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Il paese dei Taliban. Di nuovo. I guerriglieri islamici stanno vincendo

di Vittorio Strampelli - 25/11/2007

 


 

I guerriglieri islamici sono tornati ad avere il controllo di gran parte del paese e sono più che mai attivi nell'economia afgana, grazie anche al crescente favore di cui godono presso la popolazione. L'analisi del Senlis Council, noto istituto di ricerca britannico, sancisce il fallimento delle missioni Nato-Isaf



L'Afghanistan è in mano ai talebani. Di nuovo. Non è una minaccia, né un avvertimento per il prossimo futuro, ma la realtà dei fatti: gli studenti coranici sono tornati ad avere il controllo di più della metà del Paese. Con buona pace degli Stati Uniti, della Nato, dell'Onu e delle missioni Isaf e Enduring Freedom, che da ormai sei anni vedono migliaia di uomini impegnati in una "lotta di liberazione" che sembra sempre più un fallimento. A fornire queste amare constatazioni è l'ultimo, dettagliatissimo rapporto del "Senlis Council", il prestigioso think-tank britannico di politica internazionale, che da tempo sottolinea gli errori delle missioni a guida americana e Nato, e propone la necessità di cambiare approccio nella lotta alla produzione di oppio, passando dall'eradicazione a una sorta di monopolio controllato dallo Stato.

Secondo l'osservatorio, che in terra afgana ha ben tre sedi (a Kabul, Helmand e Kandahar) e che monitora la situazione del Paese da anni, "il 54 per cento delle città e dei villaggi ha una presenza permanente di talebani, soprattutto a sud". Ma non sono solo i centri abitati ad essere sotto il controllo dei fondamentalisti: "La guerriglia talebana - prosegue infatti il rapporto - controlla zone di campagna, grossi centri, importanti arterie stradali" ed è attiva più che mai nei gangli vitali dell'economia afgana.

La mappa del Senlis Council

Lungi dall'aver abbandonato la regione, i taliban hanno preso del tempo per riorganizzarsi, prendendo spunto da un altro grosso pantano provocato dall'Occidente, l'Iraq, e importando le tattiche della guerriglia irachena, una guerra asimmetrica che include kamikaze e attentati dinamitardi lungo le strade. La "mancanza di leggi e di controllo governativo nelle zone di confine con il Pakistan - prosegue il documento - stanno rafforzando direttamente e indirettamente la guerriglia attraverso nuovo reclutamento, finanziamenti e operazioni di supporto ideologico e basistico da parte di Al Qaeda".

Il potere che gli studenti delle madrasse sono tornati a esercitare, dice il Senlis, è non solo economico, ma anche psicologico, grazie a una crescente legittimazione politica guadagnata nella mente e nel cuore della popolazione civile, abituata a repentini cambi di regime ed alleanze e delusa da anni di promesse di pace e prosperità che non sono mai state mantenute.

Nelle 111 pagine di cui si compone il rapporto, suddivise in tre capitoli - sicurezza, sviluppo sociale ed economico, governance - il pensatoio britannico descrive una situazione quasi senza speranza e prospetta vari scenari, che includono l'impossibilità del governo Karzai e della Nato di controllare la guerriglia e il ritorno al potere dei talebani con il favore di gran parte della popolazione. Un incubo che sta diventando sempre più reale: "La domanda adesso è non se i talebani torneranno a Kabul, ma quando, e in quale forma", si chiede il Senlis, che documenta il fallimento degli sforzi internazionali "nel tentativo di migliorare le condizioni di vita della popolazione e di aumentare il consenso nei confronti del governo e della comunità internazionale". La guerriglia, divisa in un nocciolo duro di estremisti islamici, appoggiati però da un più largo strato di poveri, è infatti "riuscita a sabotare la missione di stabilizzazione Nato-Isaf".

L'unica speranza, a questo punto, è un radicale cambio di strategia. La Nato, raccomanda l'Istituto, "deve incorporare truppe islamiche nella missione", passare da "una strategia anti-terrorismo" ad una "anti-guerriglia", operare anche in Pakistan per tagliare i collegamenti. Una ricetta che pone l'accento non sugli aspetti umanitari, ma su quelli militari: servono, in sostanza, più soldati. Almeno il doppio rispetto ai 40 mila attualmente impegnati nelle missioni Nato-Isaf. Solo così, secondo il Senlis Council, si eviterà che l'Afghanistan, ormai sull'orlo di un precipizio aperto sul caos (il titolo del rapporto è, infatti, "Stumbling into Chaos: Afghanistan on the Brink"), compia l'ultimo e fatale passo verso la propria condanna. Ma la realtà, che l'Istituto inglese sembra non vedere, è che i Paesi impegnati nelle operazioni stanno studiando come uscire indenni, e al più presto, dalla palude afgana: quella di un aumento delle truppe è un ipotesi che difficilmente potrebbero prendere in considerazione.