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Celli: chiamate dei politici in Rai? Sempre state con centro, destra e sinistra

di Paolo Conti - 26/11/2007

L’ex dg della Rai ulivista e il caso delle intercettazioni

«Questa storia delle intercettazioni è come un fotogramma di un film. Se lo si taglia e lo si isola, assume un significato. Se invece lo si inserisce in una lunga sequenza allora si capisce che siamo di fronte alla parte di qualcosa che è sempre esistito…». Parola di Pier Luigi Celli, oggi direttore generale della Luiss ma ex direttore generale della Rai dell’Ulivo sotto la presidenza di Roberto Zaccaria, scelto perché «gradito» a D’Alema e uomo di centrosinistra («lo ero e lo sono, non ho cambiato idea»). Dunque queste intercettazioni non hanno stupito il predecessore di Claudio Cappon…. «Le telefonate dei politici alla Rai ci sono sempre state, sarebbe un’ipocrisia negarlo. E quindi sarebbe interessante se si potessero esaminare altre intercettazioni, quelle legate al passato. Perciò faccio il discorso del fotogramma».

Ma qui si immagina una commistione Rai-Mediaset con un unico beneficiario, Silvio Berlusconi, e con una Rai piena di uomini «vicini» al Cavaliere. «La faccenda indubbiamente appare rilevante poiché riguarda la guida dell’informazione. Se fosse provato, sarebbe gravissimo. Ma circa i contatti col concorrente… se giurassi di non aver mai sentito Fedele Confalonieri non sarei sincero. Anzi, mentirei». Vi sentivate per dar vita a «Raiset»? «Macché. Ma due gruppi concorrenti come Rai e Mediaset possono confrontarsi sulle grandi strategie industriali. Succede ovunque». Se lei fosse ancora direttore generale sospenderebbe Deborah Bergamini? «Bisogna essere molto cauti e chiari. La certezza del diritto va rispettata. Non ci si può stracciare le vesti a corrente alternata né indignarsi a seconda di chi sono i bersagli. Certi criteri devono valere sempre. Vedo che si infuriano molti personaggi "benedetti" e graditi a tante parti politiche». Parla del centrosinistra? «Del centrosinistra come del centrodestra, in altri casi. La Bergamini? Non la conosco, non lavorava alla Rai ai miei tempi. Non sono in grado di giudicare la sua competenza. In passato so però che si era più professionali anche nel fare le sciocchezze...» In quanto a Clemente Mimun? «Come direttore Rai è sempre stato di una correttezza estrema. Faceva bene il suo mestiere. Ha sempre battuto il Tg5. Non ha mai nascosto le sue idee politiche, diverse dalle mie. Ma lo faceva con lealtà e chiarezza».

Ma certe telefonate dimostrerebbero un «accordo» con la concorrenza… «Per come lo conosco io, mi sembrerebbe impossibile. Non è quel tipo di persona». Ma torniamo alle telefonate dei politici, alle pressioni. Chi la chiamava? «A me nessuno. La delega ai contatti con le istituzioni apparteneva a Zaccaria in quanto presidente». Quindi arrivavano a lui? «Non potrei dirlo. So però perché me ne sono andato l’8 febbraio 2001, pochi mesi prima delle elezioni politiche. Io non volevo una Rai schierata prima delle urne, convinto com’ero che l’equilibrio avrebbe giovato anche al centrosinistra. Vidi invece un grande attivismo di Zaccaria che convocava direttori e autori di programmi. Mandai uno, due, tre segnali. Poi me ne andai. In seguito accadde ciò che sappiamo: i programmi Travaglio-Luttazzi, i casi Santoro, una Rai schieratissima. Il centrosinistra, a elezioni perdute, dovette poi pagare tutto con gli interessi, com’era ovvio. Seguirono cinque anni di berlusconismo che è meglio dimenticare ». Una pausa: «Ora sto benissimo dove sto. Guardo ciò che accade e penso quanto sia triste questa politica fatta solo di appartenenze e priva di idee e ideali». Vale per tutti? «Purtroppo vale per tutti. Lo dico con molta amarezza».