Il decennio lungo del secolo breve
di Stenio Solinas - 27/11/2007
S
arà senz’altro bella la mostrasugli anni Settanta alla
Triennaledi Milano
, Il decenniolungo del secolo breve
è il suotitolo, ed è senz’altro vero,
come sostengono i suoi curatori,
che allora non ci fu solo
piombo, ideologico e metallico, né soli eskimi,
assemblee e cortei... Fu, ci viene detto,
anche e forse soprattutto un decennio artistico
e colorato, creativo, per usare un espressione
del tempo, postmoderno. Come negarlo?
E poi, perché negarlo? Ci sono i pittori
come Mario Schifano e Alighiero Boetti, il
tema del rapporto fra arte e corpo è indagato
attraverso il lavoro di un artista come Andres
Serrano, viene ricordata la grande stagione
del
design made in Italy, sull’onda dell’esposizionenewyorkese organizzata dal MoMa
nel 1972 e intitolata
The New DomesticLandscape
, che lanciò a livello internazionaleMario Bellini e Gaetano Pesce. E poi,
naturalmente, c’è Fiorucci e il fioruccismo, i
figli dei fiori e i videogiochi, il fumetto e il
teatro alternativo, la cucina macrobiotica...
Articolata su una superficie di più di duemila
metri quadri la mostra, curata da Gianni
Canova, si avvale del resto di una messa in
scena di Mario Bellini che presenta uno spazio
neutro, bianco, con nuvole sul soffitto.
Per contrasto, le stanze sono un’esplosione
di creatività, colori, suggestioni che spingono
il visitatore a un viaggio-percorso più
emozionale-personale che obbligato e/o cronologico.
E tuttavia, per evitare la noia dell’agiografia
e gli scogli della memorialistica di parte,
varrebbe la pena andare più a fondo su questo
aspetto, isolare magari un volto, una storia
in grado di riassumere al meglio, nel suo
bene e nel suo male, lo stile di un’epoca, la
sua fine e il suo trapasso. Ci abbiamo provato,
e non è colpa nostra se cercando le tinte
della creatività abbiamo trovato il sangue di
un delitto. Ecco di che si tratta.
Il 15 giugno 1983 Francesca Alinovi, allieva
di Renato Barilli, ricercatrice nel Dipartimento
delle Arti Visive dell’Università di
Bologna, collaboratrice di
Domus, Flash Art,Frigidaire
, venne trovata morta, assassinatacon 47 coltellate nella sua casa di via del
Riccio a Bologna. Fu accusato il fidanzato,
Francesco Ciancabilla, 21 anni, studente
pescarese del Dams, pittore enfatista. Due
anni dopo, al processo di primo grado, Francesco
verrà assolto per insufficienza di prove.
Condannato in appello, latitante per nove
anni e infine arrestato, la Cassazione confermerà
la sentenza derubricando però l’omicidio
da volontario a preternitenzionale. Dodici
anni di carcere, poi la semilibertà.
È, all’apparenza, una storia con tutti i
tòpoiclassici cari alla cultura, appunto, del cosiddetto
postmoderno: l’intellettuale dal linguaggio
oscuro, creatore di una nuova scuola
pittorica che colga le ansie e le violenze della
società postindustriale; il rapporto maestroallievo
disancorato dai suoi canoni classici e
trasformato in qualcosa di sadomasochistico,
dove la vittima è il carnefice e viceversa; il
trip della droga visto come mezzo per allargare
il reale già esistente; il mito americano
di un Bronx graffiti e violenza trapiantato in
una Bologna sempre più grassa e sempre
meno trasgressiva; l’amore come Thanatos,
maledetto per definizione e come tale vissuto.
Gli stessi protagonisti della vicenda sembrano
usciti, come
facies, da un copione d’epoca:Francesca, bella di quelle bellezze stralunate,
nervose, vistosa nel trucco oppure il
volto di biacca sotto una massa di capelli stile
punk; Francesco, biondo, cupo, malinconico,
tossicodipendente, introverso, a disagio
con quella modernità di cui la sua amanteamica-
madre sembra nutrirsi avidamente.
Nella realtà, e man mano che il processo si
snoda, questo copione va in frantumi. Francesco
è un povero ragazzo provinciale, di
buona famiglia, dalla incerta università, dall’incerta
arte, dall’incerta sessualità, geloso
del successo di lei, ma tuttavia incapace di
staccarsi da una tutela più artistico-emotiva
che sentimentale. Francesca è una matura
trentenne che sogna di percorrere il Bronx a
piedi nella notte, ma si chiude a doppia mandata
in casa quando è da sola perché ha paura;
conserva su di sè i cascami dell’
On theRoad
di Jack Kerouac (siglato anni Cinquantae letto, trent’anni dopo, viaggiando per la
Grecia, con l’entusiasmo di una bambina),
ma fa la spola Milano-New York in jet e
inaugura una mostra nell’opulenta e sonnacchiosa
Ginevra. Vuole un rapporto diverso
con il suo lui, Francesca, ma si lamenta del
fatto che questi si rifiuti al sesso; grida che
l’enfatismo è
«il morbillo dell’infanzia enfatica,il gonfiore tumefatto dell’enfasi di sé
che preme dentro i tessuti cellulari e soffia
per esplodere al di fuori»
, ma quest’ansiadistruttiva non va oltre il
vernissage allamoda e un po’ di «neve» anch’essa alla
moda.
La violenza eversiva del suo messaggio è tutta
qui, e l’arredamento del suo appartamentino
in via del Riccio è un classico di quello
stile
trompe l’oeil con i messaggi sui muri; ilbianco delle pareti da cui schizzano macchie
di colore; strani draghi dipinti sul soffitto: le
scritte in
slang sullo specchio del bagno(you’re non alone, any... way, tu non sarai
comunque sola); i dischi di David Bowie sul
piatto dello stereo (ne stava ascoltando uno
quando venne massacrata) tutto deja vu, tutto
in serie, così come in serie erano le case borghesi
degli anni Cinquanta, con l’abat-jour,
le poltrone ricoperte di
cinz, sommiers, lampadaria goccia...
La «rivoluzione» degli
indiani metropolitani,l’irrisione al sistema, il sogno di una gigantesca
risata che avrebbe dovuto seppellire ogni
cosa, il processo alla repressione, l’arte come
rottura, oltraggio, sfregio della e alla borghesia,
in una parola, la creatività colorata, anarchica,
post-moderna degli anni Settanta trovano
insomma la loro patetica - e però tragica
- conclusione in un maître-à penser da
cataloghi patinati e in un trasgressore che fa
il pendolare fra Pescara e Bologna. E in un’identica
situazione affondano e/o affogano gli
spettatori studenti del
Dams di quel processo,che è la campana a morto del mito di un’università
creativa, alternativa, libera, diversa,
luogo deputato della fantasia al potere... Pittori
che insegnano disegno negli istituti tecnici,
melomani che hanno trovato un impiego
in un negozio di dischi, attori che hanno
aperto una boutique dell’usato, registi che
dal superotto sono passati al filmino in famiglia
per il compleanno del primogenito,
mimi che hanno agguantato un posto di animatori
alle elementari.
Certo, fu un decennio colorato, artistico e
creativo, postmoderno per usare un’espressione
d’epoca. Come negarlo? E poi, perché
negarlo? Basta intendersi sullo stato dell’arte.