Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dentro la guerra segreta della Francia

Dentro la guerra segreta della Francia

di Johann Hari - 26/11/2007

 
Da 40 anni il governo francese sta combattendo una guerra segreta in Africa, ignota non solo al suo popolo ma a tutto il mondo. Ha portato la Francia a massacrare democratici, installare dittatori su dittatori – e a fondare e alimentare il più bestiale genocidio dai tempi dei nazisti. Oggi, questa guerra è così violenta da costringere migliaia di persone a varcare il confine dalla Repubblica Centrale Africana verso il Darfur – cercando rifugio nei più noti campi di sterminio del mondo.

Ho sentito sussurri di questa guerra in marzo, quando i giornali hanno riportato che i militari francesi stavano bombardando la lontana città di Birao, nel nord est della CAR. Perché i francesi stavano combattendo là, migliaia di miglia lontano da casa? Perché intervenivano in questo modo nell’Africa Centrale da molti decenni? Non potevo trovare qui alcuna risposta, per cui decisi di recarmi là, nel grembo della guerra dimenticata della Francia.

Sul campo di battaglia - Birao

Sono in piedi ora su questo ultimo campo di battaglia, gettando lo sguardo sulle strade fangose con tracce di cenere. La città di Birao è vuota, per la prima volta in 200 anni. Tutto intorno si vedono case bruciate e abbandonate, con bambini denutriti che saltellano tra le macerie. Che cosa erano questo edifici? Su una insegna verde scolorito si legge 'Ministero della Giustizia', una struttura ora ridotta ad un ammasso di carbone. Nella piazza del mercato, la gente che è ritornata sta vendendo poca merce – riso e manioca, il locale alimento base con lievito – e parla tranquillamente. Ai confini della città, ci sono soldati africani armati e istruiti dai francesi, sdraiati dietro sacchetti di sabbia, che mostrano nervosamente ai passanti le proprie mitragliatrici. Cantano noiosi inni nazionalisti sognando la propria casa.

Per arrivare qui, devi viaggiare otto ore su un volo settimanale dell’ONU che trasporta otto passeggeri al massimo, e poi per un’ora sul retro di un autocarro arrugginito lungo strade devastate e sconnesse. E’difficile capire quando sei arrivato, perché tutto è silenzio e vuoto. Che cosa è successo qui? Seduto nel mezzo al fango, polvere e desolazione, incontro Mahmoud, uno del 10% della popolazione di Birao tornata tra le macerie.

E’ un contadino di 45 anni con il viso smunto, che spiega con un voce lenta e bassa come la sua casa è venuta giù.

"Mi sono alzato per le preghiere del mattino il 4 marzo e c’erano sparatorie dappertutto. Eravamo molto spaventati e così siamo rimasti in casa sperando che tutto finisse. Ma nel primo pomeriggio i bambini di mio fratello corsero in casa mia, gridando e piangendo. Dicevano che le Forcés Armées Centrafricanes [Faca – l’esercito equipaggiato e addestrato dalla Francia, nell’interesse dell’amico e uomo forte della regione, il Presidente François Bozize] erano entrate nella loro casa. Non riuscivano a calmarsi e spiegarsi. Allora corsi là, e vidi mio fratello sul terreno all’esterno, morto. La moglie mi spiegò che essi fecero irruzione, lo radunarono insieme a tre uomini che vivevano nelle vicinanze. Li portarono sulla strada e gli spararono uno ad uno in testa".

L’amico di Mahmoud, Idris, che viveva vicino, temeva che gli avrebbero sparato. Ora racconta:

"Si potevano vedere i villaggi in fiamme e i bambini che urlavano impauriti, così corremmo per 2 chilometri all’interno della giungla. Da dove abbiamo visto la nostra città in fiamme. Ci siamo sistemati vicino al fiume, mangiavamo pesce ma non ce n’era molto. Alcuni giorni non siamo riusciti a prenderne così siamo rimasti senza cibo. I bambini erano terrorizzati. Anche ora, quando sentono un rumore forte, pensano che stiano tornando i cannoni e iniziano a tremare". "Il quarto giorno, abbiamo visto arrivare gli aerei francesi. Ciascuno aveva sei missili che furono sparati. Le esplosioni furono intense. Non sapevamo cosa erano i bersagli e perché. Poi arrivarono i soldati francesi". Era un carro pieno di soldati, con occhiali da sole firmati e con un’espressione ansiosa del tipo "Perché sono qua?".

Mentre Mahmoud e Idris parlano si fa scuro e un'oscurità ed un silenzio soffocanti calano sulla città. Non c’è elettricità né la luce della luna. Spiegano in questa oscurità che, a marzo, le truppe appoggiate dai francesi hanno iniziato a sparare e l’esercito francese a bombardare per una ragione: gli abitanti della zona disperati hanno iniziato a sollevarsi contro il presidente Bozize, perché non faceva niente per loro. La gente qua era stanca del fatto che "non ci sono scuole, ospedali, strade". "Siamo completamente isolati" – spiegano - "Quando piove, rimaniamo tagliati fuori dal mondo, perché le strade diventano melma. Non abbiamo niente. Tutto ciò che i ribelli chiedevano era l’aiuto del governo". Girando per Birao, ho udito sempre questa ragione: i ribelli stavano semplicemente chiedendo aiuto al governo per la gente affamata e abbandonata. Lo hanno ammesso in privato perfino gli sconcertati soldati francesi e i lacché di Bozize. Eppure la risposta francese è stata quella di bombardare le postazioni dei ribelli. Perché? Che cosa vogliono qui?

Guardo verso la giungla e mi rendo conto che molti degli abitanti di Birao sono ancora nascosti là, esposti alle bestie feroci. In zone ugualmente distrutte dalle fiamme nel nord-ovest, entro in auto nella giungla con l’Unicef e trovo gruppi di famiglie affamate sparse dappertutto. In un appezzamento disboscato, incontro un gruppo di 4 uomini con mogli e madri, intenti a ripulire un’area di terreno con le loro mani nude per piantarvi arachidi. Vivono in capanne fatte con le mani e fabbricano trappole per catturare topi da mangiare. Ariette Nulguhom sta cullando il suo nipote di 8 mesi con il piccolo addome disteso e prega che il bimbo sopravviva ancora un’altra notte. Mi dice: "E’ malato da molto tempo. Vorremmo portarlo in una infermieria ma non ce ne sono.Pensiamo sia la malaria ma non abbiamo medicine. Non sappiamo quello che succederà… Siamo tutti indeboliti e febbricitanti. Siamo esausti perché lavoriamo tutto il giorno, ogni giorno. Io non mangio da giorni". Abbandonando le loro case, non hanno più disponibilità di acqua pulita, elettricità e medicine. Quando le Faca bruciarono le loro case, hanno distrutto con le fiamme anche il 18°, 19° e 20° secolo per queste famiglie.

Questo è un angolo dimenticato di un paese dimenticato. Birao si trova e muore nel lontano nord-est della Repubblica Centrale Africana. Questa ha una popolazione di solo 3,8 milioni, sparsa in un territorio più grande della Gran Bretagna, localizzata esattamente nel cuore geografico dell’Africa. E’ il paese meno raccontato della terra. Perfino il fatto che 212.000 persone siano state spinte via dalle loro case in questa guerra non ha avuto una risonanza mondiale. A Birao, mi rendo conto di essere troppo preso da questo orrore per cercare spiegazioni più profonde per questa guerra. Comincio solo a scoprire le origini di questa storia quando incontro un molto raro trovare nella CAR – un uomo anziano.

Un paese di bambini - Paoua

Nella CAR, vinci una scommessa se vivi fino a 42 anni. A volte questo sembra un paese di bambini, che si accalcano con i loro fucili e i loro duri sorrisi, senza un adulto all’orizzonte. Così mi sembra un miraggio quando vedo Zolo Bartholemew che zoppica dietro le macerie di un’altra città bruciata – questa volta nel lontano nord-ovest, fuori della città di Paoua. Non ha denti e una faccia rugosa, e quando lo chiedo, non sa dirmi la sua età. Ma lui ricorda. Ricorda la prima volta che i francesi furono qui – e il perché.

"Vidi i miei genitori forzati a lavorare nei campi quando ero un bambino" dice in Sango, la lingua locale. "Quando erano stanchi, erano frustati e battuti per farli lavorare più veloce. Era sempre così".

La bandiera francese fu la prima che sventolò nel cuore dell’Africa il 3 ottobre 1880, impossessandosi della sponda destra del Congo per la causa della Liberté, Egalité, Fraternité – per l’uomo bianco. Il territorio venne suddiviso tra società francesi, alle quali venne dato il diritto di rendere schiavo il popolo, come i genitori di Zolo, e forzarlo a raccogliere il caucciù. Questo veniva processato a formare copertoni da vendere a Parigi, Londra e New York. Un missionario francese, Padre Daigre, descrisse ciò che vide: "E’ comune incontrare lunghe file di prigionieri,nudi e in uno stato pietoso, trascinati con un corda intorno al collo. Sono affamati, malati e cadono in terra come mosche. I bambini piccoli e gli ammalati vengono lasciati nei villaggi a morire di fame. Le persone meno malate spesso uccidono i moribondi per cibarsene".

Zolo accenna di sì con la testa mentre racconto questo. "Quando i bianchi erano qui, soffrivamo ancora di più" egli dice "Ci forzavano a lavorare. eravamo schiavi".

Un esterrefatto amministratore francese scrisse negli anni 20 che i locali reagirono all’essere schiavizzati dalle società diventando "un troglodita, che si tiene in vita miseramente con le radici finché non muore di fame, piuttosto che accettare questi terribili fardelli". Zone che "solo pochi mesi prima erano ricche, popolose con residenti in grandi villaggi" divennero – scrive - "terra desolata, disseminata di villaggi dilapidati e piantagioni abbandonate".

Ma negli anni 50, uomini come Zolo insorsero e rifiutarono di fare gli schiavi. "Seguimmo Boganda" dice. Barthélemy Boganda era nato in un villaggio dell’Africa Centrale vicino qui nel 1910, e, da bambino, vide sua madre battuta a morte dalle guardie incaricate di ritirare il caucciù per una società francese. Egli crebbe con il clero cattolico, sposò una donna francese, e, quasi improvvisamente, divenne il capo del movimento pro-democrazia della CAR. Parlò alla Francia presentandosi come il figlio di un cannibale poligamo, e tenne discorsi sui valori della Rivoluzione Francese con una capacità tale da lasciarli stupefatti e umiliati. Aveva una visione di un’Africa democratica al di là delle tribù, delle razze e del colonialismo. Era appassionato della necessità di partiti politici, di una stampa libera e dei diritti umani, e della visione degli Stati Uniti d’Africa.

"E lo uccisero" dice Zolo, scuotendo la testa e battendo i piedi sul terreno. Il 29 marzo 1959, non molto tempo dopo che era finita l’era del dominio diretto francese, l’aereo del presidente Boganda esplose in aria. La stampa francese scrisse che vi erano "materiali sospetti" trovati nella fusoliera dell’aereo – ma su ordine del governo francese, l’inchiesta locale venne abbandonata. La Francia installò al suo posto il dittatore David Dacko, che abbatté le riforme democratiche di Boganda, fece tornare molte società francesi e reintrodusse il vecchio sistema di lavoro forzato, rinominandolo "lavoro del villaggio". Il dominio francese sopra la CAR non finì con l’"independence". Semplicemente cambiò, in una forma nuova e viscida, che è alla base dell’attuale guerra. Gli indizi si trovano lontano ad occidente, nella capitale. "Niente succede qui che non sia azionato a Parigi" mi dice un tassista mentre parto per Bangui nel sud del paese, viaggiando tra nuvole di polvere rossa e nugoli di bambini da strada. Ho un appuntamento con un personaggio nascosto.

Un presidente tormentato - Bangui

Bangui appare una città, sorta nella giungla un secolo fa, che ha il desiderio di tornarci. Ogni edificio appare arrugginito, e grandi esplosioni di vegetazione stanno spostando case e negozi. Ad ogni angolo vi sono statue-caricature, enormi e ripugnanti, che rappresentano uomini neri con capelli crespi e labbra spesse, dando alla città l’aspetto di una rivendita del Ku Klux Klan.

Ogni poche ore, la corrente muore. La gente ozia nelle strade, giocando a carte e asciugandosi il sudore con la parte posteriore dei polsi. E’ durante uno di questi blackout che giungo all’ufficio di un capo dell’opposizione con una delegazione del gruppo inglese Waging Peace. Il suo ufficio è sopra un gruppo di negozi ed è una semplice stanza piena di sculture in legno e dipinti africani di passate e sfiorite glorie. Cammina verso noi con un vestito verde, e – sebbene non lo dica – si sta prendendo un grosso rischio a incontrarci segretamente. Lo scorso anno, 40 politici che criticavano il governo del presidente Bozize furono imprigionati e torturati. "Hanno cercato di uccidere mio figlio. Stanno cercando di assassinarmi" dice, alzando le spalle. Ci fornisce lunghi e orribili dettagli. Non posso ripeterli perché potrebbero farlo identificare, - e risultare in una condanna a morte.

"Il paese è in una situazione spaventosa" afferma. "Siamo stati descritti dalla rivista Foreign Policy come uno degli stati più falliti del mondo, dopo Iraq e Afghanistan". Aggiunge che la CAR è ora "una dittatura totale e feroce" sotto il commando assoluto di Bozize. Le radici delle guerre a nord-est e nord-ovest sono semplici. "Il popolo in queste regioni si sta ribellando contro il governo, perché il governo non gli dà niente. Non ci sono servizi. Non ci sono neppure le strade. Così i ribelli insorgono per avere attenzione – e il governo si vendica setacciando l’area, uccidendo civili e bruciando le case".

Ma chi è questo Francois Bozize, e perché la Francia lo appoggia con battaglioni e bombe? Telefono al vasto palazzo presidenziale per incontrare l’uomo che guarda fisso, da dietro un paio di baffi abilmente spuntati, nelle immagini che si vedono su ogni muro, e l’addetto stampa del presidente mi risponde "Mi richiami, sto finendo il credito sul cellulare" e chiude di scatto. Poi mi promette un incontro con il presidente ma trova misteriose "complicanze" che ogni volta lo annullano. Ci sono voci a Bangui che Bozize stia divenendo sempre più paranoico e nascosto, avendo assunto assaggiatori di cibo per evidenziare veleni e rifiutandosi di incontrare stranieri. Allora vado in cerca dei pochi scampoli di giornalismo indipendente che sopravvive qui per ottenere indicazioni su chi sia realmente questo figlio amato dalla Francia.

Le Citoyen è distribuito su carta fotocopiata ogni giorno e venduto agli angoli delle strade per pochi soldi – ma è uno dei bastioni delle residue libertà nell’Africa Centrale. Il suo editore Maka Obossokotte ha una bella barba grigia, zigomi squadrati e una volontà di ferro. E’ stato imprigionato più di una volta per criticare il Presidente e i suoi compari, ma insiste perché lo citi per nome. "In prigione, ti viene dato come cibo pesce marcio. Mi sono preso la gotta. I bagni…." scuote la testa "E’ un inferno". Dice di sapere adesso che "è molto probabile che qualcuno del clan presidenziale mi ucciderà…. Ogni mattina quando mi sveglio, penso che ci siano tre letti in cui finirò la notte: qui a casa, all’ospedale o nella stanza mortuaria". Ma dice: "Io non voglio aver paura. E’ quando hai paura che hai perso".

Seduto in una deliziosa nube di fumo, traspirando sigarette forti, Maka mi racconta la biografia del presidente. E’ nato nel vicino Gabon, figlio di un ufficiale della polizia della CAR. Non fu brillante a scuola, ma si adoperò per ottenere un impiego come guardia del corpo di Jean-Bedel Bokassa, uno dei più malvagi dittatori adulati e lisciati dalla Francia. Bokassa fu famoso per essere un pazzo, si dichiarò " Imperatore della CAR", mangiò il capo dell’opposizione, e aprì il fuoco su un gruppo di bambini che stavano protestando per richiedere un sostegno per l’acquisto dei vestiti scolastici. Bozize portava il bastone e la borsa di Bokassa, e spiega Maka: "Era osservando lui che a Bozize venne il gusto del potere". L’"Imperatore" lo promosse generale.

Poco dopo, la pazzia di Bokassa lo rese un inaffidabile servo della Francia, così i francesi appoggiarono un colpo di stato contro di lui. Bozize andò a studiare all’Ecole Spécial Militaire di Saint-Cyr in Francia, e ritornò solo per organizzare un farsesco colpo di stato. Nel 1982, prese il controllo di una delle stazioni radio nazionali e annunciò che egli era il nuovo presidente. Tutti risero; Bozize fuggì. Alcuni anni dopo fu riportato a Bangui per essere punito. "Lo torturarono" racconta Maka. "Gli orinarono in bocca, gli ruppero le coste, lo maltrattarono realmente per tre anni".

Infine lo lasciarono tornare in Francia per essere curato – e il governo francese iniziò a costruirlo come un presidente alternativo, nel caso che la loro attuale scelta divenisse troppo disobbediente e avesse proprie idee. Dall’essere un pover’uomo, improvvisamente Bozize ebbe il denaro per dare il via ad un’imponente campagna presidenziale. Corse ma perse.

Allora nell’ottobre 2002 si finanziò un grande esercito privato mercenario (provate ad indovinare con quale denaro) con lo scopo di invadere la CAR dal vicino Ciad, deporre il presidente in carica e installarsi come supreme governatore. Da allora ha " vinto" una contestata elezione che aveva accomodato per sé e che ottenne l’approvazione della Francia.

"La Francia vede la CAR come una colonia" mi dice Maka. "I presidenti sono scelti dalla Francia, non eletti dal popolo. Non servono gli interessi del paese, ma quelli della Francia". Poi elenca le società francesi che usano la CAR come una base per derubare le risorse dell’Africa centrale. Questo comportamento francese è alla radice delle guerre che attualmente sconvolgono il nord del paese. Chiunque diviene presidente sa che il suo potere deriva da Parigi, non dal popolo – in questo modo egli non ha incentivi a sostenere lo sviluppo del paese. Le ribellioni sono dunque inevitabili, e il presidente le reprime bruciando le case e sganciando bombe francesi come avevo imparato a Birao.

"Il paese non potrà svilupparsi a meno che la Francia non cessi di mettere al potere questi ditattori e il popolo inizi a scegliere" aggiunge Maka, schiacciando la sigaretta in un portacenere colmo. "La CAR progredirà solo quando avrà un presidente scelto dal popolo e non dalla Francia".

Dentro il paese dei ribelli - Bossangoa

Ora sto guidando nel caldo bollente di Bossangoa, città natale di Bozize – e l’ultimo avamposto del suo potere prima di entrare nel territorio dei banditi-e-ribelli. I villaggi di Marie Celeste si distendono per miglia uno dietro l’altro. Silenzio. Muri mangiati dalle fiamme. Città morte. Nelle case ci sono stoviglie fracassate, abbandonate quando gli abitanti fuggirono agli assassini e saccheggiatori di Bozize. In un altro villaggio, la campana che chiama i bambini per la scuola sta ancora ciondolando da un albero, dimenticata. Sulla lavagna c’è l’ultima lezione: una mappa della CAR in gessetto.

Poi, dopo un’ora di viaggio oltre Bossangoa nell’interno della giungla, si trovano segni di vita. 0into the jungle, there are signs of life. In un villaggio bruciato ci sono 20 giovani, sudati, con i Kalashnikov. Ci fermiamo e ci rendiamo conto di essere in un inaspettato campo di ribelli. Il leader dei ragazzi si avvicina – uno più anziano, di circa 24 anni – e stringe le nostre mani. Spiega che fanno parte del ribelle Esercito per la Restaurazione della Repubblica e della Democrazia (acronimo francese APRD), che ha conquistato quest’area. Le sue “ truppe” sono vestite in modo strano. Uno indossa occhiali e berretto da sci, in un luogo della terra più lontano da un pista da sci. Un altro indossa niente altro che un costume da bagno rosso acceso, una mezza dozzina di corde di proiettili intorno al collo, una ciabatta da donna argentata e splendente sotto il sole.

Ci spiegano che non è loro consentito rilasciare dichiarazioni – solo il loro capo può farlo – e di essere felici di farsi fotografare, assumendo pose scomposte. Si mettono proiettili in bocca, flettono la muscolatura, e assumono false smorfie di aggressività, come se stessero riproducendo un poster di Rambo. Il soldato con la faccia da bambini in un angolo, mi dicono, ha 13 anni. Sembrano giovani di una qualunque strada in qualunque parte del mondo, che giocano a fare i ribelli. Ed invece sono veri ribelli con vere armi. Un ragazzo di 13 anni con un fucile è una visione comica – finché non ti guarda e sorride in modo strano.

Perché, chiedo, avete aderito alla ribellione? "Bozize ha ucciso mio padre, mia madre e mio fratello" dice il loro capo facendo un passo avanti e a bassa voce. Si scopre la veste e mostra una cicatrice infiammata dove afferma di essere stato colpito con una baionetta. "Pensavano fossi morto e mi hanno lasciato". Chiedo quello che vogliono i ribelli. " Vogliamo pace, scuole, strade". La maggior parte di loro accennano di sì con la testa. Volete il potere? "Sta a Dio decidere. Noi vogliamo strade e scuole".

Ce ne andammo mentre loro agitavano sorridendo i loro fucili nella nostra direzione. Seguo la scia di case bruciate fino a Poua, città estrema del nord ovest – e ora siedo su una panchina con l’uomo che ha ordinato molti incendi. Un luogotenente della Guardia Presidenziale (GP) mastica una gomma al sole, dietro un filo spinato con guardie della sicurezza addormentate. La GP è al vertice dell’esercito del paese e risponde solo al presidente Bozize – la sua milizia privata. Quando li vedi avvicinarsi sulle strade, con i loro sguardi folli e le armi pronte, ti viene il batticuore e i brividi alla schiena. Nella piazza del mercato a Paoua, un " ufficiale" mette un fucile alla tempia di un dottore di Médecins sans Frontières dicendogli: "Faremo quello che hanno fatto in Rwanda". Mentre io cerco di parlare con uno dei capi.

Indossa una lunga vesta di color porpora brillante e un bianco fez, e mi dice in modo esitante che farà l’intervista in modo anonimo. E’ un giovane di 33 anni dalle spalle curve. La sua guardia del corpo è un muscoloso concentrato di ansietà, che osserva ogni mossa che facciamo come se fosse pronto a saltare addosso. Allora, luogotenente, perché pensa che la gente appoggi i ribelli e combatta contro di voi? Scambia un’occhiata con la guardia del corpo. "Non lo so". Perché la gente è così spaventata della GP? "Ci sono stati alcuni elementi indisciplinati, ma li abbiamo sistemati". Allora sono solo i soldati indisciplinati quelli che bruciano migliaia e migliaia di case? Non avete dato voi l’ordine? " Se bruciano case, noi li sistemiamo". Come li sistemate? " Usiamo la punizione". Veramente? E quante persone sono state punite? E quando? Alla guardia del corpo non piace questa domanda e mi guarda di traverso. "Avevo un ufficiale che si recò al mercato senza ordine. L’ho punito". Cioé? " Lo abbiamo punito". Questo non è quello che la gente dei villaggi dice. Sono terrorizzati. " Mi mostri i villaggi. Io le mostrerò che abbiamo fatto del bene". Dopo aver lasciato il complesso in auto, ci imbattiamo in due pallidi e disturbati lavoratori dell’opera di carità italiana Coopi. Mi spiegano che mentre il luogotenente ci stava rassicurando sul fatto che le sue forze sono disciplinate, un ufficiale della GP, a bordo di un motociclo, li aveva agitato un fucile in faccia.

Ad ognuna di queste scene mio torna in mente la domanda: perché? Perché i francesi appoggiano e addestrano questa milizia? Il governo francese afferma di trovarsi nella CAR in conseguenza di un accordo militare stilato negli anni 70 per proteggere il paese dalle aggressioni esterne. Le ribellioni nel nord, dicono, sono appoggiate dal Sudan – questo è ciò che conta. Mes amis, stiamo proteggendo un presidente democraticamente eletto da un vicino tirannico e genocida.

Ma non sono riuscito a trovare nessuna persona nel CAR – neppure la più filofrancese – che pensi che il Sudan abbia qualcosa a che fare con i ribelli. Così decido di incontrare a Bangui Louise Roland-Gosselin, una direttrice anglo-francese del gruppo Waging Peace, che sta studiando la Repubblica Centrale Africana. " Le politiche qui nella CAR sono parte di un molto più grande approccio della Francia verso l’Africa" ci dice. " Chiamiamo questo sistema 'Franceafrique', e fu messo in piedi da Charles de Gaulle per sostituire il vecchio sistema coloniale. Esiste una chiara continuità dal sistema imperiale ad oggi".

I motivi di questa guerra sono, afferma Roland-Gosselin, dollari, euro e uranio. "L’obiettivo principale è prendere le risorse dell’Africa e travasarle nelle tasche delle società francesi" ci dice. " La stessa CAR è una base dalla quale la Francia può accedere a tutte le risorse dell’Africa. Ecco perché è così importante. La usano per tenere il petrolio che fluisce alle compagnie francesi nel Ciad, le risorse che vengono dal Congo, e così via. E naturalmente questo stesso paese ha le sue risorse. La CAR ha molto uranio, di cui la Francia necessita per la sua dipendenza dall’energia nucleare. Al momento ottengono l’uranio dal Niger, ma la CAR è il loro piano di riserva". Allora questa è in parte una guerra per l’energia nucleare? "Sì, ma anche molto denaro che attraverso la corruzione entra nel processo politico francese. Diciamo che sia necessario costruire una strada qui nella CAR. Il governo francese insisterà perché a farli sia un’azienda francese – e questa azienda per ottenere appoggio donerà molto denaro al 'giusto' partito politico francese".

Questa guerra neo-imperiale rahhiunse il suo apogeo psicotico nel 1994, quando il governo fancese utilizzò la CAR come base per finanziare e alimentare il genocidio ruandese, il genocidio più sanguinoso dalla morte di Adolf Hitler. Vincent Mounie è un personaggio di primo piano in Sur Vie, un’organizzazione francese che le azioni del proprio governo in Africa. Spiega: "La Francia era pienamente complice nel genocidio. C’erano truppe francesi nella zona prima, durante e dopo il genocidio, in appoggio delle forze Hutu più estremiste mentre massacravano i Tutsi. Sai chi fece le carte di identità che separavano la popolazione ruandese in Hutu e Tutsi prima della carneficina? Furono stampate a Parigi".

La base militare francese a Bangui doveva essere abbandonata nel 1996 dopo che fu incendiata dalla rabbia dei locali, stanche dei tiranni imposti dalla Francia. Oggi la base è ricoperta di vegetazione e i militari francesi si sono spostati in nuovi insediamenti a Birao. Gli aerei francesi che appoggiarono l’olocausto ruandese partirono da qui.

Il Presidente François Mitterrand iniziò la sua carriera appoggiando una forza genocida e la finì appoggiandone un’altra. Da giovane crebbe nei ranghi del regime di Vichi, con l’appoggio di Hitler, che abbandonò unendosi alla resistenza quando ormai era chiaro che i democratici avrebbero vinto. Divenne allora nominalmente un socialista e, infine, presidente. Il governo francese aveva a lungo visto i nazionalisti Hutu in Ruanda come i Loro Uomini, le persone che amichevolmente richiedono alla Francia accesso militare e industriale. Quando nel 1989 i rifugiati Tutsi spinti via decenni prima incominciarono a chiedere di poter tornare alle loro case, la Francia si infuriò. Mitterrand vide questo movimento per i diritti dei Tutsi come una creazione della CIA con lo scopo di colpire un regime pro-Francia e di sostituirlo con un amico dello Zio Sam. I suoi aiutanti gli dissero che non vi erano prove di un legame alla CIA – ma egli rifiutò di ascoltarli e annunciò che i Tutsi erano i "Khmer Neri" , una forza malefica antifrancese, e iniziò a costruire rapidamente le forze del Potere Hutu per combatterli.

In appena 4 anni, a partire dal 1990, la Francia fece crescere le forze militari nazionaliste Hutu da 10000 a 40000. Le forze moderate ruandesi cercarono disperatamente di arrivare ad un accordo tra i due lati, "e il governo francese deliberatamente distrusse qualsiasi tentativo di giungere ad un accordo di pace" dice Mounie. Allora ebbe inizio il fare a pezzi uomini, donne e bambini Tutsi. Mitterrand fornì più grandi finanziamenti agli Hutu, che essi usarono per comprare armi e munizioni. Poi pubblicamente derise chiunque parlava del genocidio perpetrato dagli Hutu.

Poi quando l’indignazione internazionale si fece così grande che Mitterand non poteva più ignorarla, la Francia annunciò che avrebbe inviato una forza militare per mettere fine alla carneficina. " Era l’ultima bugia della Francia e la più crudele" aggiunge Mounie. " Anche a questo punto il vero scopo di Mitterrand era di riconquistare Kigali e restaurare il potere Hutu. A Birao oggi, molti dei soldati che pattugliano la città sono veterani dell’’operazione di salvezza’". Sto sorseggiando tè dolce in una delle case fatiscenti di un pezzo grosso locale quando giunge un gruppo di soldati in pattugliamento. Sono lavoratori delle banlieue di Parigi e Lione che nel corso di un breve dialogo ammettono di essere stati in Ruanda – e sono ancora traumatizzati da ciò che Mitterand e i suoi uomini li ordinarono di fare.

"I bambini ci portavano le teste mozzate dei loro genitori e ci uirlavano chiedendo aiuto" dice uno di loro " ma i nostri ordini erano di non aiutarli".

Un anno dopo la fine dell’olocausto, Mitterrand disse ad un collaboratore: "Nessuno in Francia si preoccupa del genocidio". Questi turbati soldati, che siedono alla luce di un sole in tramonto, dimostrano che il vecchio cinico si sbagliava, almeno riquardo questo.

Madre, non colpirci - Bangui

Nel cuore insanguinato di Bangui, c’è una metafora di questa guerra. Su un lato della strada c’è il grande stadio che il governo francese costruì per Bokassa negli anni 70, perché si auto-incoronasse Imperatore dell’Africa Centrale e Signore di Tutto Ciò Che Vede. Sta cadendo ora, un pericoloso relitto. Dal lato opposto c’è uno nuovo stadio splendente con sedili tappezzati e gradini in marmo. E’ stato costruito dai cinesi. La Francia è solo una fetta di questo nuovo grande gioco, di questa lotta globale per le risorse dell’Africa. Ogni potenza mondiale rampante – USA, Gran Bretagna, Cina – sta depredando le restanti ricchezze dell’Africa, accantonando problemi quali democrazia e diritti umani. Ma perfino i dittatori cinesi si ricordano di lanciare in aria qualche spicciolo dei ricchi che essi hanno depredato a Bangui. I francesi hanno smesso da lungo tempo di farlo. Ora vengono solo con proiettili e bombe.

Mentre mi preparo a lasciare la CAR, mi viene detto da fonti francesi e africane che Parigi starebbe per mollare il presidente Bozize. Come una sfilza di dittatori dell’Africa Centrale prima di lui, egli si è stato trascinato al guinzaglio della Francia, immaginando di essere un governatore indipendente di un paese indipendente. Ha deciso di nazionalizzare alcune industri energetiche che operano nel paese, compreso le mega-multinazionali Total e ELF. " Se vuole che la Francia combatta i ribelli e lo tenga al potere, deve fare quello che gli dicono" dice la mia fonte. Bozize sta cercando di agire in modo preventivo, offrendo ai capi ribelli un posto nel suo governo. Mentre guidando passo davanti per l’ultima volta al suo palazzo presidenziale, mi chiedo se la paranoia che mi ha trattenuto dall’incontrarlo fosse così giustificata.

Ma quando finalmente l'aereo mi sospinge via da questo luogo, una voce della CAR – adirata e pazza – sembra seguirmi. Nella giungla intorno a Paoua, fui portato all’ingresso di un villaggio distrutto e abbandonato per incontrare Laurent Djim-Woei, il portavoce dei ribelli nel nord-ovest.

Un gruppo di giovani ci dette il benvenuto. Stavano trasportando lance con i loro berretti da sci e le loro cicatrici. Silenziosamente ci invitarono a seguirli attraverso villaggi inceneriti, una densa vegetazione e oltre. Alla fine raggiungemmo uno spazio disboscato. Laurent era vestito con una colorata divisa da combattimento. Aveva un grande sorriso, rovinato dalla mancanza di quasi tutti i denti. C’erano tre cellulari pendenti dal suo colo. Fece per noi un’ispezione delle sue forze brancaleone, ordinando di stare sull’attenti e urlando ordini con la voce rauca in Sango. Poi Laurent ci disse di sederci e si imbarcò in una delirante e poco comprensibile lettura.

C’eravamo solo noi in una giungla silenziosa, ma lui guardava oltre noi e parlava con voce profonda, come se si tesse esibendo in uno stadio pieno di sostenitori. La CAR ha bisogno di un " cane da guardia" che "abbai per la giustizia" e non di "quel genere di cane che ci guida e che abbiamo avuto nel passato". E’ la prima di una sfilza di metafore. Cerci di condurlo su argomenti specifici: Cosa è che vuole? Risponde usando solo nomi astratti – giustizia, pace – per poi dare momentaneamente risalto alle sue lamentele prima di ritornare alle metafore e alla incomprensibilità: "Bozize brucia i nostri villaggi. Una nazione non dovrebbe bruciare i propri villaggi. E’ come una madre con un figlio, una madre non brucia il figlio, se non è pazza". I suoi occhi danzavano nervosamente verso al giungla mentre parlava , come se stesse aspettando un raid.

"La Francia è la madre dell’Africa Centrale, e noi siamo i figli" dice raccogliendo la vecchia metafora razzista e facendola propria. "La Francia deve ora cambiare lato e appoggiare noi, non Bozize. La Francia rappresenta i nostri genitori, noi vogliamo che siano dei buoni genitori". Questo è un sentimento che salta fuori inaspettato di fronte alle macerie causate dall’intervento francese – un appello alla Francia perché improvvisamente diventi una madre amorevole, che agisca sul versante giusto, nonostante tutto ciò che si vede. La Francia e la CAR sono, questo mi colpisce alla fine, strette in un abbraccio malsano. La Francia brama le ricchezze offerte da questo pezzo di Africa, rigoglioso e affamato, e il popolo dell’Africa Centrale si strugge dal desiderio che un deus ex machina entri sulla scena e risolva le loro dispute interne con la violenza.

Guardando lontano, Laurent grida: "Noi diciamo alla Francia: 'Madre, noi siamo i tuoi figli, amaci come una madre dovrebbe. Non picchiarci".
Nella giungla, la sua voce riecheggia per miglia, finché muore, inascoltata.

Johann Hari
Fonte: news.independent.co.uk
Link: http://news.independent.co.uk/world/africa/article3030349.ece
5.10.07

Traduzione a cura di www.comedonchisciotte.org