precisione come epoca della simulazione politica in condizioni generalizzate di tramonto della sovranità statuale, economica e militare, in cui appunto la “decisione politica” (e cuore della politica è appunto la decisione politica, boulesis), non può più decidere nulla, perché decidono soltanto i mercati finanziari, i comandi militari dell’impero americano, i gruppi mediatici sionisti alla Murdoch, eccetera, insomma tutti all’infuori degli impotenti deputati e senatori eletti da un corpo elettorale manipolato e soprattutto privato di ogni sovranità democratica decisionale. Non viviamo infatti in una democrazia, è chi lo dice o mente sapendo di mentire o è un ingenuo che vuole mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Viviamo in una oligarchia finanziaria integrale in condizioni di dispotismo mediatico capillare. Se fossi negli USA, in cui effettivamente il voto conta qualcosa essendo il centro decisionale dell’impero, voterei probabilmente per il meno peggio contro il peggio (ad esempio, voterei contro i neoconservatori di Bush). In Italia, paese privo della benché minima sovranità ed occupato da basi militari straniere, non voto dal 1992, e non me ne vergogno affatto.

E comunque il punto essenziale sta in ciò, che neppure la manipolazione virtuale più capillare può spegnere del tutto la naturale dimensione politica della natura umana. In quanto animale dotato di linguaggio e ragione (zoon logon echon), l’uomo è per natura un animale politico (politikon zoon). Se ne sono accorti gli stupidi dirigenti del comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917 – 1991). La distruzione endogena del loro movimento è stata certamente causata in modo storico-strutturale dalla controrivoluzione sociale di massa delle nuove classi medie sovietiche alleate con i dirigenti delle imprese di stato e con i gradi alti della nomenklatura privatizzatrice criminale (Gorbaciov, Jakovlev, Eltsin, eccetera), e sostenute dai capitali occidentali e sionisti. Ma questa controrivoluzione di massa non avrebbe potuto essere portata a termine con successo se non fosse stata prima abolita e distrutta ogni possibilità di azione politica indipendente dei lavoratori. I lavoratori degli strati medi e bassi della popolazione sovietica, che non avevano nessun interesse alla privatizzazione controrivoluzionaria selvaggia che li avrebbe trasformati in massa in mendicanti, disoccupati, criminali, badanti e prostitute, ma che erano stati privati dal precedente dispotismo dello stato-partito post-staliniano di ogni possibilità di azione e di mobilitazione politica indipendente, furono impotenti di fronte alla controrivoluzione dell’alleanza classi medie-dirigenti delle imprese di stato – strati superiori della nomenklatura – capitalisti stranieri mafiosi. Nato sulla base di un’iniziativa politica (1917), il comunismo storico novecentesco è morto di assenza di ogni possibile iniziativa politica (1991).

Qualcosa di simile potrebbe forse avvenire anche per l’attuale ipercapitalismo finanziario globalizzato. Non sono sicuro che gli convenga veramente distruggere interamente la politica, sostituendola con la manipolazione virtuale integrale. La stessa manipolazione mediatica ha assai più la funzione di passivizzazione (l’individuo isolato e privo di legami sociali di fronte al piccolo schermo) che di vera e propria “manipolazione attiva”. Il tempo dei cortei e dei comizi (Hitler, Mussolini, Stalin, Togliatti, De Gasperi, eccetera) è stato superato dalla tecnologia, e cioè dalla passivizzazione mediatica e dei giornali gratuiti in cui c’è solo più ormai cronaca e niente politica. I giornali “politici” a pagamento (il Giornale, la Repubblica, il Manifesto, eccetera) non sono più veramente giornali di informazione, ma sono giornali di coltivazione di appartenenza identitaria e di simulazione Destra/Sinistra.

L’Italia è un paese particolare, in cui la manipolazione post-politica virtuale segue logiche proprie. Da un lato il Grande Berlusca attinge a piene mani nell’inerzia dell’anticomunismo di massa 1948-1992. Dall’altro Veltroni eredita dalla mobilitazione comunitaria subalterna e manipolata dei Festival dell’Unità una massa enorme (sia pure fortunatamente decrescente) di truppe cammellate da far affluire per le cosiddette “primarie” (altro segnale indiscusso di americanizzazione artificiale e virtuale). Queste truppe cammellate, che uniscono alla nostalgia per il comunismo l’avallo ai bombardamenti dalemiani del 1999 sulla Jugoslavia, sono però per fortuna assai più la chiusura di un ciclo storico che l’apertura di un ciclo storico nuovo, i cui termini esatti non sono ancora purtroppo chiaramente percepibili. Solo chi vivrà vedrà.

 

3) Nella politica virtuale, l’immagine è fine a sé stessa, non è espressione di contenuti, che semmai vengono in essere come successivi postulati esplicativi dell’immagine. Pertanto, poiché i contenuti della politica sono subalterni all’immagine, ci sembra evidente, che la concezione marxiana del rapporto tra struttura sociale e sovrastruttura ideologica viene ad essere capovolta, in quanto oggi è la seconda a determinare la prima e non viceversa. Il primato dell’immagine genera inevitabilmente l’assenza di progettualità della politica, essendo quest’ ultima il prodotto dell’oggettività di un presente astorico, tipico della società consumistica. L’immagine mediatica della politica, assume un carattere carismatico – sacrale, atto a suscitare adesione acritica e non il consenso popolare proprio delle democrazie rappresentative. L’immagine virtuale quindi, è una forma rappresentativo – simbolica di una politica oligarchica guidata da élites estranee alle masse, ma che ad esse si impongono mediante periodiche votazioni (non elezioni, dal momento che eligere significa scegliere), che divengono forme di legittimazione politica del potere assunto per acclamazione. La politica virtuale esprime il rovesciamento della democrazia in oligarchia. Infatti, tale forma di democrazia assume i caratteri simbolico – carismatici di una religione laica che legittima, in termini sostanzialmente totalitari, il primato dei poteri economici sostituiti al di fuori della politica stessa. La virtualità, il cui significato più proprio si riassume nella sacralità dell’immagine, genera il culto di leaders carismatici paragonabili a profeti di una società universale globalizzata, vista come esito ineluttabile del progresso tecnologico. Ma tale religione laica dell’illimitato progresso, non genera fanatismi e leaders che fondino il proprio carisma sulla passione, sul contatto diretto con il popolo: è scomparso il leader carismatico in cui il popolo si identificava, quale personalizzazione dei valori originari di una nazione e/o di una ideologia. Alla radice del carisma del leader virtuale, vi sono le insufficienze, le frustrazioni, le debolezze collettive: tali sentimenti costituiscono le forme di identificazione delle masse con il leader. In questa chiave di lettura può essere interpretata l’attenzione compassionevole e ipocrita della politica virtuale sui temi dell’emarginazione sociale, delle minoranze, delle donne, dei gay, degli immigrati. Questo carisma basato sulle insufficienze e debolezze, è esplicativo sia del bisogno di sostegno collettivo che le masse vedono emotivamente appagato nell’immagine del leader sia della labilità e permeabilità della attuale psicologia di massa, che permette alle élites di generare consensi collettivi a loro immagine e somiglianza. Il leader virtuale ha di fronte masse in cerca di sostegno psicologico - morale, masse che esprimono nel consenso collettivo la propria deresponsabilizzazione personale nel campo delle scelte politiche.

 

Tu affermi che con l’avvento della politica virtuale si è per così dire rovesciato il rapporto fra struttura e sovrastruttura caro alle spiegazioni marxiste della dinamica della società capitalistica. La virtualità sovrastrutturale finirebbe cosi con il dominare e guidare la normale riproduzione economica della società. Si tratta di un’ipotesi del tutto plausibile, che è anche convergente con alcune autonome concezioni di origine marxista che sostengono anch’esse qualcosa di simile in polemica con il tradizionale economicismo deterministico del marxismo tradizionale (teoria della manipolazione mediatica di Adorno, teoria della simulazione situazionista di Debord, e persino per alcuni aspetti teoria dell’egemonia ideologica di Gramsci). E tuttavia io non sono d’accordo. Per me la virtualità è a tutti gli effetti una “struttura” dell’attuale capitalismo “assoluto”. E per chiarire quanto penso colgo l’occasione per esporre – sia pure sinteticamente – la mia personale concezione dell’attuale fase della società capitalistica.

Il concetto di Capitale in Marx ricalca in modo quasi integrale il concetto di Assoluto in Hegel, cosa del tutto incomprensibile ai marxisti che cercano in tutti i modi scioccamente di separare l’apparato concettuale di Hegel da quello di Marx (materialismo dialettico sovietico, Lucio Colletti, Louis Althusser, eccetera). Mentre il vecchio concetto religioso di Assoluto, che fa coincidere l’Assoluto con la divinità monoteistica già perfettamente preesistente allo sviluppo storico, concepisce l’Assoluto come Originario e Trascendente, il nuovo concetto filosofico di Assoluto di Hegel lo intende non come un dato trascendente ed originario, ma come il risultato di una dialettica integralmente storica. Questo risultato, a sua volta, deve essere pensato puramente logico-ontologico (vedi La Scienza della Logica di Hegel), e non può essere semplicemente ricavato dalla successione empirica dei fatti storici, quasi sempre casuali e comunque non ricavabili da una logica a priori. In estrema sintesi, il Capitale di Marx ha bisogno di due integrazioni filosofiche, entrambe ricavate da Hegel. In primo luogo, di una teoria dell’acquisizione storica progressiva di un’autocoscienza razionale ed universalizzabile dell’intera umanità pensata come unico concetto trascendentale riflessivo (cfr. Fenomenologia dello Spirito). In secondo luogo, di una teoria della dialettica interna, delle determinazioni del concetto di Assoluto, in cui esso assume progressivamente una forma compiuta (e appunto, “assoluta”), superando le proprie limitazioni prima esterne e poi anche interne fino a conseguire la sua forma pura, e cioè appunto “purificata” (cfr. Scienza della Logica). Paradossalmente (ma non troppo), se mi chiedessero quali sono i tre libri del Capitale, non risponderei nel modo consueto (e cioè il primo libro pubblicato da Marx nel 1867, ed il secondo ed il terzo pubblicati da Engels dopo la sua morte nel 1885 e nel 1894), ma risponderei in modo brechtiano – straniante che sono la Fenomenologia dello Spirito, la Scienza della Logica ed infine il primo libro del Capitale del 1867 (e colgo l’occasione per dire che considero gli ultimi due pubblicati da Engels, che non a caso Marx non volle mai pubblicare in vita pur potendo benissimo farlo, del tutto inutili e pleonastici).

Ma torniamo alla sovrapposizione del concetto hegeliano di Assoluto e del concetto marxiano di Capitale. Il Capitale in Marx non è certamente uno dei tre fattori produttivi originari della accumulazione capitalistica a fianco del lavoro e della terra (come lo è per tutti gli economisti, da Smith a Ricardo, da Keynes a Schumpter ed infine da Berlusconi a Veltroni), ma è una totalità espressiva integrale, o se si vuole un dato che diventa risultato e che in questo modo si “assolutizza”. Ti ricordo quanto ho risposto alla tua prima domanda sul passaggio dalla sottomissione formale alla sottomissione reale (Marx) e sul passaggio dalla metafisica occidentale alla tecnica planetaria (Heidegger). E tuttavia è necessario ora chiarire meglio il concetto di Capitale come Assoluto, ricordando ancora che tipico dell’Assoluto è il superamento di tutti i suoi limiti, o meglio delle sue limitazioni esterne e delle sue autolimitazioni interne. Chiarirò il tutto con un modello triadico, in quanto la successione dialettica triadica, già ben sistematizzata logicamente da Hegel, è tuttora a mio avviso teoricamente insuperata.

In un primo momento, il Capitale si presenta non come Assoluto in Atto (uso qui volutamente la formula di Aristotele, che con Epicuro è la principale fonte greca di Marx), ma soltanto come Assoluto in Potenza (dynameion, e cioè possibilità come potenzialità e non certo solo come casualità, contingenza o aleatorietà). Esso ha infatti come limitazioni esterne al proprio sviluppo le forme economiche e religiose comunitarie e precapitalistiche (tribù impropriamente dette “primitive”, proprietà tribale collettiva della terra e dei pascoli, forme di produzione comunitarie, asiatiche, schiavistiche, feudali, concezioni gerarchico-sacrali della società, eccetera). In questo primo momento, il Capitale deve progressivamente sottomettere alla sua logica questi “residui”, ed è normale che sviluppi una serie di ideologie, prima fra tutte l’ideologia del progresso, che gli sono funzionali.

In un secondo momento, portata a termine nell’essenziale la sottomissione delle sopracitate limitazioni esterne, il Capitale non ha ancora raggiunto la forma ontologicamente perfetta dell’Assoluto, perché restano delle limitazioni interne, prima fra tutte la scissione dicotomica interna fra le polarità opposizionali della Borghesia e del Proletariato. Questa polarità opposizionale, lungi dall’essere coestensiva all’intero concetto di Capitale come Assoluto, caratterizza soltanto questo secondo momento del suo sviluppo, quello appunto della lotta di classe bipolare fra la borghesia e il proletariato. In realtà la tendenza irresistibile del Capitale è quella di assumere una forma “assoluta” postborghese e postproletaria, configurandosi come una piramide continua di differenziali di sapere, potere e consumo. Solo questa piramide continua, che presuppone alcune caratteristiche (uniformazione antropologica di massa, creazione di comunità di consumo manipolate, riduzione della democrazia a codice d’accesso politicamente corretto, e appunto infine creazione artificiale di un raddoppiamento virtuale di un mondo illusorio a fianco di un mondo reale, eccetera), può infatti configurare un vero e proprio adeguamento del concetto di Capitale al concetto di Assoluto.

Stiamo infatti storicamente entrando in questo terzo momento, che coincide anche (spazialmente) con la cosiddetta “globalizzazione” e (temporalmente) con la cosiddetta “fine della storia”. La determinazione temporale della fine della storia e quella spaziale della globalizzazione sono appunto le due determinazioni ideologiche fondamentali del nuovo Capitalismo Assoluto (attenzione, ho detto “ideologiche”, non certo filosofiche o scientifiche!). In Italia questo non è affatto chiaro, perché il nostro ceto intellettuale è uno dei più stupidi del pianeta, a causa di alcune specifiche arretratezze italiane (mafia, camorra, clientelismo, ndrangheta, incendi appiccati da guardie forestali, don Camillo, Peppone, meridionalismo pauperistico, comunità subalterne di appartenenza manipolata tipo Festival dell’Unità, nostalgismo neofascista identitario, isole dei famosi, culto operaistico del deretano sacro della classe operaia fordista, scontro simulato fra il Mortadella ed il Berlusca, femminismo delle quote delle donne politicanti in carriera, lunga durata dell’ipocrisia e del doppio linguaggio cattolico, inutile e dannoso celibato dei preti, buonismo veltroniano, come secolarizzazione imperfetta della cultura da oratorio e delle figurine Panini, eccetera). Ma sarebbe assurdo cercare di interpretare le tendenze di sviluppo mondiali all’assolutizzazione del rapporto di capitale attraverso lo schermo provinciale del teatrino ideologico italiano.

Lo schema triadico che ho sommariamente qui disegnato (ma intendo tornarci sopra in un saggio esaustivo), basato sulla sovrapposizione del concetto socio-economico di Capitale al concetto filosofico di Assoluto, richiede ancora due brevi chiarimenti. In primo luogo, esso è uno schema logico, e non direttamente storico e geografico. In alcune zone del mondo il Capitale è ancora invischiato nella prima fase (Africa, comunità indigene varie), ed in altre è immerso nella sua seconda fase (lotta di classe fra le borghesie ed i proletariati in India, Cina, eccetera). Solo nelle metropoli imperialistiche esso è già nell’essenziale giunto a sfiorare il suo approdo al terzo stadio “assoluto”. In secondo luogo, questo non significa affatto che “non ci sia più nulla da fare” e siamo già giunti alla fine capitalistica della storia. Non è affatto così. Semplicemente, il raggiungimento della fase logico-ontologica terminale del concetto di capitale come assoluto comporta l’abbandono non solo dell’ideologia del progresso (prima fase), ma anche l’abbandono delle contrapposizioni ideologiche della seconda fase (borghesia contro proletariato, laicismo contro religione, fascismo contro antifascismo, comunismo contro anticomunismo, destra contro sinistra, eccetera), in una parola, del teatrino virtuale della simulazione spettacolare.

Ed ecco allora perché ritengo che l’attuale “virtualità” sia in un certo modo strutturale e non solo sovrastrutturale. Essa appunto determina direttamente la struttura riproduttiva di questa fase terminale “assoluta” della riproduzione capitalistica, basata non solo sul totalitarismo ideologico dell’economia deificata (il “monoteismo del mercato”, secondo l’espressione azzeccata di Roger Garaudy) e sulla riduzione della democrazia a codice d’accesso politicamente corretto dei “diritti umani” definiti unilateralmente dall’impero, ma anche da quello che tu hai definito nella tua domanda precedente l’ “Individualismo relativista globalizzato”. Si tratta di un’ottima definizione sintetica. Il dominio della forma di merce presuppone infatti un solo “assoluto”, quello del potere d’acquisto monetario individuale per poterla comperare, e questo dominio presuppone la creazione potenzialmente illimitata di un immaginario pubblicitario di massa (inserzioni televisive, spot, centri commerciali come nuove cattedrali secolarizzate, eccetera). Ed ecco perché, in sintesi, la virtualità è strutturale e non semplicemente sovrastrutturale. Fra qualche decennio se ne accorgeranno anche le caste arretrate dei ben pagati sociologi universitari e le tribù identitarie degli ideologi dei media.

 

4) La politica virtuale non conosce partecipazione né militanza. Essa è tuttavia in grado di costruire dei validi surrogati. La passione e l’impegno infatti sono sostituiti dagli impulsi emozionali collettivi determinabili attraverso la capillare diffusione mass mediale dei messaggi. Non esiste più dunque militanza, ma il messaggio politico diffuso tramite i media penetra nella psiche collettiva al punto che è impossibile per ciascun individuo estraniarsene. Il messaggio virtuale non richiede né partecipazione né consenso, ma è assai più coinvolgente di quello ideologico. Poiché la politica virtuale non è fatta di scelte, ma di verità date, inconfutabili. Vediamo dunque riproporsi nella politica globalizzata tramite la tecnologia virtuale il moralismo religioso di stampo anglosassone (sia nella versione neo – con che in quella liberal), che postula non la dialettica delle idee contrapposte, ma rigidi comandamenti di carattere morale che postulano nette distinzioni tra il bene e il male. Pertanto è implicito nella politica virtuale un sistema di valori assoluti sostanzialmente totalitario e razzista, suscettibile di esportazione globale basato sui principi della democrazia anglosassone, sui diritti umani e l’economia di mercato. In contrapposizione all’Occidente americano, popolo di eletti e profeti di questo ordine morale assoluto, vi sarebbe la barbarie terrorista, l’oscurantismo religioso, il potere degli stati “canaglia”. La democrazia occidentale è virtualizzata e quindi “universalizzata”, proprio in virtù di questa pretesa superiorità morale che esclude con criteri che definiremmo di razzismo ideologico – morale tutta quella parte dell’umanità che in essa non si riconosce. Al massimo quest’ultima può adeguarsi ad essa nell’ambito della una società multietnica del melting pot, in cui potranno essere integrati popoli distintamente qualificati nella scala sociale a seconda della funzione da loro ricoperta nell’ambito economico produttivo. La virtualità è quindi una componente essenziale della politica nella misura in cui questa fornisca motivi ideologici e morali di sostegno funzionale all’imperialismo occidentale, sia nella sua espressione di potenza economica che in quella militare.             

 

Come osservi acutamente nella tua terza domanda, la logica del capitalismo assoluto che può finalmente corrispondere al suo “concetto” (Begriff in quanto identità logica di Reale e Razionale) porta ad una sorta di “ipocrisia compassionevole”, in cui esistono soltanto vittime, bambini, donne e vecchi, ma da cui vengono accuratamente esclusi gli adulti che lottano (a torto o a ragione) per cause storiche alternative, cause storiche alternative tutte omologate nella “follia della violenza”. In questo modo la storia intera, che per sua natura presuppone scontri fra adulti, viene derubricata a follia sanguinaria, e gli unici agenti storici ufficialmente legittimati ad intervenire sono i pompieri, le infermiere, le assistenti sociali, i poliziotti, ed infine i giudici che puniscono selettivamente le violazioni dei “diritti umani” a geometria variabile (le violazioni serbe ed irachene vengono punite, quelle americane ed israeliane invece no!).

Tutto questo ha una logica ferrea. Il capitalismo assoluto deve trasformare antropologicamente tutta l’umanità in consumatori a differenziato potere d’acquisto, ed il consumatore è per definizione una figura infantile, in quanto solo una figura infantile può essere illimitatamente accessibile alla pubblicità (l’attrazione irresistibile dei bambini per la pubblicità ed il conformismo dei consumi griffati e “firmati” è in proposito il modello cui tendono tutte le strategie pubblicitarie e propagandistiche). Il bambino è un grande consumatore di virtualità (la favola è infatti virtuale per eccellenza), e come tu dici è anche un soggetto che si muove sulla base di flussi di emotività e non di mediazione riflessiva razionale. Sia Berlusconi che Veltroni sono notoriamente leader che fanno espressamente appello alla emotività e non alla razionalità del loro parco elettorale potenziale. Anche qui si è di fronte ad un processo di uniformazione antropologica dall’alto, sostenuto e razionalizzato dalle bande corrotte degli intellettuali, senza alcuna differenza fra destra e sinistra. Il punto è capire che questi processi di infantilizzazione generalizzata sono del tutto strutturali, perché sono correlati alla trasformazione dell’intera società in un unico Centro Commerciale frequentato da bambini percorsi da irresistibili pulsioni emozionali al consumo.

Il capitalismo assoluto tende ad una omologazione antropologica differenziata in poteri d’acquisto distinti. Una sola lingua, l’inglese operazionale degli scambi, da non confondere ovviamente con la grande letteratura in lingua inglese, che Dio ce la preservi. Un solo sesso, di tipo androgino, il che comporta l’esaltazione dei gay e delle lesbiche e la ridicolizzazione delle tradizionali famiglie sia borghesi che proletarie. Una sola vera religione con un solo clero, il sacerdozio levitico ebraico dell’Olocausto, la cui funzione è l’eternizzazione del complesso di colpa europeo con annesse eterne basi militari USA in territorio europeo (per evitare incresciosi possibili equivoci: l’Olocausto ebraico è veramente avvenuto, Hitler lo ha veramente compiuto, ma il fatto che negarlo sia una “bestemmia”, mentre negare Dio non lo sia più, la dice lunga sulla legittimazione religiosa segreta della società attuale). Una sola razza, il meticciato multiculturale globalizzato e sradicato. Eccetera, eccetera.

Hai ragione a parlare di “razzismo ideologico-morale” nei confronti di tutti coloro che non si adattano a questa omologazione coatta. L’infantilizzazione viene perseguita anche e soprattutto con la fine della problematizzazione filosofica razionale, in quanto per un bambino non ci può essere che la dicotomia secca e rigida Bene/Male. La religione per le scuole elementari e la filosofia per le scuole superiori era il modello del liceo di Giovanni Gentile, ma oggi dopo l’invasione delle cavallette sindacaliste e psico-pedagogiche della CGIL scuola PCI – PDS – DS anche la scuola superiore è stata infantilizzata, ed il merito e l’applicazione sono stati distrutti (si vedano in proposito i bei romanzi di Paola Mastrocola).

In queste condizioni la vecchia militanza è stata effettivamente svuotata, sostituita dal cammellaggio delle primarie a “sinistra” e dal plauso al Grande Berlusca a “destra”. Personalmente, ritengo inutile e patetica ogni strategia di ricostituzione di piccole formazioni ultra-ideologizzate di militanti tenuti insieme da una connessione ideologica identitaria (vari tipi di neofascismo e di trotzkismo – mi scusino gli aderenti rispettivi a questi due gruppi). E tuttavia sono profondamente convinto che l’uomo resta un animale politico e che la natura umana non sia integralmente manipolabile. Purtroppo il capitalismo assoluto porterà a catastrofi antropologiche ed ecologiche, e su questa probabile base (scusatemi il catastrofismo, che mi è odioso e che ovviamente non auspico soggettivamente) si ricostituiranno in un futuro ancora imprevedibile nuove forme collettive di militanza non solo “radicale” (la paroletta oggi diffusa è ridicola!), ma tout-court rivoluzionaria.  

 

  *Intervista con il Prof. Costanzo Preve a cura di Luigi Tedeschi