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Bolivia al crocevia

di Carlos A. Pereyra Mele* - 30/11/2007



È un brandello di carta che vale tanto quanto un pezzo di carta igienica usata; così ha definito Jorge Tuto Quiroga, uno dei caporioni all’opposizione del governo di Morales, l’approvazione della costituzione, nel frattempo “studenti” e gruppi di “civili” affrontavano nella regione Sucre le forze dell’ordine con bombe molotov, armi, dinamite e pietre. Bilancio: morti, feriti, intensificazione delle tendenze separatiste, crisi politica, ecc.

È grave, ma molto grave quello che sta accadendo nella nostra frontiera al confine settentrionale con la Repubblica boliviana; si sono già messi in moto tutti gli elementi della destabilizzazione.

Nessuno riteneva che la nazionalizzazione dell’industria petrolifera e del gas avrebbe portato a queste tragiche conseguenze che adesso si stanno riflettendo nella cruda realtà dei morti e degli scontri “civili” da parte degli oppositori al governo etnico di Evo Morales.

Da anni stiamo analizzando nel Centro de Estudios Estratégicos Suramericanos (CeeS) la realtà sudamericana e il suo sviluppo in una regione che potrebbe diventare un nuovo polo di attrazione economico mondiale come lo sono gli Spazi Continentali Economici Auto centrati che si stanno sviluppando nel mondo, ad esempio, il caso eurasiatico (Russia-Cina-India), e riteniamo che la conformazione di questo nuovo spazio geopolitico debba partire principalmente dalla stretta alleanza tra l’Argentina e il Brasile.

Ma aggiungevamo anche che la maggiore difficoltà per la conformazione di questo spazio si trovava nell’arco andino instabile , poiché la radicalizzazione della lotta verso la quale stanno trascinando i popoli della regione e, in particolare quelli della Bolivia, tende a dare ragione agli analisti del Nord, i quali affermano che questo è “uno Stato mancato” e che pertanto si deve procedere a un intervento “umanitario” per tessere una nuova mappa nel cuore dell’America meridionale, seguendo il “modello” dei Balcani.

E, affinché questo progetto possa diventare possibile, non esiste niente di meglio che incentivare le ONG separatiste, come nel caso di quelle che si mobilitano a Santa Cruz de la Sierra e che offrono pieno appoggio ai politici e agli attivisti dell’autonomia (preludio alla separazione e all’indipendenza della cosiddetta “mezza luna boliviana”).

In una crisi come quella che stiamo assistendo, il punto della questione è quello che vedrebbe una nazione come la Bolivia, povera e dimenticata da tutti, in particolare per la sua situazione di paese mediterraneo, sicuramente abbandonata al suo destino, così come avviene con altri paesi nel mondo. Ma non è così, la Bolivia possiede tre elementi economici che sono strategici: petrolio, gas e minerali, e si lotterà per il loro controllo, ma la Bolivia è anche il nodo dell’unione geopolitica continentale tra i paesi del versante atlantico con quelli costieri del pacifico.

È per questo motivo che la sua destabilizzazione e disintegrazione produrrebbero delle gravi conseguenze nei confronti dell’idea di un allargamento del MERCOSUR e di una possibile unione sudamericana.

L’America meridionale non ha sofferto maggiori mutamenti nei suoi confini dopo di quelli della balcanizzazione subita durante la caduta del Regime Imperiale Spagnolo nel Continente, ma nessuno può affermare che questa situazione continui così indefinitamente e il caso boliviano ne dà conferma.

Una forte divisione etnica, scontri con i settori economici colpiti dai cambiamenti introdotti con l’arrivo di Evo Morales al potere, scontri di classe e di settori sociali che spesso finiscono in uno spargimento di sangue e una lunga lista di conflitti irrisolti, i quali hanno molto a che fare con l’incapacità mostrata dal governo nel creare le condizioni di consenso sociale e politico per evitare o mitigare le conseguenze delle decisioni da esso adottate, soprattutto in un paese dove il centralismo è totale e ciò diventa oggetto di un’opposizione selvaggia che approfondisce il conflitto.

Dobbiamo tenere presente, inoltre, il fattore esterno: numerose aziende colpite dalla politica di Morales e le manovre geopolitiche sul nostro continente da parte della potenza egemonica .

Argentini e brasiliani dobbiamo essere molto vigili, poiché se il conflitto si dovesse approfondire porterebbe con sé a gravi conseguenze economiche e sociali che vedrebbero coinvolti i due maggiori partner del MERCOSUR, oltre alla possibilità di intervenire per evitare conseguenze maggiori (ultimamente il Brasile ha effettuato delle manovre militari nella frontiera brasiliana - boliviana con l’obiettivo di adeguare la sua logistica e la capacità militare nel caso in cui dovesse evacuare l’ingente colonia brasiliana che vive in Bolivia).

L’Argentina possiede un’estesa e incontrollabile frontiera con la Bolivia e, nel caso di un eventuale esodo di persone che fuggono da un conflitto civile armato, provocherebbe in tutto il Nordest del paese una grave emergenza umanitaria, poiché già penalizzata da una povertà endemica. Ma verrebbero colpiti anche i numerosi investimenti che i cittadini argentini hanno tradotto in realtà in questi ultimi anni i quali, grazie al boom della soia, hanno visto incrementare il loro capitale e partecipare allo sviluppo della Bolivia.

Per tale motivo, quello che accade nella nostra frontiera Nord non può essere preso come una semplice analisi giornalistica (cioè, come se fossero fatti lontani, distanti e diversi da quello che accade in Argentina), simile a quelle che quotidianamente trasmettono i mezzi di comunicazione di massa, bensì prendere coscienza della gravità dell’avvenimento che si svolge nella nostra frontiera e la conseguenza che per il popolo argentino rappresenterebbe il fatto di non intervenire per impedire una nuova balcanizzazione.

In questa forma s’ipotecherebbe il nostro futuro, appunto perché non si dispone dei mezzi per ampliare il nostro mercato regionale e rinvigorire lo stesso in un mondo sempre più aggressivo nel momento di conquistare risorse naturali e mercati. Sono in gioco i nostri interessi nazionali e per tale ragione si devono adottare le misure tanto diplomatiche, economiche, come quelle militari per arginare e aiutare il popolo boliviano in questa crisi ma, allo stesso tempo, coordinare azioni con il Brasile per bloccare l’ingerenza di interessi esterni verso la regione, i quali metterebbero in grave rischio l’approfondimento del processo d’integrazione del Cono Sud per via della crisi boliviana. E' in gioco la pace, la sicurezza e l'integrazione regionale.

Córdoba-Argentina
26 novembre 2007


(Traduzione dallo spagnolo di Vincezo Paglione)


* Carlos A. Pereyra Mele, avvocato, analista politico, specializzato in geopolitica sudamericana

CeeS Córdoba