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Dashi Dorjo Itigilow. Il lama siberiano che ha sconfitto la morte

di Francesco Lamendola - 01/12/2007

 

Buona parte del pubblico occidentale, probabilmente, ignora che i popoli di lingua turca, oltre che attraverso l'Asia Centrale, si sono spinti nel corso dei millenni fino agli estremi confini nord-orientali dell'Asia, fino alla Siberia e alla regione del lago Bajkal e che, nel corso della loro lunga storia, hanno conosciuto e praticato una pluralità di religioni, delle quali l'Islam è stata solo l'ultima in ordine di tempo.

Lo ricorda il professor Ermanno Visintainer (contatti e informazioni: info@waithai.it) in un dotto articolo reperibile sul sito www.waithai.it:

 

"I turchi, al contrario di altri popoli anatolici caratterizzatisi per un certo monoideismo confessionale, prima d'aver trovato nell'Islam la loro via in apparenza definitiva, hanno via via abbracciato tutte le religioni del mondo.

"Da un'analisi storica non troppo superficiale, infatti, si potrà facilmente evincere che essi si sno sempre contraddistinti per il sincretismo religioso e per l'esogamia. Invero, le etnie turche maggiormente legate a questo credo [ossia l'Islamismo] non lo sono da più di mille anni a questa parte, mentre altre, a fasi alterne, sono rimaste fedeli alle antiche religioni, come lo Sciamanesimo e il Buddhismo. Peraltro ricordo che ci sono state ed esistono ancora comunità cristiane fra essi, come i Nestoriani dell'Asia centrale in epoca pregengiskhanide, i Gagauzi di Moldavia o i Čuvassi dell'attuale omonima repubblica, oppure ebraiche, come i Khàzari e i Karaiti in passato.

"Andando più a ritroso, i (…) Tabyac o T'o Pa in Cinese, furono invece una tribù turca originaria del lago Bajkal che, nel 422, conquistò -Luoyang, l'antica capitale, assurgendo al rango di veri e propri imperatori cinesi con il nome dinastico di -Wei, abbracciarono il buddhismo di cui divennero i propagandisti e divulgatori nel Celeste Impero. Si può pertanto asserire che nella misura in cui i turchi hanno portato l'Islam alle porte dell'Europa, parimenti essi hanno veicolato il Buddhismo nel cuore della Cina. Essi furono peraltro latori, con l'Impero Khàzaro, dell'Ebraismo nella regione caspica odello Sciismo in Iran con Šah Ismail

"Il sovrano Bumin Qāghān, nel 552, fu un precursore di questa dottrina che trovò mecenati e mentori presso i turchi ,i quali permisero ai buddhisti, momentaneamente perseguitati dai Cinesi, di rifugiarsi presso di loro, così come in un altro contesto storico gli Ebrei, per sfuggire ai pogrom bizantini, troveranno asilo presso i Khàzari (altra etnia della grande famiglia turca).Un altro sovrano, Bilgä Quāghān, nell'VIII secolo, espresse ancora una forte propensione per la religione indiana, sognando di far erigere un monastero nella sua città. Per inciso di turchi buddhisti ne sono rimasti fino al giorno d'oggi, come i Tuvini, gli Khakassi ed altri, stanziati nell'area mongolo-siberiana. (…)

"Lo svedese Sven Hedin fu il primo occidentale a dissotterrare le rovine delle antiche città buddhiste nell'Asia Centrale cinese. (…) Tuttavia l'esploratore più prolifico fu l'ungherese  Marc Aurel Stein, il quale in seguito scoprì le "Cave dei mille Buddha", vicino a Dunhuang.

"Quivi ebbe modo di rinvenire il 'Sutra del Diamante' (Vajracchedika-prajñāpāramitā.sutra), testo essenziale della letteratura buddhista, assieme a 40.000 altre pergamene."

 

Ebbene, fra i buddhisti siberiani  di origine turca si è recentemente verificato un evento che ha messo a rumore mezzo mondo ed è giunto anche alla (solitamente) distratta opinione pubblica occidentale.

 

Si tratta di questo. Una folla numerosissima di pellegrini, e non solo buddhisti, da qualche anno si reca a fare la fila per poter accedere al complesso di templi, con annessa università, di Ivolginsky Datsan,in Buriazia, a una trentina di chilometri dalla città di Ulan Ude, capoluogo della cosiddetta Mongolia Interna. Essa è la residenza del Khambo Lama, la massima autorità religiosa dei buddhisti siberiani, e si affaccia sul maestoso lago Bajkal, il lago più profondo della Terra (1.741 metri sotto la superficie) e una delle massime riserve d'acqua dolce del mondo - che, d'inverno, è ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio. Ma la folla non chiede di vedere l'attuale Khambo Lama, bensì un suo predecessore, precisamente il dodicesimo della serie. Si tratta di Dashi Dorjo Itigilow, morto (se era davvero morto, come diremo) nel 1927.

 

Itigilow era nato nel 1852 e, all'età di sedici anni, aveva incominciato la sua educazione religiosa , che comprendeva anche studi di filosofia e medicina. Nominato capo della chiesa buddhista di Buriazia nel 1911, a cinquantanove anni, si impegnò moltissimo per far rifiorire quell'antica religione nelle terre siberiane.  Ottenne anche importanti riconoscimenti a livello politico:  invitato a Pietroburgo dall'ultimo zar, Nicola II, per la celebrazione dei 300 anni  dalla dinastia dei Romanov, vi fondò il primo tempio buddhista; e nel marzo del 1917, alla vigilia della sua abdicazione, lo zar lo decorò con la medaglia dell'ordine di San Stansilao. Infatti, durante la prima guerra mondiale egli si era prodigato in iniziative assistenziali e d'altro genere a sostegno dell'esercito russo impegnato contro gli Imperi Centrali, tra l'altro  facendo costruire un ospedale per curare i soldati feriti, mediante un'organizzazione denominata dei "Fratelli Buriati".

Tutto questo non contribuì a mettere i buddhisti siberiani in una luce favorevole quando i bolscevichi presero il potere in Russia, nell'ottobre del 1917. Sappiamo cosa pensavano Lenin e i suoi collaboratori della religione in generale, e della Chiesa ortodossa in particolare, e quale trattamento fu riservato ai religiosi durante gli anni terribili della guerra civile fra "rossi" e "bianchi", dal 1918 al 1920. Nell'Estremo Oriente essa assunse caratteri di particolare ferocia e si prolungò fino al 1922, con crudeli bande di atamani che scorrazzavano in lungo e in largo, magari al soldo degli invasori Giapponesi (come nel caso di Semenov). A un certo punto il barone baltico-tedesco von Ungern Sternberg, fissando il suo quartier generale a Urga, in Mongolia, cercò addirittura di ricostituire l'antico impero di Gengis Khan, conducendo una donchisciottesca e spietata guerra personale contro i bolscevichi, prima di venir fucilato dai "rossi", come già era toccato, sulle sponde del lago Bajkal, al "supremo reggitore" della Russia, l'ammiraglio Kolciak.

Il lama Itigilow sentì che la tempesta delle persecuzioni si stava avvicinando, in particolar modo dopo che Stalin ebbe preso saldamente le redini del potere in Unione Sovietica e si accinse a spazzar via, con sistematica brutalità, ogni forma non diciamo di opposizione, ma di possibile opposizione futura. Perciò, nel 1926, Itigilow  consigliò i suoi monaci di rifugiarsi nel Tibet, allora indipendente - de facto se non de iure - dal governo di Pechino. L'anno dopo egli esortò i suoi confratelli a immergersi in meditazione e li avvertì che presto sarebbe morto. Poiché godeva di ottima salute, non venne creduto; allora egli s'immerse in meditazione da solo e, improvvisamente, morì. O, quantomeno, smise semplicemente di respirare. Aveva settantacinque anni. Prima di chiudere gli occhi, aveva detto ai suoi monaci di riesumare la sua salma quando fossero trascorsi trenta anni. Ed essi, sbalorditi per quanto era accaduto, lo seppellirono, e attesero.

Cediamo la parola Herbvert Genzmer e Ulrich Hellebrand, autori del recentissimo libro I misteri dell'umanità (Parragon Bokks Ltd, 2007, edizione italiana Readmy-made, Milano, 2007, pp. 282-283):

 

"Nel 1927 morì Dashi Dorjo Itigilow, l'autorità buddhista in Siberia, all'età di 75 anni. Prima aveva pregato i suoi allievi riuniti di visitare ed esaminare le sue spoglie dopo 30 anni. Queste furono esumate nel 1957 e così come era morto, l'uomo si era conservato, nella posizione del loto a gambe incrociate. Poiché nelle Repubbliche Socialiste Sovietiche i temi religiosi erano in quegli anni proibiti, il corpo venne sotterrato nuovamente e se ne parlò solo all'interno delle comunità buddhiste.

"Nel 20032 il giovane lama Bimba Dorschijew volle che le spoglie fossero riesumate. Il lama aveva incontrato un monaco anziano presente nel 1957 e conosceva perciò la posizione del defunto. Egli documentò l'avvenimento in presenza di due esperti criminologi, un fotografo e una dozzina di testimoni: il corpo era in perfetto stato. Ora quelle soglie si trovano in un monastero a Iwolginsk, sempre nella posizione del loto. Un giornalista del New York Times scrisse, riguardo al corpo, che era circondato da candele e ciotole metalliche riempite d'olio su un semplice tavolino. Il corpo mostrava un'inequivocabile somiglianza con una foto del 1913. Le membra erano flessibili, la pelle morbida, le unghie intatte e i capelli corti.

"«È il più grande miracolo mai visto nella mia vita», ha dichiarato l'Hambo Lama Ajuscheiew, che dal 1995 è la guida spirituale del convento. «È evidente che esistono dei casi sui quali il tempo non ha alcun potere. Molte persone semplicemente non vedono ciò che è palese, e non accettano, sebbene ce l'abbiano davanti, di capirlo»."

 

E non è ancora tutto.

Oltre alla mancata crescita dei capelli, che immancabilmente si verifica quando la vita di un essere umano cessa, e oltre al perfetto stato di conservazione del corpo che, anzi, presenta una pelle elastica e una normale flessibilità delle membra (nessuna traccia di rigor mortis, per intenderci), nonché il mantenimento della posizione del loto, coloro che hanno osservato da vicino Dashi Dorjo Itigilow hanno osservato il sudore sulla testa rasata e, al tatto, l'inspiegabile calore delle sue mani. Di più: il cervello rivela segni di attività elettrica, le articolazioni si muovono e, secondo alcuni, talvolta le palpebre si alzano lievemente.

Ne ha parlato, già quasi due anni e mezzo fa, il giornalista Giampaolo Visetti, ne La domenica di Repubblica del 21 luglio 2005. Ecco la parte più sensazionale del suo servizio, corredato anche da alcune fotografie:

 

"La testa, rasata, suda. Le mani, morbide, sono calde. Il cervello trasmette impulsi elettrici. Le unghie crescono. Il corpo perde e riacquista peso. La pelle, tesa, è elastica. Gomiti e ginocchia si muovono. Naso ed orecchi sono dove ognuno li ha. Gli occhi, intatti, stanno chiusi: qualcuno, raramente, nota le palpebre sollevarsi. Il cuore sembra pronto e riprendere il battito.

"Vene e arterie sono piene di sangue, di gelatinosa consistenza. Il lama Khambo Itigelow è tornato. Prima di morire, nel 1927, lo aveva promesso. Ora i buddhisti russi lo venerano come 'il dio rinato'. Sette volte all'anno, nelle feste solenni, la sua cella nel monastero di Iwolghinskij, affacciato sul lago Bajkal, si apre ai fedeli. A migliaia lasciano i villaggi dell'Estremo Oriente e della Mongolia per accorrere a Ulan-Ude, in Buriazia.

"Non c'è più posto per tutti. Attorno alla cassa di cedro protetta da una campana di cristallo, dove il corpo disteso 78 anni fa è riemerso seduto nella posizione del loto, possono sfilare 15 mila persone al giorno. Per quest'anno gli accessi, aumentati a 130 mila, sono esauriti.

"Medici e scienziati di tutto il mondo non sanno spiegare il fenomeno. Nei laboratori si esaminano campioni di tessuti, capelli, cartilagini. Le radiografie confermano solo il mistero: gli organi di quella che fu la guida spirituale dei buddhisti russi sono perfettamente conservati. Dove si ferma la ragione, accorre la fede. I monaci del 'dazan' sono sicuri. Il lama Khambo, dopo aver raggiunto, lo stato della 'perfetta vuotezza', è vivo. In lui si è reincarnato il primo capo della chiesa buddhista, Pandito Khambo, lama Zajaev. Era nato nel 1702. Morì a 75 anni, promettendo agli allievi di tornare dopo altrettanti. Alla data stabilita, 1852, venne alla luce Khambo Itighelow. Visse altri tre quarti di secolo, confermando a sua volta il ritorno dopo un tempo corrispondente. Alla scadenza, tre anni fa [cioè nel 2002] ha rispettato l'appuntamento. Da allora la vita, identificata con la 'trasmigrazione dell'anima', riprende a scuotere il suo corpo: mummificato pur senza aver subito alcun trattamento. (…)

"«Nel 1957 - racconta oggi la direttrice dell'istituto religioso a lui dedicato, Yanzhima Dabaevna - il lama Itighelow è stato esumato. Era intatto, non si è potuto bruciare come prescrive la legge buddhista. Nel 2002 la conferma del miracolo. Pesava 37 chili, oggi oscilla sui 42». Nessuno ha diffuso la notizia della mummia reincarnata. Si temeva che attorno al Maestro fiorisse un'ingiustificata idolatria. Poi, misteriosamente, decine e quindi centinaia di fedeli hanno iniziato a battere al portone del convento. «Chiedevano di Khambo - spiega la sua discendente - abbiamo dovuto prendere atto della verità».

"Il fenomeno è stato contenuto fino a gennaio. Il centro di medicina legale del ministero della salute, assieme all'università di Mosca, esitavano a pronunciarsi. Quindi il verdetto choc: «Gli esami di laboratorio - scrive il professor Viktor Zvjagin - non hanno rilevato nei tessuti organici del corpo qualcosa che li distingue da quelli di una persona vivente». Dieci giorni fa, su richiesta dei monaci, gli esami sono stati sospesi. Il 'lama rinato' smette di essere un fenomeno scientifico e si consegna all'insondabilità della credenza. I buddhisti dell'Estremo Oriente russo, ma anche quelli sparsi lungo il confine cinese, giovedì [cioè il 21 luglio 2005] hanno festeggiato, pregato e ringraziato. (…)

"«I dubbi sono fugati - dice l'attuale capo dei buddhisti, Khambo lama Ajuscejev - gli esperimenti non servono più. Il lama Itighelow è come noi, solo in uno stato di assenza. La reincarnazione è stata compiuta». I monaci della Buriazia ricordano così l'origine dell'enigma. La 'mummia vivente', appena onorata anche dall'attore Richard Gere, avrebbe raggiunto il livello di astrazione dal corpo descritto nel 1400 dal famoso lama Bogdo  Zponkhavy. «È uno stato paranormale straordinario. Si ottiene attraverso lo svuotamento: un percorso spirituale ignoto, che consente di abbandonare e riacquisire il proprio corpo». A provarlo, un vecchio verbale della guarnigione della polizia russa.

"«Il lama - si legge - nel pomeriggio correva a cavallo sulla superficie del lago Beloje, come fosse sul selciato». Altri raccontano che fosse in grado di spostarsi fulmineamente: si riduceva ad un punto, riapparendo in un istante ad un chilometro di distanza. Yanzhima Dabaevna ha scoperto che i magici poteri si sono rivelati al ritorno del Maestro dopo vent'anni di studi alchimistici in Tibet. Il monastero, oggi cinese, è stato distrutto. Khambo Itighelow rimane l'ultimo custode del proprio segreto."

 

Questa vicenda ci ha fatto venire in mente una strana pratica in uso, secoli fa, presso alcuni monaci buddhisti del Giappone: quella di auto-mummificarsi in vita. Si trattava di mistici i quali, attraverso l'incorruttibilità del proprio corpo, cercavano la perfezione spirituale assoluta, un luminoso modello di santità.

Ne ha parlato Massimo Raveri, docente di Religioni e filosofie dell'Asia Orientale presso l'Università Ca' Foscari di Venezia, dopo aver condotto studi e ricerche in Giappone, nel suo libro Il corpo e il paradiso. Le tentazioni estreme dell'ascesi (Venezia, Marsilio, 1992).

Ecco, ad esempio, come viene descritta la pratica dell'automummificazione (chiamata miira) con cui si concluse la vita del santo monaco Tetsumonkaiu, vissuto tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, il cui corpo incorrotto è conservato nel tempio di Chūrenji, ai piedi del massiccio del Monte Dewasanzan.

 

"Dopo tante peregrinazioni si ritirò in solitudine  a Senninzawa, la 'Palude degli Immortali'.  In questa valle impervia, fredda, di rocce e cespugli  bassi battuti dal vento, si diede  alle pratiche ascetiche più severe. Gli annali  del tempio parlano di come, l'ottavo giorno  del dodicesimo mese del dodicesimo  anno dell'era Bunsei (1829), Tetsumonkai lasciò il suo rifugio nella foresta e scese a valle. Gli erano vicini solo pochi fedeli discepoli.  Obbedendo a un suo desiderio, nella sala principale i monaci avevano imbandito un grande banchetto ed era arrivata tanta gente dei dintorni. «Lui li guardava mangiare e scherzare - è scritto - e diceva che è bello entrare nel nyūjō circondato, com'era in quel momento, da gente felice». E aveva aggiunto che chiunque lo avesse pregato con fede sincera sarebbe stato esaudito. Poi era uscito. Poco lontano, in una radura del bosco, avevano scavato una buca profonda e vi avevano posto una cassa. Salmodiando in coro degli inni sacri lo aiutarono a calarvisi dentro. In mano aveva il rosario e un campanella. Si sedette dentro la tomba in posizione di meditazione. Quindi chiusero su di lui il coperchio e lo copersero di terra. Piantarono un palo con un'iscrizione provvisoria, a ricordo dell'evento. La cerimonia era finita. Tutti gli astanti sapevano che Tetsumonkai, chiuso in quel loculo, stava vivendo la più alta esperienza mistica della sua vita di asceta, e la sua ultima e più difficile prova. Da sottoterra giungeva a intervalli il tintinnio della campanella." (op. cit., pp. 9-10).

 

Ora, per comprendere la sconcertante (per noi occidentali) pratica del miira, attestata da una lunga e devota tradizione, bisogna tener presente che essa non corrisponde affatto, nell'intenzione dei monaci e dei fedeli che vi assistono, a una forma di suicidio rituale. Esiste anche quella, ma si pratica in altro modo - ad esempio, immolandosi sul fuoco. Ma la filosofia del miira è completamente diversa da quella dell'olocausto tra le fiamme.

Scrive ancora Massimo Raveri (op. cit., pp. 70, 72-73):

 

"Offrirsi alle fiamme e automummificarsi sono infatti i momenti culminanti di due vie mistiche antitetiche. Partono da un concetto comune e cioè che la salvezza è raggiungibile attraverso l'utilizzo del corpo. Ma nel primo caso la perfezione della santità si conquista attraverso la morte, l'estinzione del proprio io, l'offerta totale di sé al Buddha per il bene degli altri e la distruzione completa del corpo. Nel caso del miira invece la santità è testimoniata dalla perfetta conservazione del corpo, da una condizione esistenziale immutabile ed eterna, , da una totale concentrazione del proprio sé e da un allontanamento definitivo dagli altri. (…)

"La santità del miira si gioca (…) sulla conservazione completa del corpo. Anche loro sono dei salvatori, ma attraverso un rifiuto, una vittoria sulla logica della frisi sacrificale, della 'buona morte' come evento di rigenerazione. Non vogliono la morte, non dicono mai di volerla cercare, anzi dichiarano il contrario. Non fanno dono del proprio corpo, non si offrono per purificare i peccati degli altri: sono soli, chiusi in se stessi e nella loro immobile perfezione. Distanti, intoccabili, fuori della ragione ordinaria, intorno ad essi c'è come un vuoto, un'attesa, la sospensione di ogni scambio simbolico. Quando scendono sottoterra fra loro e gli astanti c'è solo silenzio. Essi non si distruggono per rigenerare un mondo che hanno giudicato irrimediabilmente corrotto, ma attendono. E si risveglieranno quando il

 Buddha scenderà sulla terra e quando uomini 'nuovi' li cercheranno perché la vita che essi portano nell'immobilità possa essere il modello di un'esistenza alternativa. Non viene celebrato nessun rito funerario perché non sono entrati nel mondo della morte. I pochi fedeli che son loro vicini non raccontano di aver visto prodigi naturali e nessun angelo verrà a portare la loro anima al cielo…"

 

A questo punto non possiamo non domandarci: forse che il lama Itigilow è anch'egli un dormiente, che ha sconfitto le porte della morte e che attende il risveglio, per portare a compimento la sua missione di salvezza?