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Buone notizie da Gaza

di Gideon Levy - 23/11/2007

Niente resistenza, niente palestinesi. Niente terrorismo, niente progresso. Se non ci fossero i Qassam, nessuno ci penserebbe alla vita a Gaza dopo il ritiro israeliano.

 


 


Il gruppo di riservisti è rientrato in uno stato di grande eccitazione: Hamas aveva combattuto come un esercito. I compagni del sergente maggiore della riserva, Ehud Efrati, caduto in combattimento a Gaza circa due settimane fa, ha detto ad Amos Harel che "secondo tutti i parametri, ci troviamo di fronte a un esercito, non a bande”. I soldati delle Forze di difesa israeliane sono rimasti colpiti dai visori notturni dei loro nemici, dallo spazio tattico che conservavano tra di loro ­e dal fatto che persino i loro pantaloni erano dotati di elastici per tenerli stretti intorno agli stivali. Queste sono buone notizie da Gaza.

Innanzitutto, è un bene che siano stati mandati i riservisti in questa missione, “perché se queste missioni venissero lasciate ai soldati regolari, nessuno a casa capirebbe ciò che sta succedendo a Gaza”, ha detto uno di loro. Ma le notizie che i soldati hanno riportato sono incoraggianti anche per altri aspetti. Secondo le loro descrizioni, è emersa una Forza di difesa palestinese. Invece di una congrega di bande armate, si sta formando un esercito ordinato in grado di difendere la propria terra. Se si limitano a dispiegare una difesa contro le incursioni israeliane, noi non potremo vantare alcun diritto morale nei loro confronti: Hamas ha il diritto di difendere Gaza, proprio come lo Tsahal ha il diritto di difendere Israele.

La nascita di un esercito garantisce anche che, se Israele cercherà di raggiungere un accordo con il governo di Hamas ­solo e unico modo per fare cessare il lancio dei razzi Qassam ­ci sarà qualcuno a Gaza per impedire il lancio. L'esistenza di un indirizzo armato e organizzato nel caos di Gaza significa buone notizie anche per Israele. Ma il rispetto che i riservisti hanno provato per la maniera in cui ha combattuto Hamas potrebbe penetrare più a fondo.

“Non abbiamo mai visto i palestinesi così”, i soldati sorpresi hanno detto a  Haaretz.

Forse smetteremo finalmente di chiamarli “terroristi” e li chiameremo “combattenti”. Un po’ di rispetto per  i palestinesi e, in particolare, la fine della nostra disumanizzazione nei loro confronti potrebbe segnare l’apertura di un nuovo capitolo.

Inoltre, se questa valutazione è corretta, il fatto che sia sorto un esercito a Gaza, potrebbe impedire un’altra operazione terrestre su larga scala, con le sue molte perdite e la sua inutilità. Forse i resoconti dei riservisti dissuaderanno il ministro di difesa dall’eseguire il suo piano di conquistare Gaza e spingerà Israele, per la prima volta, a cercare un nuovo approccio con Hamas: i negoziati. Solo il riconoscimento della forza di Hamas potrebbe convincere Israele ad affrontare con cautela un’altra operazione e solo il suo rafforzamento militare ci permetterà di capire in pieno la stupidità della politica di boicottaggio che fu ideata per indebolire Hamas.

Noi abbiamo sempre agito così. Senza una violenta resistenza palestinese, la vita nell’Israele occupante è eccellente, e nessuno presta attenzione alla necessità di porre fine a tale occupazione. Niente resistenza, niente palestinesi. Niente terrorismo, niente progresso. Se non ci fossero i Qassam, nessuno ci penserebbe alla vita a Gaza dopo il ritiro israeliano.

Il nostro è un paese che è disposto a fare concessioni solo dopo che il sangue è stato versato. In seguito agli accordi provvisori che hanno fatto seguito alla guerra del Yom Kippur e fino al ritiro dal Libano e poi da Gaza, Israele ha sempre avuto bisogno di un nemico forte perché facesse qualcosa. Se non ci fosse Hezbollah, saremmo ancora in Libano; se non ci fosse Hamas, saremmo ancora a Gaza.

E’ arrivato il momento di aprire un nuovo capitolo. Pensavamo forse che l’abbandono di Gaza e la carcerazione della sua popolazione sarebbero bastati per rendere gioiosa la vita in Israele? È arrivato Hamas, per ricordarci che ciò non basta. Finché non rinascerà un movimento di resistenza forte e organizzato lì, non penseremo a evacuare nemmeno un piccolo avamposto.  Ogni due settimane circa, terremo dei colloqui con il Presidente Mahmoud Abbas, andremo ad Annapolis, ma non discuteremo mai, Dio ce ne guardi, dei veri problemi.

E le nostre vite meravigliose proseguiranno, mentre in Cisgiordania, le masse si raduneranno per ore ai checkpoint, saranno umiliate e rischieranno la vita ogni volta che escono di casa.

Con queste parole, non si intende incoraggiare un’altra ondata di terrore palestinese. Si intende spingerci, per la prima volta, ad andare oltre le nostre abitudini e arrivare alla conclusione ­ questa volta senza versamento di sangue ­ che l’occupazione non può continuare per sempre. Forse la notizia degli elastici sui
pantaloni degli uomini di Hamas lo farà per noi, e si eviterà il prossimo ciclo di violenza.


Originale da: Haaretz

Articolo originale pubblicato l'11 novembre 2007

L’autore

Miguel Martinez è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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AUTORE:  Gideon LEVY ÌÇÏÚæä áíÝí

Tradotto da  Miguel Martinez