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La filosofia ambientale e le religioni occidentali

di Albino Fedeli - 27/12/2005

Fonte: Filosofia-Ambientale

 

Generalità

 

         Quasi tutte le culture umane che sono esistite sulla Terra avevano un proprio “mito della Creazione”.         Tale mito delle origini fa parte dell’inconscio collettivo di ogni cultura, e influisce profondamente sulla vita anche senza che i singoli individui se ne rendano conto: spesso l’individuo non può non avere atteggiamenti che conseguono da quel mito, perchè si è formato in quella cultura.

         I popoli che hanno adottato la tradizione giudaico-cristiana quale si è andata formando negli ultimi quindici secoli - cioè le radici dell’Occidente - e i popoli di religione islamica hanno un mito ben preciso: la Genesi dell’Antico Testamento. Da qui nasce l’atteggiamento di aggressione nei confronti della Natura, dovuto al fatto che l’uomo è considerato al di fuori e al di sopra del mondo naturale.

         Alcune culture-religioni di origine indiana (Buddhismo e Jainismo) non danno alcuna importanza al problema dell’origine; inoltre tali tradizioni orientali considerano tutti i viventi come esseri che partecipano alla nostra stessa avventura, soggetti come noi alla gioia e alla sofferenza.

         E’ quindi evidente che ogni modifica del sottofondo culturale-religioso della civiltà occidentale oggi dominante verso qualcosa di più vicino alle tradizioni indiane-buddhiste costituisce un miglioramento nei riguardi del problema ecologico. Ogni scoperta storica o archeologica che avvicini il pensiero di Cristo a quello del Buddha allontanandolo dalla tradizione giudaica contribuisce a questo processo.

 

Una interessante ricerca sulla vita di Cristo

 

         Negli anni Settanta e Ottanta uno studioso e teologo tedesco, Holger Kersten dell’Università di Friburgo, ha intrapreso un’interessante ricerca per ricostruire la vita di Cristo, cercando di non restare troppo influenzato dalla tradizione tramandata dalle istituzioni nel corso dei secoli: per questo ha trascorso lunghi periodi nei luoghi dove si era svolta la vita di Gesù. La ricerca di Kersten, esperto anche di lingue e letterature orientali, è condensata nel suo libro Jesus lived in India, pubblicato dalla casa editrice inglese Element.

 

   Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo sul contenuto del testo di Kersten. Per affermarne o confutarne l’aderenza alla realtà storica ed esaminare l’autenticità delle fonti citate, rimando alla lettura del libro. Le analogie di contenuto e di pensiero fra le predicazioni di Gesù e del Buddha sono comunque sorprendenti, per quanto è possibile ricostruire dalle fonti originarie, come citate anche nel testo.

   Inoltre non c’è alcun legame nè analogia fra la visione del mondo dell’Antico Testamento e l’insegnamento di Gesù. Tale collegamento, stabilito nei primi secoli della nostra éra dalle istituzioni allora nascenti, è la base di quel corpus di dottrine che è stato chiamato in seguito “il Cristianesimo” e che chiameremo invece “la tradizione giudaico-cristiana”.

   Dalle tesi esposte nel libro di Kersten sulla vita di Gesù, scaturisce una versione dei fatti credibile e che non richiede alcun atto di fede per avvenimenti al di fuori dell’ordine naturale. Poichè si tratta di eventi di duemila anni orsono, il fatto che la descrizione dell’Autore si accorda con quanto si può capire ancora oggi dell’insegnamento dei due Maestri riveste particolare importanza, perchè supplisce alla carenza di fonti storiche accertabili.

Se le cose si fossero svolte in modo più aderente all’autenticità iniziale, o se l’evoluzione culturale e di pensiero andasse in quella direzione nei prossimi secoli, si avrebbe un panorama culturale assai diverso per quanto riguarda le religioni originarie del Medio Oriente e della regione indiana.

   Trascurando l’induismo, che ha avuto meno riflessi sull’area mediterranea e sull’Europa, si avrebbe:

- un cristobuddhismo, non necessariamente teista, che non ha bisogno di un “mito delle origini” e non ha alcuna necessità di considerare “l’uomo al centro”: è basato sull’Amore per tutti gli esseri senzienti, quindi anche le entità naturali non umane, oltre che sulla tolleranza e l’accettazione di tutte le visioni;

- le religioni ebraica e mussulmana, filosoficamente fra loro simili, le cui caratteristiche principali sono: un Dio personale ed esterno al mondo, nessuna considerazione del non-umano, una concezione lineare del tempo, la salvezza o dannazione “eterne”. Il loro mito delle origini è la Genesi dell’Antico Testamento.

   Sono evidenti le differenze di concezione, di atteggiamento e di visione del mondo fra la prima e le altre due. Tutto questo non comporta giudizi di valore su alcuna tradizione religiosa passata o presente.

   Con il cristobuddhismo non si sarebbe mai potuta sviluppare una cultura come quella che oggi chiamiamo cultura occidentale e men che meno la sua espressione attuale, cioè la civiltà industriale, che ha causato l’aumento esponenziale della popolazione umana e l’aggressione alla Natura.

 

Il libro JESUS LIVED IN INDIA di Kersten

 

   Secondo l’Autore:

Gesù nacque in un villaggio della Palestina fra gli anni 7 e 4 a.C., come nel racconto tradizionale. I tre Magi erano monaci buddhisti venuti dall’Oriente in cerca di un “reincarnato” e arrivati a destinazione quando il bambino aveva circa due anni. Si trattava di una pratica molto comune per cercare le reincarnazioni dei monaci buddhisti di maggior rilievo ed è stata impiegata fino a pochi anni fa, come viene descritto da numerosi studiosi e viaggiatori esperti di Oriente: è riportata anche nel libro Sette anni nel Tibet dell’alpinista austriaco Heinrich Harrer per descrivere il ritrovamento dell’attuale Dalai Lama quando aveva circa due anni. I famosi “doni” dei Magi sono gli oggetti che sempre venivano portati per il riconoscimento della reincarnazione.

   E’ appena il caso di ricordare che la reincarnazione di tipo buddhista non è una “trasmigrazione delle anime” come nell’induismo: nel Buddhismo non esiste una vera anima individuale poichè non si può parlare di un ego permanente ed autonomo.

 

         Secondo Kersten, nel periodo in cui nacque Gesù molti Ebrei vivevano ad Alessandria, dove probabilmente erano presenti alcune scuole buddhiste, magari con nome diverso, stabilite nel periodo dell’Impero di Alessandro Magno, che comprendeva tutto il territorio fra l’Egitto e l’India del Nord. I collegamenti fra tali località erano rimasti anche dopo la fine dell’Impero di Alessandro. E’ quindi molto probabile che Gesù abbia frequentato da bambino una di queste scuole. Tutto questo spiega benissimo il noto episodio del “dialogo con i dottori nel Tempio”.

 

   All’età di circa 12 anni, Gesù partì con una carovana verso l’Oriente per raggiungere il Nord dell’India e le terre circostanti. Da un secolo o due era iniziata la diffusione di quella corrente del Buddhismo detta mahayana che poneva l’accento soprattutto sull’amore e la compassione verso tutti gli esseri senzienti.

   La figura più significativa di tale corrente del Buddhismo era quella del bodhisattva: un Illuminato, che, pur avendo raggiunto lo stato non-duale e non-egoico (nirvana), sceglieva di restare nel mondo (samsara) per amore di tutti gli esseri senzienti, cioè per dare il massimo aiuto a tutti i viventi per il raggiungimento dell’Illuminazione.

Tale figura si attaglia perfettamente alla persona e all’opera di Gesù.

   Nei vent’anni del suo soggiorno in India e terre circostanti, Gesù apprese in modo approfondito le dottrine buddhiste e si perfezionò nella pratica e nelle capacità meditative, dopo avere soggiornato presso diversi monasteri e centri di studio.

   E’ forse superfluo ricordare che anche nei Vangeli ufficiali, come in qualunque altro testo antico, non si fa menzione di alcun avvenimento che riguardi quei venti anni di vita di Gesù.

Anche nell’attuale tradizione giudaico-cristiana non si dice nulla di quei vent’anni.

 

All’età di circa trenta-trentacinque anni Gesù ritornò in Palestina per iniziarvi la diffusione delle idee buddhiste di amore, compassione, distacco dalle cose del mondo e non-egoità. La sua predicazione, come quella del Buddha storico, era tesa soprattutto ad abolire qualunque tipo di casta o di rango e qualsiasi tipo di ego individuale o collettivo, così come ogni dualismo, contrapposizione o contrasto. Doveva sparire qualunque sacrificio animale, non era necessaria alcuna istituzione, così come non c’era alcun bisogno di regole formali. Nelle predicazioni del Buddha e di Gesù non c’è alcun posto per privilegi, nè per popoli eletti, in contrasto con quanto preesisteva nella cultura ebraica e, per il Buddha, nella cultura brahminica. I concetti in contrapposizione come ragione-torto, amico-nemico, e simili, non hanno alcun significato. L’idea di lotta vi è assente. L’Amore universale, l’accettazione di ogni evento, l’inconsistenza di ogni ego individuale o collettivo, l’estinzione del desiderio sono al centro delle due predicazioni.

  Data la mentalità dei popoli mediterranei, si trattava di idee che ben difficilmente avrebbero potuto essere accettate, quindi il bodhisattva Gesù era pronto anche a sopportare qualunque genere di prova estrema. Affrontò la crocifissione, dalla quale riuscì a sopravvivere ponendosi in condizioni di morte apparente, tramite la somministrazione dell’”aceto” (ricavato da una miscela di erbe preparata a quello scopo) con l’aiuto di Giuseppe di Arimatea, di Nicodemo e del romano Longino, che erano seguaci delle sue dottrine. La ricostruzione degli avvenimenti effettuata da Kersten sulla base anche dei racconti dei Vangeli è quanto mai accurata e convincente. Anche secondo i Vangeli “ufficiali”, Gesù rimase sulla croce poche ore.

   L’Autore dedica anche un intero, interessantissimo capitolo alla Sacra Sindone di cui riconosce l’autenticità e di cui traccia la storia per duemila anni. Il tutto con particolari precisi e accurate citazioni della documentazione esaminata.

Dall’esame della Sindone si deduce che il lenzuolo ha avvolto un corpo vivo.

 

   Gesù venne poi rianimato e curato nelle ore successive alla deposizione dalla croce, nel sepolcro acquistato a quello scopo da Giuseppe di Arimatea.

   Dopo la Crocifissione, Gesù, con il nome prima di Issa e poi di Yuz Asaf, riprese la via dell’Oriente per raggiungere infine di nuovo il Nord dell’India e in particolare il Kashmir, dove morì in tarda età. La vicenda di Gesù in India, sotto il nome di Yuz Asaf, è accuratamente descritta nel Capitolo 9 (“Dopo la Crocifissione”) attraverso testi indiani dell’epoca e successivi. Nella parte iniziale del viaggio, durato a lungo per i numerosi soggiorni intermedi, Gesù incontrò Paolo nei pressi di Damasco, dando luogo alla famosa “conversione”.

 

   L’insegnamento di Gesù è quindi in sostanza il Buddhismo Mahayana, centrato sull’Amore universale, non solo per gli esseri umani, ma anche per gli altri esseri ed entità naturali, che partecipano tutti alla nostra stessa avventura.

   La successiva tradizione giudaico-cristiana, formatasi nei primi secoli della nostra éra e oggi nota come “la dottrina cristiana” è derivata soprattutto dalle idee di Paolo e dalle affermazioni dogmatiche delle istituzioni, venendo a costituire nei secoli quel corpus di dottrine e di dogmi che attualmente viene chiamato il cristianesimo, pur non contenendo quasi nulla dell’insegnamento originario di Cristo.

   Di discorsi attribuibili con certezza a Gesù ci sono solo il Discorso della Montagna e alcune parabole: si tratta proprio delle parti che più richiamano le parole del Buddha di cinquecento anni prima.

 

Paralleli fra Gesù e Buddha

 

Se togliamo i riferimenti alla precedente visione giudaica del mondo, di cui parleremo in seguito - e non sono neppure tanti - vediamo che i punti fondamentali delle predicazioni di Cristo e del Buddha sono molto simili.

Come accennato, sono infatti essenziali in entrambi gli insegnamenti:

- l’amore universale e la compassione verso tutti gli esseri senzienti;

- la necessità di superare ogni senso di egoità;

- l’estinzione del desiderio come condizione per ottenere la serenità mentale (distacco dalle cose del mondo);

- l’abolizione e l’inutilità di qualunque tipo di casta o di gerarchia.

   Ne consegue la scomparsa di ogni litigio, contrasto, dualismo: tale scomparsa caratterizza sia l’insegnamento del Buddha sia quello di Cristo.

   Vediamo qualche stralcio dal libro di Kersten (Capitolo 5):

   Il Dio delle tribù semitiche, se non si vogliono usare giri di parole, è una divinità vendicativa e assetata di sangue. Yahweh-Jehovah degli Ebrei tende ad essere raffigurato come un Signore che incute timore seduto su un trono al di sopra delle nuvole, intento a castigare violentemente il Popolo Eletto ogni volta che trasgredisce i suoi editti e le sue proibizioni.

   La filosofia che sta dietro al Sermone della Montagna, come riferito dal Vangelo di Matteo, è illuminata da un Dio completamente diverso. Il messaggio di Cristo è un messaggio di amore, un messaggio gioioso di perdono e riconciliazione: ama il prossimo tuo come te stesso; se qualcuno ti dà uno schiaffo su una guancia, porgi l’altra guancia. E’ difficile immaginare un contrasto maggiore con le attitudini rivelate nel Vecchio Testamento. Nessun’altra religione dell’area orientale del Mediterraneo invita a una Grazia di amore magnanimo come fa Gesù. Dove ha imparato Gesù i precetti che ha proclamato nel Sermone della Montagna?

…………

   Malgrado tutti i tentativi volti a nascondere le vere origini dell’insegnamento di Gesù, e malgrado che i Vangeli siano stati compressi più volte per ridurli ad una interpretazione rigidamente conformata, si possono citare più di cento passaggi del Nuovo Testamento che mettono in evidenza origini che si riconducono ad una tradizione molto più antica: il Buddhismo.

…………

   Nel tempo in cui Gesù viveva e predicava in Palestina, la scuola Mahayana del Buddhismo si era appena evoluta dalla scuola Hinayana, più chiusa in sè stessa. E’ stata la scuola Mahayana che ha fatto diventare il Buddhismo una religione universale, aperta ai credenti di ogni nazione e di ogni cultura. La filosofia Mahayana si focalizza sulla compassione verso tutti gli esseri, personificata nell’ideale del Bodhisattva, concezione che prese forma nel terzo secolo avanti Cristo. Il Bodhisattva è un Illuminato che rimanda la sua immersione nell’Essere Universale, che rinvia il suo ingresso nel nirvana, finchè non è riuscito a portare ogni essere alla salvezza. L’esistenza terrena di un Bodhisattva ha l’unico scopo di portare tutte le anime sul sentiero della liberazione (moksha), la via che costituisce la liberazione dal ciclo delle rinascite, dalle distrazioni del mondo e dalla fisicità.

   Tutte le qualità caratteristiche di un Bodhisattva si trovano nella persona di Gesù, fino al più piccolo dettaglio. Gesù stesso è la figura tipica del Bodhisattva ideale.

 

Distanza fra l’insegnamento di Gesù e l’Antico Testamento

 

   Nulla delle concezioni espresse nell’Antico Testamento, si ritrova nell’insegnamento di Gesù, se ci riferiamo ai concetti essenziali e non a dettagli aggiunti in seguito.

   Il principale oppositore all’idea che il Cristianesimo dovesse tirarsi dietro anche tutta la tradizione giudaica e riportarla nei suoi testi sacri fu Marcione, cristiano del secondo secolo, naturalmente poi bollato come “eretico” dalla nascente Chiesa ufficiale. Almeno per quel poco che è dato saperne attualmente.

   Come primo punto evidente, l’esistenza di un popolo privilegiato o di una etnìa particolare compare sempre nell’Antico Testamento ed è assente nel Vangelo. Anzi la predicazione di Gesù è continuamente basata sull’assenza di popoli privilegiati o preferiti.

   Anche la concezione teista della tradizione giudaico-cristiana, cioè l’idea dell’esistenza di un Dio personale ed esterno al mondo, è sostanzialmente contenuta e ribadita soprattutto nell’Antico Testamento, al di là di eventuali questioni di linguaggio.

   Scrive Simone Weil: “Non ho mai potuto comprendere come sia possibile ad uno spirito ragionevole di considerare lo Jehovah della Bibbia ed il Padre invocato dal Vangelo come un solo e medesimo essere”.

Da un articolo di Adriano Lanza pubblicato sulla Rivista Paramita n. 58:

 “...Nel corso delle vicissitudini attraversate dal cristianesimo dei primi secoli, finì col prevalere la tendenza ad accogliere l’eredità del Vecchio Testamento e del suo Dio. Prima di prevalere, questa tendenza dovette sostenere un’aspra lotta con la tendenza opposta, quella intesa a rifiutare la detta eredità. Di tale tendenza gnostici e marcioniti rappresentarono l’aspetto più radicale, ma studiosi recenti ritengono che essa fosse ben più diffusa di quanto non appaia se ci si limita a quei soli eretici conclamati.”

   Anche Aldous Huxley afferma che i cristiani primitivi commisero l’enorme errore di caricarsi del Vecchio Testamento”. 

   E ancora: “La lotta per il Vecchio Testamento fu d’importanza decisiva per l’assetto definitivo della nuova religione...solo gradualmente prevalse la tendenza di chi non voleva spezzare il cordone ombelicale che collegava il cristianesimo con la tradizione giudaica” (M. Simonetti, Ortodossia ed eresia tra il primo e il secondo secolo, Rubbettino, 1944).

   Anche Schopenhauer è dalla parte di Marcione quando denuncia l’unione forzata del Nuovo Testamento con il Vecchio. Infatti scrive che “l’Antico Testamento e il Nuovo sono diametralmente opposti l’uno all’altro e la loro unione forma uno strano centauro”.

   Nell’articolo “Wagner e il Buddhismo” di Guy Richard Welbon (pubblicato sul n. 60 della Rivista Paramita) si legge:

   Wagner “salva” il Cristianesimo dicendo che il suo attuale stato corrotto è dovuto alle influenze del giudaismo. E secondo lui il Cristianesimo si può ancora redimere perchè esso, in realtà, è Buddhismo. “La ricerca moderna è riuscita a dimostrare che il Cristianesimo puro e inalterato non fosse altro che un ramo di quel venerabile Buddhismo che, dai tempi della spedizione in India di Alessandro, si è diffuso sulle rive del Mediterraneo” (R. Wagner, My life, New York, 1911).

 

   Ma forse basterebbe una considerazione molto semplice, cioè che Gesù fu condannato a morte proprio per l’abissale distanza fra la Sua predicazione e le concezioni precedenti.

La diffusione del Suo insegnamento avrebbe causato la fine di quel mondo.

   Come esempio di episodi mai avvenuti e attribuiti artificialmente a Gesù, è evidente che affermazioni del tipo “Chi non è con me è contro di me” sono inconciliabili con l’essenza del Suo insegnamento.

   E’ abbastanza chiaro che anche l’episodio di Gesù che scaccia “con rabbia” i mercanti dal Tempio deve essere stato aggiunto qualche secolo dopo, per ribadire la necessità di combattere i “nemici” di qualche istituzione: nell’insegnamento originario non esistono nemici di alcun genere e non si deve “combattere” nessuno.

   Anche oggi la serenità mentale gode di ben scarsa considerazione in Occidente, che si muove sempre per forti contrasti, in tutti i campi, anche in quello religioso: questo non deriva certamente da Gesù.

   Qualche amenità dall’Antico Testamento (da un articolo di Giovanni Mariotti):

Nel Libro di Giosuè si legge di quando Giosuè chiese a Jahvè il tempo necessario per sterminare i nemici Amorrei sino all’ultimo uomo. “Il sole s’immobilizzò in mezzo al cielo e non si affrettò a nascondersi, per quasi un giorno intero. Non ci fu mai nè prima nè dopo un giorno come quello, quando Jahvè ascoltò la voce di un uomo, perchè Jahvè combatteva per Israele”. Come una pupilla dilatata, il sole continuava a osservare l’assiduo lavoro delle spade. Nulla sembra più patetico dei soldati Amorrei che morivano pensando: “Come si sono allungate le giornate!”. Solo quando la carneficina potè dirsi completa, l’astro del giorno si abbandonò soddisfatto alla pacata abitudine di tramontare.

           

   Nel Deuteronomio sono fissati i criteri a cui Israele si deve attenere nei confronti dei nemici vinti. Non si tratta di criteri uniformi: il comportamento sarà diverso, a seconda che le città espugnate si trovino al di fuori della Terra Promessa, oppure entro i suoi confini. Nei confronti delle prime, le regole che Israele deve seguire sono queste: “Dovrai passare a fil di spada ogni maschio adulto; le donne, invece, i bambini e il bestiame e tutto quello che vi è nella città, tutte le sue spoglie le riserverai per te come bottino. Godrai del bottino dei tuoi nemici che Jahvè, tuo Dio, ti avrà concesso. Così tratterai tutte le città distanti da te”.

 

  Non c’è da meravigliarsi del comportamento dell’Occidente per quindici secoli, quando considerava come “dettate da Dio” parole come quelle che si trovano nel Deuteronomio o nel Libro di Giosuè!   E sono soltanto esempi.

 Ma che cosa abbia a che fare tutto questo con l’insegnamento di Cristo è una domanda che ormai non ha più bisogno di commenti.

C’è solo da meravigliarsi che una religione che ancora oggi si chiama “Cristianesimo” abbia fra i suoi testi sacri pagine di simile contenuto.

   L’Antico Testamento è una specie di epopea di un popolo, più o meno come l’Iliade per i Greci, ma certamente non ha la più pallida somiglianza con la filosofia di Gesù. Si tratta di radici completamente diverse.

 

Modifiche delle attuali concezioni dell’Occidente

 

   E’ evidente che, se nei primi secoli della nostra éra la Parola di Cristo fosse stata riconosciuta come Buddhismo, la cultura occidentale sarebbe stata ben diversa, anzi non esisterebbe quello che oggi chiamiamo l’Occidente. Tutte le culture, le religioni e i popoli sarebbero stati accolti con accettazione e benevolenza.

   Secondo il Buddhismo, tutti gli esseri senzienti, anche se non sono singolarmente entità permanenti, sono però soggetti che provano la felicità o la sofferenza.

Non sono solo materia che appartiene a qualcuno o a qualche gruppo (umano).

   Anche l’esaltazione del “fare” o del “manipolare il mondo” che caratterizza la cosiddetta “civiltà moderna” non è conciliabile con le seguenti parole di Gesù, come sono riportate nel Vangelo di Matteo (Cap. VI): “Guardate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Tuttavia vi dico che neppure Salomone, in tutto il suo splendore, fu mai vestito come uno di loro”.

   Naturalmente il “manipolare” non è compatibile neppure con le parole del Buddha, in quanto questi “interventi” sono causa di sofferenza e quindi di accumulo di karma negativo. Allontanano dalla serenità mentale.

 

   E’ forse opportuno fare ancora qualche cenno alla questione del mito delle origini. Quasi tutte le culture umane si basano su un proprio mito che ne influenza gli atteggiamenti e il comportamento.

   Negli insegnamenti originari di Cristo e del Buddha non si trova nulla sul mito delle origini: si può dire che l’argomento non viene toccato. E’ noto - ad esempio - che il Buddha così rispose a chi gli poneva domande sull’origine del mondo:

Se ti trovi una freccia conficcata nel corpo, cerchi di togliertela e guarire, o ti poni prima domande del tipo: Chi l’avrà tirata? Perchè l’avrà tirata? Di che colore era l’arco che l’ha scoccata?”

   Inoltre il problema dell’origine non ha significato con una concezione ciclica del tempo, dove non c’è alcun punto di inizio.

 

   Vi sono altri condizionamenti portati alla cultura occidentale dal mito della Genesi: uno dei più evidenti è il ciclo settimanale con cui viene svolta ogni attività.

   Abbiamo già accennato alla natura particolare dell’uomo, unico essere degno di considerazione (“creato a immagine di Dio”); c’è poi l’idea dell’espansione (“crescete e moltiplicatevi”), l’esistenza di una cultura “vera”, che deriva dal concetto di popolo eletto. Per questo l’Occidente, autoproclamatosi la cultura vera, vuole imporsi a tutti gli altri per il loro bene! La tragedia ecologica e la distruzione delle culture umane attualmente in atto derivano da queste posizioni. Anche la tradizione mussulmana, nata seicento anni dopo, vive sul mito delle origini della Genesi e quindi ha in sè il valore dell’espansione, anche violenta, della sua “verità”.

   E’ interessante a questo punto chiedersi da dove derivi l’attuale tradizione che va sotto il nome di Cristianesimo, per tutta la parte non-giudaica della dottrina.

I primi documenti che riguardano Gesù sono gli scritti di Paolo, da cui viene tutta quella che oggi è definita “dottrina cristiana”.

 

Assai interessante è la parte finale del libro di Kersten (Capitolo 9):

Molti fedeli cristiani potrebbero obiettare che con gli argomenti che ho esposto in questo libro tolgo al Cristianesimo un elemento essenziale, che da solo può dare speranza e conforto: la redenzione dal peccato (che è la causa della sofferenza nel mondo), ottenuta tramite la morte sacrificale sostitutiva di Gesù Cristo, per tutti coloro che riconoscono il suo insegnamento. Ma è proprio questa forma della dottrina della salvezza del Cristianesimo tradizionale che è tratta quasi esclusivamente dall’opera di Paolo, e che non è mai stata predicata da Gesù. E’ Paolo che ha insegnato che l’intera funzione di Gesù è centrata sulla sua morte sacrificale, e che attraverso lo spargimento del suo sangue egli ha assolto i fedeli dai loro peccati e li ha liberati dalla confusione e dalla dominazione di Satana. In effetti, Paolo non ha ritrasmesso una sola sillaba degli insegnamenti diretti di Gesù nelle sue epistole, nè ha riportato una sola delle sue parabole. Invece, egli ha costruito una filosofia sua personale sulla base della sua comprensione (o del suo fraintendimento) dell’insegnamento di Gesù.

 

   Secondo Paolo una persona può essere salvata semplicemente dal solo atto del battesimo, che lo fa diventare un figlio di Dio e un essere completamente nuovo. Qualunque pretesa di cooperare alla salvezza con i propri sforzi personali deve essere visto, secondo questo insegnamento, come un deprezzamento del sacrificio di Gesù, come un tentativo di salvarsi da soli, che è destinato al fallimento. Al contrario, ciascuna persona, per quanto possa aver condotto una vita buona ed esemplare, deve in questo schema considerarsi perduta se non accetta che il sacrificio sulla Croce è stato fatto per lui personalmente come sua completa salvezza. Queste idee sono totalmente estranee a Gesù.

I Cristiani sono in gran parte dell’opinione che la grandezza e l’unicità del Cristianesimo consistano in questo insegnamento, o cadano con esso. Ma questa si rivela una pura immaginazione, ben lontana dalle idee di Gesù. Neppure un piccolo indizio di questa cosiddetta dottrina cristiana della salvezza si può trovare nel Sermone della Montagna - la quintessenza del messaggio di Gesù - o nella Preghiera del Signore (il Padre Nostro), oppure nelle parabole tradizionali predicate da Gesù!

 

Un mondo di entità senzienti

 

   Un mondo concepito come un complesso di entità senzienti, anche se continuamente variabili e senza confini precisi è compatibile con le visioni di fondo delle culture denominate più o meno come animiste, vernacolari, tradizionali, o, con linguaggio tipico dell’Occidente, primitive. Molti antropologi concordano sull’idea che le metafisiche di queste culture sono estremamente complesse, al punto che non sono sufficienti vent’anni di studi sul posto per afferrarne tutte le sfaccettature e le implicazioni. Non si capisce quindi che significato abbia l’aggettivo primitive, se non il fatto che non pongono la tecnologia e il desiderio dei beni materiali al vertice della loro scala di valori.

   Dopo quindici secoli in cui viene messo “l’uomo al centro” considerando il resto del mondo al suo servizio o “fatto per lui”, in cui la competizione e la lotta sono considerati “fattori di progresso”, abbiamo un pianeta degradato, cinquanta milioni di bambini all’anno che muoiono di fame, la diversità biologica in grave pericolo, le estinzioni di massa in corso. L’attuale mostruosa densità umana causa problemi in tutto il mondo. I segni del disagio psichico e della sofferenza (malattie e suicidi), oltre che gli indici della criminalità, sono in aumento inarrestabile, malgrado l’incremento senza fine dei beni materiali.

   Inoltre la varietà e la diversità culturale si spengono giorno per giorno. La civiltà industriale non ha alcuna tolleranza verso le altre culture umane, che non pongano la tecnologia ed i consumi al centro della loro scala di valori. Devono imparare a vivere “meglio”, cioè a diventare grandi consumatori. Al massimo qualcuno si preoccupa degli altri umani (e individui), ma la compassione verso tutti gli esseri senzienti è quasi nulla. E le caratteristiche della civiltà industriale vengono fatte passare per esigenze naturali dell’umanità!

   E’ evidente la suprema accettazione e tolleranza verso tutte le visioni che sarebbe caratteristica del Cristobuddhismo; nulla di simile è reperibile nell’attuale civiltà occidentale, tranne che in piccolissime “isole”.

   Ad un mondo di entità senzienti, che non differisce troppo da quello rappresentato dalle civiltà tradizionali, si poteva aggiungere la predicazione del Cristobuddhismo senza alcuna forzatura, o imposizione. L’insegnamento di amore e non-attaccamento poteva sovrapporsi anche nel corso dei secoli alle precedenti culture panteiste-animiste, come ampliamento e superamento, senza i traumi di conversioni forzate.

Invece, dopo l’avvento delle tradizioni giudaico-cristiana e mussulmana, dalle terre europee e medio-orientali sono partite forze, spesso di natura bellicosa e violenta, che hanno sostituito le precedenti tradizioni, che avrebbero potuto modificarsi dolcemente con l’immissione del Buddhismo attraverso la predicazione di Gesù.

   L’affermazione dell’idea di un Dio personale ed esterno al mondo che agisce su di esso e della centralità dell’uomo (considerato diverso e staccato dalla Natura) ci hanno portato alla drammatica situazione di oggi. Anche l’idea che esista una cultura vera, cioè un modo di vivere “ottimale” ha provocato e continua a provocare disastri planetari. Ci siamo dimenticati che noi siamo Natura!

   La cultura buddhista parla spesso di esseri senzienti, mentre la classica distinzione occidentale è fra viventi e non-viventi, con riferimento a individui singoli di ogni specie, secondo una classificazione in atto da qualche secolo, cioè con riferimento alla biologia materialista, che vede e riconosce solo individui.

   A prima vista, e secondo un metro di tipo occidentale, il termine senziente è più restrittivo di vivente, limitando il campo a individui di specie animali “superiori” o dotati di caratteristiche particolari, cioè del sistema nervoso centrale.

   In realtà, con un concetto di mente più esteso, come quello dello scienziato-filosofo inglese Gregory Bateson o quelli di derivazione orientale, il complesso degli esseri senzienti è più vasto di quello degli esseri viventi, con riguardo anche al significato probabilmente diverso delle parole essere o entità, che non coincide con individuo. Già oggi non riesce troppo facile dare definizioni nè confini precisi a ciò che si intende per individuo. Del resto il concetto di mente non coincide nè con l’idea di coscienza nè di volontà, come è noto è anche in Occidente dopo l’introduzione della psicoanalisi.

   Può intendersi come senziente, oltre che un individuo, anche un ecosistema, un gruppo, una specie, ecc.: comunque i confini non sono mai definiti e non hanno bisogno di esserlo.

   Dopo un secolo di psicoanalisi, non desta più alcuno stupore il concetto di mente anche non cosciente: non dobbiamo quindi esitare a pensare ad una mente (anima) associata a qualunque entità anche se non vi sono implicati quelli che comunemente vengono chiamati esseri viventi. Non c’è più alcun ostacolo all’animismo, che era la forma di metafisica più diffusa nell’umanità.

   La mente associata al Tutto, alla totalità delle relazioni universali, cioè la Mente Universale, senza voler introdurre con questo alcuna distinzione fra mente e materia, è quello che le religioni teiste chiamano Dio.

   La civiltà industriale è fortemente basata sulla competizione, che considera come una specie di molla del progresso: ogni attività viene vista in termini di sfida, vittoria, sconfitta, graduatoria, e così via. Si parla di lotta in continuazione, anche quando si vuole diffondere l’idea di pace (!). Si vuol far credere che il massimo da raggiungere sia il successo. Ma di che cosa?

 E’ impossibile avere la pace e la serenità mentale in un mondo esclusivamente egoico, individuale o collettivo, cioè concepito come tante entità separate in competizione.

   Ricordiamo che sono esistite circa cento culture umane che non hanno mai fatto guerre, nè concepito alcuna forma di lotta e di guerra. Anche se cento sono poche, rispetto alle cinquemila culture esistite sulla Terra fino a pochi secoli fa, sono più che sufficienti per dedurre che la violenza e la guerra non sono inesorabilmente proprie della natura umana: sono una conseguenza delle premesse culturali in cui nascono.

Con le culture giudaico-cristiana, ebraica e mussulmana non possono essere evitate.

   Con il Cristobuddhismo la competizione e la guerra non hanno alcun significato, non trovano alcuna collocazione, poichè la risposta è sempre la benevolenza e la compassione.

   La scala di valori dominante nella civiltà industriale pone al primo posto l’incremento indefinito dei beni materiali, che viene chiamato sviluppo economico, e che corrisponderebbe - così viene detto - al vantaggio complessivo “dell’umanità”. Nella migliore delle ipotesi viene messo al secondo posto il “benessere dell’uomo”, anche in contrasto con qualunque considerazione che riguardi gli altri esseri viventi o i complessi naturali di viventi e non-viventi. Tutto questo è partito dalla concezione aprioristica che il fenomeno sviluppo sia possibile a tempo indefinito e che l’uomo sia un essere del tutto particolare e staccato dalla natura,“l’unico dotato di anima”, secondo le istituzioni religiose che derivano dalla tradizione ebraico-cristiana.

   Se si ponesse al primo posto la condizione dinamica ma stazionaria di tutta la Natura - che sarebbe molto più aderente alle conoscenze odierne - ne risulterebbe un modello culturale completamente diverso, che potrebbe persistere senza particolari limiti di tempo.