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Scuola-logo

di Alessandro Marmiroli - 26/11/2007

     

 

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Ormai non ci stupiamo più di vedere la gigantografia di una marca di shampoo coprire la facciata di una cattedrale che abbisognava di fondi per il restauro, o tridimensionali spot semoventi circolare per le strade, autobus trasformati con la vernice in enormi pacchetti di gomme da masticare o in lattine di Coca Cola. Ci scandalizziamo ancora un po’, per fortuna, quando un nomade che guida ubriaco e uccide quattro ragazzi diventa testimonial di una marca di jeans creata su misura per lui.
Dovunque le sponsorizzazioni di eventi arrivano, presto pretendono di dettar legge e sovrapporsi all’evento che sponsorizzano. Così non abbiamo più un trofeo di calcio, ma un trofeo Birra Moretti. Non più un festival di musica rock ma un Heineken Jammin' Festival.
Il presentatore di uno show televisivo deve stare attento a ciò che dice, perché un riferimento a qualcosa che non piaccia allo sponsor può far perdere i finanziamenti e chiudere lo show.
Finora vi era un solo luogo rimasto inviolato dai tentativi di convincerci che il prodotto più schifoso sia il migliore perché reclamizzato da un testimonial di grido: la scuola.
In questo luogo “sacro” i pubblicitari non sono mai entrati con i loro cartelloni, ma, come ogni volta accade in Occidente, l’anticipazione del peggio che ci aspetta arriva dall’America.
Negli States si sono cominciate a vedere McDonalds scolastici al posto delle mense scolastiche, palestre reclamizzate più dello stadio della finale dei mondiali. Addirittura in una città canadese la Pepsi ha acquisito il diritto di dare la sua immagine a intere scuole: “Pepsi, la bevanda ufficiale della scuola media di Cayuga”, si legge in un megacartello. In Florida un istituto superiore ha siglato un contratto con cui si impegna a far di tutto per massimizzare le vendite della bibita tra gli studenti.
È nato recentemente un canale televisivo dedicato esclusivamente alla pubblicità in classe in cambio di finanziamenti. 12.000 scuole si obbligano a trasmettere alcuni minuti di spot interrompendo le lezioni, e gli studenti sono obbligati a seguire senza poter cambiar canale.
Il fondo è stato toccato quando le aziende, evidentemente non soddisfatte, hanno cominciato a metter le mani sui programmi scolastici, spingendo perché venissero studiati i loro marchi: lezioni su come si fabbrica una scarpa Nike, guide allo studio di Anastasia (recente film Disney), ricerche di mercato e test d’assaggio in aula... Hanno perfino cominciato a chiedere esplicitamente che i prodotti pubblicizzati vengano illustrati dagli insegnanti e che gli studenti realizzino slogan che l’azienda utilizzerà davvero nei suoi spot. Il tutto a spese dei contribuenti.
In Italia a questo non siamo ancora arrivati, ma non temete: il blocco di potere imprenditorial-economico sta già cominciando ad allungare le mani sull’istruzione.
Confindustria ha organizzato un seminario, “Orientainsegnanti” (da quando tocca alle imprese orientare gli insegnanti??). Diego Della Valle ha forse creduto di essere il novello Stainer o la rediviva Montessori, proponendo una scuola ove la funzione educativa non sia più esercitata dai soli docenti ma sia condivisa con gli imprenditori.
“Sempre più ragazzi scelgono studi umanistici piuttosto che quelli scientifici, ciò contrasta con la necessità delle imprese reggiane di assumere personale tecnico qualificato”, vi era scritto in una pagina di un giornale di Reggio Emilia qualche giorno fa da parte di un associazione d’imprese. Il giovane viene fatto sentire in colpa perchè la sua scelta non è benvista dalle aziende, si cerca di creare l’ambiente per cui un ragazzo non scelga la scuola in base ai suoi interessi e progetti futuri, ma in base a quello che vogliono le imprese, e chi se ne frega delle sue aspirazioni.
Mister Tod’s definisce la scuola un'azienda fatta per costruire cose, e dipende anche dagli imprenditori quali saranno queste cose. E chiede che le porte dell’istruzione gli siano aperte un po’ di più.
Insomma, questi cercano di entrare nelle aule, di far credere di essere dei validi partner didattici, si assumono il compito di plasmare i ragazzi: filantropismo? No, profitto.
Facile immaginare quale sarebbe il seguito, oltre a creare futuri dipendenti, cercherebbero di creare futuri consumatori, e cominceremo a vedere ciò che si vede in America.