Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il caso di Marco Ahmetovic “testimonial”. Qualche riflessione

Il caso di Marco Ahmetovic “testimonial”. Qualche riflessione

di Carlo Gambescia - 29/11/2007

 

Non sappiamo se Marco Ahmetovic, che ubriaco alla guida di un’ automobile uccise quattro suoi coetanei, riuscirà a diventare testimonial pubblicitario di una linea di abbigliamento, ma solo il fatto che una società discuta della possibilità che possa o meno diventarlo, indica una regressione verso l’animalità. Sono parole dure, di cui dobbiamo dare conto ai lettori. Ma procediamo per gradi.
In primo luogo, va spiegato, seppure molto rapidamente, come le società “funzionano” sotto il profilo dell’obbedienza alle regole morali.
La morale indica dei limiti tra socialità e animalità (sui quali torneremo più avanti). Ora, gli “strumenti” dell’obbedienza sociale sono due: l’ autodisciplina, come esito di una maturazione individuale (“Faccio questo perché ritengo giusto vi siano dei limiti morali a determinati comportamenti”); la disciplina imposta dall' esterno, come frutto della pressione sociale (“Non superare certi limiti perché verrai escluso o punito”).
L’autodisciplina in genere riguarda piccoli gruppi di persone, dall’educazione e istruzione particolarmente elevate. Elite che si impongono per libera scelta di ubbidire a certe regole morali.
La disciplina invece concerne i grandi gruppi sociali, privi di un’educazione e un’istruzione particolarmente elevate. Ai quali viene imposto di ubbidire a certe regole morali, attraverso il timore di essere rifiutati socialmente o puniti moralmente in vari modi.
In genere le società si reggono su una specie di “impasto” tra le due forme di obbedienza sociale.
I grandi riformatori credono nella possibilità di poter estendere a tutta la società il criterio dell’autodisciplina, attraverso l’educazione critica. Mentre i grandi reazionari, ritengono che la società debba essere mantenuta nella paura e nell’ignoranza. Anche qui però la verità è nel mezzo: le società si reggono sull’ elitario esercizio della ragione individuale da un lato, e sulla pressione dell'esclusione sociale dall'altro. E sarà sempre difficile far pendere l’ago della bilancia verso uno dei due “piatti”.
Tuttavia quando una società si interroga - attenzione, basta che si interroghi - sull’ ammissibilità che chi si sia macchiato di un delitto odioso possa rappresentare o meno un esempio positivo per gli altri, significa che le due forme di obbedienza sociale (autodisciplina e disciplina) non hanno più alcun senso e valore socioculturale per le èlite, e di riflesso, per emulazione, anche per il resto della società. Che, come avviene oggi in quella italiana, pare proprio seguire, nel suo insieme e con immeritata attenzione, il “dibattito Ahmetovic"...
Per farla breve: il solo fatto che si possa pensare ad Ahmetovic come testimonial pubblicitario indica che la nostra società non solo non ha più alcuna bussola morale, ma difetta degli stessi meccanismi autodisciplinari e disciplinari di cui sopra. I quali permettono la generazione, la diffusione e l’applicazione sociale di saldi limiti morali da non varcare mai, come quello del rispetto per l’altrui dolore. Se infatti si arriva al punto di ignorare l’ingiusta sofferenza dell’Altro, significa che una società ha perduto quel senso del compatire (da latino cum pati, “patire insieme” o “patire con” ) che è all’origine stessa della socialità umana, come liberazione dallo stato ferino, attraverso la ragionata condivisione di un sentimento collettivo (che unisce tutti…).
Pertanto chiunque accetti di discutere sull'ammissibilità o meno di un fatto del genere mostra di non essere capace di soffrire con i propri simili. Visto che il solo il parlarne rischia di offendere e ferire le famiglie delle vittime, accentuandone il dolore.
E in questo senso chiunque accetti di discuterne si pone in una posizione presociale, ai confini dell’animalità, priva di quella che Gadda chiamava, in modo letterario ma efficace, la “cognizione del dolore”. Ovviamente, se verrà consentito ad Ahmetovic di trasformarsi in testimonial pubblicitario, quel confine verrà varcato. E tornare indietro sarà sempre più difficile.