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Il conteggio di coloro che stanno tornando in Iraq è manipolato per fini politici

di Damien Cave - 27/11/2007



BAGHDAD – A una fila di agenzie di viaggi, vicino all'autostrada per la Siria, l'ondata di migrazioni si è invertita: gli autobus e i GMC pieni di gente diretta a Damasco sono poco frequenti, mentre quelli che arrivano dal confine compaiono ogni giorno.

A detta di tutti, le famiglie irachene che erano fuggite dalle loro case negli ultimi due anni stanno ritornando a Baghdad.

Tuttavia, la descrizione dell'entità del ritorno sembra essere stata manipolata dalla politica. Quelli che ritornano sono diventati essenzialmente una misura dei progressi.

Soggetto a una intensa pressione perché mostri dei risultati, dopo mesi di impasse politica, il governo ha continuato a pubblicizzare cifre che esagerano il movimento di rientro in Iraq, e la fiducia degli iracheni nel fatto che l'attuale tregua nella violenza possa continuare.

Il 7 novembre, il generale Qassim al-Mussawi, il portavoce iracheno del tentativo americano-iracheno di pacificare Baghdad, aveva detto che 46.030 persone sono ritornate in Iraq dall'estero in ottobre a causa del “miglioramento della situazione della sicurezza”.

La settimana scorsa, il ministro iracheno per gli sfollati e le migrazioni, Abdul-Samad Rahman Sultan, ha annunciato che ogni giorno stanno tornando 1.600 iracheni, cifra che dà un totale mensile simile, o forse leggermente superiore.
 
Tuttavia, in alcune interviste, funzionari del ministero hanno ammesso che il conteggio comprende tutti gli iracheni che attraversano il confine, non solo quelli che ritornano. “Non gli abbiamo chiesto se fossero sfollati, né glielo ha chiesto il ministero degli Interni”, dice Sattar Nowruz, un portavoce del ministero per gli Sfollati e le migrazioni.

Di conseguenza, nel conteggio sono risultati compresi alcuni dipendenti iracheni del New York Times che erano stati a trovare parenti in Siria, ma non facevano parte dei quasi due milioni di iracheni che sono fuggiti dal Paese.

Le cifre apparentemente comprendevano anche tre persone sospettate di essere insorti, arrestate sabato nei pressi di Ba'aquba, nella provincia di Diyala. La polizia li aveva definiti residenti del posto che erano fuggiti temporaneamente in Siria, e poi tornati.

Alcuni parlamentari iracheni dicono che vengono utilizzate intenzionalmente cifre gonfiate.
 
“Stanno usando questo numero perché vogliono mostrare che Maliki sta avendo successo”, dice Salim Abdullah, un deputato che fa parte del maggiore blocco sunnita, noto come [Iraq] Accord Front, riferendosi al Primo Ministro Nuri Kamal al-Maliki. “Ma questo non rende esatto il numero. Penso che decine di iracheni stiano tornando a casa ogni giorno, ma non 1.600”.

Una mezza dozzina di proprietari di agenzie di viaggi irachene e di autisti che vanno regolarmente in Siria sono d'accordo sul fatto che i numeri travisano la realtà.

Dicono che il flusso di coloro che stanno tornando ha avuto un picco il mese scorso, con oltre 50 famiglie che arrivavano ogni giorno dalla Siria nel principale punto di raccolta a Baghdad. Dal 1 novembre, dicono, i numeri sono diminuiti, e domenica mattina, in un arco di tempo nel quale di solito comparivano parecchi autobus, ne è arrivato uno solo.

Gli agenti di viaggio dicono di ritenere che gli iracheni continueranno a tornare a Baghdad dalla Siria e dalla Giordania, ma che la corsa iniziale sembra essere finita.

Anche una indagine delle Nazioni Unite diffusa la settimana scorsa, su 110 famiglie irachene che hanno lasciato la Siria, sembra contestare le affermazioni dei funzionari in Iraq, secondo i quali la gente starebbe tornando principalmente perché si sente più sicura.

L'indagine ha scoperto che il 46 % se ne stavano andando perché non potevano permettersi di rimanere; il 25 % hanno detto di essere stati vittime di una politica siriana sui visti più rigorosa, e solo il 14 % ha detto che stava tornando perché aveva sentito parlare di un miglioramento della sicurezza.

A sottolineare una sensazione ampiamente diffusa di esitazione, molti di quelli che tornano in Iraq non ritornano alle loro case. Scendendo dall'autobus domenica, una donna che ha detto di chiamarsi Um Dima - madre di Dima - diceva che gli amici la stavano ancora avvertendo di non tornare nella sua casa di Dura, un quartiere violento nella zona sud di Baghdad. Quindi, per adesso, diceva, si trasferirà a vivere con i genitori nel sud dell'Iraq.

Raad al-Kihani, un importante leader tribale sciita di Baghdad, e sostenitore del Primo Ministro, dice che la maggior parte delle persone che ritornano sono ancora limitate dalla paura della violenza confessionale. “Non ci sono famiglie sciite che stanno tornando a vivere nei quartieri sunniti, né sunniti che stanno tornando a vivere nei quartieri sciiti”, dice.

Il governo iracheno sta usando incentivi e una campagna aggressiva di pubbliche relazioni per cercare di portare a casa un maggior numero di persone. I funzionari iracheni hanno intenzione  di pagare gli autobus perché trasportino gli iracheni dalla Siria. Di recente, importanti esponenti del governo sono stati a Saab al-Bor, una città in gran parte abbandonata nei pressi di Baghdad, per sottolineare che le famiglie dovrebbero sentirsi abbastanza sicure da tornare.

Il ministero per gli Sfollati offre 1 milione di dinari iracheni, circa 800 dollari, alle famiglie di sfollati che possano dimostrare di essere tornate a casa con una lettera della polizia e del loro consiglio di quartiere. Ma il movimento è stato limitato. Fino a tre giorni fa, 4.358 famiglie di sfollati interni, circa 25.000 persone, erano tornate alle loro case a Baghdad, dice il registro dei pagamenti del ministero a coloro che sono rientrati.

Inoltre, la gente sta ancora lasciando le proprie case. Secondo le ultime cifre delle Nazioni Unite, in ottobre gli sfollati interni erano 28.017. In tutto, dicono le stime dell'Onu, 2,4 milioni di iracheni sono ancora sfollati all'interno del Paese, con molti che occupano la casa di qualcun altro.

Non torneranno nei loro quartieri in maggior numero, dicono alcuni parlamentari e specialisti indipendenti di migrazioni iracheni, finché non sarà stato creato un quadro legale chiaro che li aiuti a riavere le loro case senza cacciare altre famiglie di sfollati.

“Le azioni sono lente, e ci sono così tante cose da fare", dice Ayaed al-Sammarai'e, un parlamentare che è uno dei leader del maggiore blocco sunnita. “La cosa principale che la gente vorrebbe è tornare nei propri luoghi, e sembra che per questo non esista un piano”.


Hanno collaborato alla raccolta di elementi Khalid al-Ansary, Ahmad Fadam, Abir Mohammed, e Alissa J. Rubin.
The New York Times, 26 novembre 2007

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)