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Dobbiamo reimparare a indignarci davanti ai seminatori di scandali

di Francesco Lamendola - 30/11/2007

 

Viviamo in tempi strani.

Dare scandalo, oggi, è divenuto motivo di vanto: ci si vanta della propria iniquità, ci si pavoneggia del cattivo esempio che si dà al prossimo.

La società applaude.

L'immigrato slavo che, ubriaco, ha falciato con il suo autoveicolo le vite di quattro ragazzi, viene trasformato dai media in un piccolo, squallido divo - e sia pure un divo negativo: ma sempre un divo. Quotato - per intenderci - 3.000 euro a serata per intervenire, come ospite d'onore, nelle discoteche.

Nelle scuole vi sono insegnanti che, invece di fare il loro dovere, cioè insegnare, straparlano delle loro questioni personali con gli alunni, tollerano e incoraggiano l'indisciplina,  e la fannulloneria, fanno i buffoni, ridono, sghignazzano, esibiscono la biancheria intima, chiedono pareri e consigli suoi loro affari di cuore.

Ecco, questo è dare scandalo: trasmettere il cattivo esempio.

Certo, esiste anche uno scandalo positivo: quando si vuole scuotere l'ipocrisia e la falsità di una cultura inautentica, di una società tartufesca e perbenista; quando si vuol fustigare il moralismo d'accatto dei censori dell'etica che però, in privato, razzolano molto, molto male.

Ma non è questo lo scandalo, sacrosanto, che oggi va di moda, per il semplice fatto che richiede coraggio e un minimo di spina dorsale.

No, lo scandalo che oggi piace agli smidollati mâiters-a-penser della post-modernità non richiede un briciolo di coraggio, ma solo una enorme dose di narcisismo e di sfacciataggine.

Che cos'è allora uno scandalo?

La definizione del vocabolario non ci ha convinti. Si parla di ciò che offende la morale, il pudore, la decenza: tutto insieme. "Non questa musica, amici" (diceva Romain Rolland): il pudore e la decenza non sono che aspetti della morale; e lo scandalo non si misura soltanto in centimetri di pelle nuda scoperta.

Gli intellettuali à la page sanno benissimo che nessuno, oggi, confonde la morale con il pudore, ma fanno finta che sia così per poter continuare a recitare la parte di fautori del progresso e della libertà, dando uno scandalo altamente pedagogico alle oscure forze della reazione. Si scelgono un bersaglio polemico inesistente per poter sguazzare nel fango, ma in veste di paladini della giusta causa: un vecchio trucco da quattro soldi.

Sono soltanto dei buffoni.

Dare scandalo è una cosa grave: significa diffondere il bacillo di una malattia contagiosa come se, invece,  fosse un dono utile e disinteressato.

Preferiamo la definizione che ne danno - o che ne davano, fino a qualche tempo fa - i teologi (/anche loro, oggi, sembrano diventati un po' timidi al riguardo).

Leggiamo nel testo di un ex arcivescovo (Giuseppe Zaffonato, Catechesi festiva. La legge, Alba, Edizioni Paoline, 1957, p. 245):

 

"La tremenda risposta di Caino alla domanda di Dio: «Sono forse io il custode di mio fratello?», non può trovar posto sulle nostre labbra. Noi dobbiamo sentirci ed essere 'guardiani dei nostri fratelli', e dimostrarci tali in ogni momento è il dovere più importante e più sublime impostoci dalla carità che sgorga dallo spirito del divino Maestro.

"Alla luce di questa verità potete misurare l'immenso male che è e che fa lo scandalo. (…)

"Lo scandalo è dare al prossimo con qualunque detto o atto cattivo occasione di peccare. (…)

"Ogni volta quindi che si dà agli altri occasione di peccato si è colpevoli di scanalo, chiunque sia lo scandalizzato: piccolo o grande, innocente o smaliziato; di qualunque genere sia il peccato: non soltanto i peccati contro il sesto comandamento, ma anche quelli contro qualunque altro comandamento o precetto. Non bisogna però dimenticare che lo scandalo di disonestà è più contagioso d'ogni altro per la nostra cattiva inclinazione. Lo scandalo è diabolico  quando c'è il gusto satanico di pervertire le anime e di far dispetto a Dio. È il mestiere del diavolo. (…)

"Lo scandalo è particolarmente riprovevole quando si serve della sua superiorità sociale ed economica o della sua forza morale e fisica per indurre altri al peccato: nel caso, ad esempio, di genitori sui figli, di educatori sugli alunni, di padroni sugli operai, di mariti sulle mogli, ecc. Il più colpevole, evidentemente, è colui che tenta e spinge al male…"

 

A qualcuno non piace la parola "peccato"? Benissimo; sostituiamola con un'altra, ad esempio con la parola "male". Seminatore di scandalo è colui che tenta e spinge gli altri a commettere il male. Credenti e non credenti, non dovrebbero esserci discussioni al riguardo: dare scandalo è la cosa più grave che si possa fare al prossimo, almeno dal punto di vista morale.

Oggi noi assistiamo allo spettacolo sconcertante di una moda dello scandalo, che contamina tutti gli individui, a tutte le età, in tutte le situazioni possibili e immaginabili, dai luoghi di lavoro agli spazi dello svago e del tempo libero.

"Tentare" il prossimo è divenuta una moda, anzi uno sport; vi sono persone che in esso ripongono il massimo della propria soddisfazione esistenziale.

Vi è anche, ricordiamolo, lo scandalo di omissione: non pagare le tasse e vantarsene con i familiari e gli amici è dare scandalo. Assistere a un'ingiustizia e non opporvisi, in presenza di altri e specialmente di bambini, è un altro modo di dare scandalo.

 

Potremmo chiederci da quando la società ha promosso la categoria dello scandalo da negativa a positiva; quando, esattamente, ha scoperto che scandalizzare il prossimo è una bella cosa.

Per noi, vi sono pochi dubbi che ciò abbia coinciso con la rinuncia, da parte della società - a cominciare dalla famiglia - a svolgere una funzione educante. Dal momento in cui la società ha abdicato a questa sua funzione fondamentale, è iniziata una trasmutazione di tutti i valori. Nietzsche potrebbe essere contento: oggi chi più loda il male come bene e chi più impreca contro il bene come se fosse un male, più trova un seguito di servi e di corrotti pronti ad applaudirlo, a offrirgli posti di visibilità e di responsabilità.

Si potrebbe obiettare - e si obietta - che bisognerebbe vedere che cosa s'intende per "bene" e per "male".

Ebbene, non intendiamo lasciarci attrarre sul terreno infido dei sofisti dell'etica, col rischio di perdere di vista l'essenziale. Perciò diciamo, semplicemente, che male è tutto ciò che sminuisce la dignità e la libertà morale della persona, intendendo per persona non un corpo assetato di piaceri o un ego assetato di riconoscimenti, ma una creatura spirituale, che si realizza nella misura in cui riesce a valorizzare la sua parte generosa, disinteressata, altruistica e benevola e che aspira a un incessante perfezionamento, perché avverte l'insufficienza della sua dimensione transitoria e temporale.

Perciò, ai sofisti che sostenessero che anche parlare di biancheria intima ai propri alunni, invece di spiegare la matematica e il latino, significa svolgere una funzione educativa, rispondiamo che proprio il rispetto dovuto a dei giovani, la cui personalità è ancora in formazione, esige che ci si rapporti con loro con la massima delicatezza, che si dia il buon esempio nello svolgimento scrupoloso del proprio dovere e che ci si astenga da tutto ciò che può essere di scandalo, ossia di cattivo esempio.

E ci viene in mente la mamma.

Giovane di vent'anni, inesperta e già con una famiglia cui pensare, si trovò catapultata a fare la maestra in una località di montagna dimenticata da Dio e dagli uomini. Località, non paese: due case in tutto, e una strada in terra battuta di tre chilometri e mezzo per arrivare al paese più vicino. Da fare a piedi, estate e inverno: d'inverno, con un freddo polare e con la neve alta. Incinta, una volta scivolò sulla neve, con la sua borsa dei libri, e rischiò di perdere il bambino.

La scuola, che poi era la casa della bidella, constava di due stanze in tutto. Niente luce elettrica, niente servizi igienici, niente termosifoni. Un'unica pluriclasse cui far lezione, formata di bambini che venivano al mattino pallidi e un po' affamati, e coi quali lei divideva il poco cibo che si era portato da casa. Bambini che, a loro volta, facevano molti chilometri a piedi e sedevano sui banchi, intirizziti, dalle otto del mattino fino alla sera. Barbiana, in confronto - la Barbiana di don Lorenzoi Milani - era quasi una metropoli: c'erano perfino il prete e la chiesa. Lassù, invece, non c'era niente di niente: solo freddo e solitudine.

Eppure la mamma, quei bambini, li ha amati e ne ha avuto cura come se fossero stati figli suoi - lei così giovane, così totalmente priva di esperienza del mondo. Ha insegnato loro non solo a leggere, scrivere e far di conto (e scusate se è poco: sappiamo bene che, oggi, molti maestri non perdono più tempo con simili quisquilie; loro fanno ricerche sociologiche e altre attività ben più serie e importanti). Ha trasmesso loro affetto e valori: tanto che un genitore, una volta, parlando di lei con qualcun altro, a distanza di anni e anni, ripeteva con infinita gratitudine questa frase: "Benedete che femine, dulà ch'è ié" (che, tradotta dal friulano, significa "benedetta quella donna, dovunque sia ora").

Perché ci vengono in mente queste cose?

Ci vengono in mente davanti alla sfrontatezza, all'impudicizia con le quali, oggi, cattivi maestri e pessimi educatori - e non solo dai banchi di scuola - danno continuamente scandalo a coloro che li ascoltano.

Passatismo? Nostalgia di un altro tempo, di un'altra società? Utopia reazionaria, che si chiude alla comprensione del presente e al dialogo con la realtà odierna?

Forse.

Tuttavia - sarà passatismo, sarà quel che si vuole - non crediamo che sarebbe male se la società recuperasse un po' di quell'idealismo, di quello spirito di abnegazione, di quel senso del dovere che caratterizzava la vita dei nostri genitori e dei nostri nonni.

La società del tutto e subito sta dando cattivi risultati: non funziona, non può funzionare. Non possono essere i carabinieri a far rispettare alle persone l'adempimento del proprio dovere. Al contrario, deve esserlo l'intima convinzione che è giusto sforzarsi di essere onesti, laboriosi e benevoli: per sé stessi e per gli altri.

Dovremmo riscoprire la capacità di indignarci davanti ai seminatori di scandali che si atteggiano a istrioni da palcoscenico. Dovremmo fischiare le loro squallide esibizioni, prenderli a pomodori marci, obbligarli a nascondersi per la vergogna.

Anche per il loro bene.

Una persona che ha smarrito il senso della vergogna quando agisce male, è un'anima perduta. E il mondo, oggi, è pieno di anime perdute; che, in quanto perdute, diabolicamente desiderano perderne altre, quante più sia loro possibile.

E che dire, poi, dei seminatori di scandali della politica e delle pubbliche amministrazioni? Essi sono i più osceni di tutti. Si riempiono la bocca di paroloni, si atteggiano a salvatori della patria, ma sono solo dei faziosissimi cialtroni, avidi di denaro e di potere.

Dovremmo seppellirli sotto montagne di disprezzo, ricacciarli nelle tane dalle quali sono sbucati, pieni di arroganza e di furberia da quattro soldi.

Le parole più dure che un certo Gesù Cristo abbia mai adoperato, e di cui i Vangeli rechino memoria, sono proprio quelle rivolte ai seminatori di scandali. Talmente dure che si stenta quasi a credere che siano uscite proprio dalla sua bocca, dalla bocca di un Maestro così pieno di amore e compassione per gli esseri umani.

Eccole:

 

"Ma se qualcuno farà perdere la fede a una di queste persone semplici che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli legassero al collo una pietra da mulino e lo buttassero in fondo al mare.

"si. È triste che nel mondo ci sia gente che spinge gli altri al male. Ce ne saranno sempre, ma guai a quelli che spingono gli altri al male!

"se la tua mano e il tuo piede ti fanno compiere il male, tagliali e gettali via; è meglio per te entrare nella vera vita senza una mano o senza un piede, piuttosto che essere buttati all'inferno, nel fuoco senza fine, con due mani e due piedi.

"Se il tuo occhio ti fa compiere il male, strappalo e gettalo via: è meglio per te entrare nella vera vita con un occhio solo, piuttosto che essere gettato nel fuoco dell'inferno con tutti e due gli occhi.."

(Matteo, 18, 6-9).

 

E non occorre essere cristiani o religiosi per meditare bene a fondo su queste parole, perché il loro significato va oltre l'appartenenza a questa o quella confessione.

Basta essere uomini.

E non aver del tutto smarrito il senso di ciò che è onesto, buono e giusto. Come pare sia accaduto a tanti, troppi sofisti e cattivi maestri dei nostri giorni.