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Italia, basta? Un paese paralizzato, stantio, morto, incapace di evolvere. Intervista a Della Luna

di Marco della Luna/Eduardo Zarelli - 27/11/2007

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Domenica 2 dicembre: la conferenza di Marco Della Luna (nella stessa giornata: Eugenio Benetazzo e Stefano Montanari).
Leggi l’intervista di Eduardo Zarelli a Marco Della Luna sul suo libro in uscita Basta Italia? (Arianna Editrice, 2008).


Il ritratto del Bel Paese dipinto da Marco Della Luna
Italia, basta?
Un paese paralizzato, stantio, morto, incapace di evolvere
Intervista a Marco Della Luna
Eduardo Zarelli

Mentre la classe politica italiana ci spreme con le tasse e spende il denaro per l’acquisizione del consenso, gli altri Paesi si avventano sull’Italia, che svende le sue ultime risorse al miglior offerente. Marco della Luna, sollecitato dalla domande di Eduardo Zarelli, affronta i temi della crisi del paese-Italia, dell’illegitimità dell’U.E., e della via della decrescita

Le Sue ultime riflessioni la portano a considerazione pessimistiche e radicali sulla stessa consistenza e legittimità del nostro Paese, alle quali dedica il suo saggio Basta Italia. La crisi dello Stato italiano è parte di una crisi epocale di tutte le sovranità politiche di fronte alla globalizzazione, o ha aspetti specifici che la caratterizano?
Lo Stato italiano è un assemblaggio, fatto con le guerre, di realtà culturali, economiche, antropologiche le quali, dopo 140 anni, non hanno legato, non hanno prodotto un organismo capace di vitalità, coordinazione, legalità, evoluzione. Di fatto, è un fallimento. Le differenze rinchiuse in esso non sono, non operano, come una ricchezza, ma come una malattia paralizzante. E questo è un aspetto specifico e distintivo rispetto a molti altri paesi, dalla Gran Bretagna alla Germania alla Francia alla Spagna al Giappone agli Stati Uniti, pure coinvolti nella crisi della trasformazione di vecchie strutture istituzionali. Quei paesi sono stati capaci di evolversi per adattarsi alle mutate condizioni. L’Italia no. Le sue istituzioni si difendono non evolvendo, ma incamerando più denaro con le tasse con cui comperano consenso, ma peggiorano la situazione del paese. Ovvio che altri paesi ne approfittino per prendersi pezzi d’Italia, di mercati italiani, di industrie strategiche italiane, di banche italiane…
Vi è un altro aspetto specifico da menzionare: parallelamente alla tendenza di diversi comuni veneti e lombardi a passare al Trentino Alto Adige e al Friuli Venezia Giulia per sottrarsi al saccheggio fiscale, molte realtà pubbliche e private del Nord-Est stanno lavorando per un distacco da Roma e per una aggregazione a un’area mitteleuropea.

Lei ricostruisce la fragilità del legame sociale italiano a partire dalla storia moderna e quindi della unificazione nazionale. Pensa forse a una fragilità antropologica della consapevolezza civica degli italiani, prima che politica e sociale?
Non parlerei di “consapevolezza civica”, ma di aspettative civiche, sociali. I vari popoli d’Italia hanno aspettative di un’amministrazione pubblica inefficace e gestita in modo ladresco; di cittadini che si arrangiano e cercano di fregare prima di essere fregati; di una classe politica criminale e predatoria, etc. Queste aspettative sono corrispondenti alla realtà, anche perché rendono la realtà conforme a sé stesse. Ossia, se tutti si aspettano che tutti facciano i furbi, tutti cercheranno di difendersi agendo furbescamente, in una guerra di tutti contro tutti. E a nessuno conviene smettere per primo. Ovviament e, questa mentalità, questo andazzo è più forte al Sud che al Nord. Ma sta peggiorando anche al Nord.
Nel complesso, abbiamo una società che non riesce a coordinarsi in organismi complessi e funzionali, altamente specializzati, capaci di pianificazioni di medio e lungo termine, come è necessario per la sopravvivenza di un sistema-paese nell’ambiente esterno della competizione globale. Non riesce, proprio a causa della diffusa sfiducia reciproca, della mentalità particolaristica, truffaldina, del mordi e fuggi: il necessario per la sopravvivenza dei singoli e dei gruppi nell’ambiente interno, nazionale, regolato dalla “legge del Menga”.



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Lei è uno dei maggiori conoscitori del signoraggio delle implicazioni finanziarie della sovranità statuale. Quali sono gli estremi economici del fallimento del sistema paese Italia?
Le risponderò con una citazione da Basta Italia: «L’Italia è un fallimento come capacità di innovarsi e ammodernarsi, nonostante ne abbia un bisogno estremo – è il più rigido tra i paesi occidentali.
È un fallimento come produttività: è ultimo tra i paesi occidentali.
È un fallimento come natalità: è ultimo tra i paesi occidentali.
È un fallimento come pubblica amministrazione: è ultimo fra i paesi occidentali come efficacia e primo per costi.
È un fallimento come capacità di attrarre investimenti: è ultimo fra i paesi occidentali.
È un fallimento come capacità di attirare e trattenere il risparmio: nel primo anno del Governo Prodi bis, 120 euromiliardi si so no rifugiati in Svizzera.
È un fallimento in fatto di sviluppo economico: il suo prodotto interno lordo, e ancora più il suo prodotto interno netto, marciano a tassi frazionali rispetto alle economie forti.
È un fallimento in fatto di finanza pubblica: infatti, l’indebitamento dello stato è enorme, continua a crescere, e nessun governo lo riduce, mentre esso inghiotte sempre più risorse per il pagamento degli interessi passivi.
È un fallimento in fatto di indipendenza – nel senso che ha sempre più padroni stranieri, non tanto a Washington, quanto a Francoforte, Londra, Parigi.
È un fallimento in quanto a capacità di ricerca scientifica e tecnologica – ultimo d’Europa, dopo la Grecia.
È un fallimento in fatto di pubblica istruzione: le scuole italiane sono le meno efficaci nel preparare al lavoro.
È un fallimento in quanto a debito pubblico e pressione fiscale – ovviamente – che salgono in parallelo, alimentandosi a vicenda, come qualcuno inizia a capire.
È un fallimento in fatto di integrazione economica, in quan! to aumen ta il divario tra regioni sviluppate e regioni non sviluppate, regioni che mantengono e regioni che sono mantenute.
È un fallimento in quanto a welfare, perché il trend consolidato assicura pensioni ridicole ai lavoratori che adesso stanno pagando pensioni sufficienti ai pensionati di oggi; e non assicura nulla ai giovani, se non di dover pagare per i vecchi.
È un fallimento in quanto alla giurisdizione, perché il sistema giudiziario italiano è inefficiente e corrotto, alimenta la criminalità e allontana gli investimenti stranieri, e viene costantemente condannato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
È un fallimento in quanto a infrastrutture, che sono state neglette, anche come manutenzione, per decenni.
È un fallimento in quanto a ordine pubblico, dato che un terzo circa del territorio resta in mano alla criminalità organizzata, e gli stessi partiti politici riproducono i modelli di potere e consenso della mafia.
È un fallimento in quanto a difesa idrog eologica, dato che non è in grado di eseguire una prevenzione che costerebbe una frazione di quanto costa rimediare ai disastri idrogeologici dopo che sono avvenuti.
È un fallimento in quanto a capacità decisionale, in quanto nessun governo riesce ad eseguire riforme strategiche e tutto si blocca.
È un fallimento complessivo e definitivo, in quanto tutte queste cose si sanno, ma a nessuna di esse si è rimediato o iniziato a rimediare, nemmeno con la “Seconda Repubblica”, nemmeno con l’”alternanza”».
Il quadro oggettivo è tale, che l’unica operazione razionale sarebbe quella di porre fine a questo mostro assemblato e agonizzante che è lo Stato italiano. È fallito, sta marcendo, non ha futuro. Prendiamo atto della realtà, e agiamo di conseguenza. Sciogliamolo e ridiamo vita autonoma alle sue parti, fintantoché sono ancora vitali.

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