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Confederazione spioni d'Italia

di Gianni Caroli - 01/12/2007





 

“Il Corvo” di Henri-Georges Clouzot, è un film girato nel 1944, sul finire della guerra. Vi si raccontano le vicende di una piccola comunità della Francia profonda, sullo sfondo della catastrofe nazionale ed europea, alle prese con i sintomi di disgregazione tipici dei paesi invasi ed occupati da eserciti stranieri: in particolare questi sono scatenati dal dilagare per ogni famiglia, caseggiato o piazza del paesino, di lettere e biglietti anonimi, concepiti da un unico autore.

Assolutamente verosimili nella sostanza, il loro effetto pratico è quello di mettere l'uno contro l' altro i membri di ciascuna realtà, familiare, civile o sociale che sia; ed ognuna di queste contro tutte le altre, in un gioco al massacro di tutti contro tutti.

Perché, se ogni volta che una cartuscella indiscreta appare alla luce qualcuno vince la sua partita contro un avversario personale o politico, la successiva perderà anch' egli contro qualcun altro che gli sventolerà sul naso la prova certa (una foto, una lettera firmata ecc.) di una relazione extraconiugale, di un abuso, di una malversazione, anche soltanto di una malevolenza: comunque qualcosa da nascondere, non fosse che per ragioni di stile.

L' effetto che ne consegue è il progressivo disintegrarsi di qualunque vincolo tra gli individui, e tra i corpi intermedi che costituiscono l' insieme della collettività: nell' interesse, lascia intendere il film, di chi ne vuole cancellare ogni sovranità democratica residua.

Così se la didascalia ci spiega: “Francia 1944”, alla vigilia della caduta di Pétain e Laval, si legge ahimé, “Italia Duemila”.

Se infatti lo Stato francese riuscì a tirarsi fuori dalla disfatta bellica, e successivamente dai meandri disastrosi della IV Repubblica, il nostro paese non è mai riuscito a venir fuori dalla decadenza e fine della Prima Repubblica, trascorsi ormai tre lustri dallo spirare di quella.

In questa transizione infinita che non approda ad alcuna sponda, un ruolo fondamentale nel mantenere sine die l' instabilità istituzionale (che colpisce i ceti più deboli ed i più produttivi per favorire i più forti e organizzati), viene giocato dalle “fonti confidenziali”: soffiate ora contro questo, ora contro quell' altro, sempre l'un contro l' altro armati come i polli di Renzo.

Negli ultimi anni, il fortissimo sviluppo tecnico dei sistemi elettronici ha consentito lo spionaggio satellitare su scala continentale verso ogni forma di telecomunicazione: il famoso Echelon angloamericano, di cui tanto si parlò e di cui ora si tace, per la buona ragione che è pienamente operante.

Così, se nel famoso biennio '92-'93 a liquidare i conti con un ceto politico in disarmo erano bastati gli abituali spifferi di cancelleria, da circa un triennio sono le conversazioni telefoniche carpite in privato a fungere da arma di distruzione totale dei rapporti civili, sociali e politici.

Quasi sempre neppure notizie di reato, ma opinabili giudizi di valore dal sen fuggiti: questo è un cretino, quello un incapace; oppure “forza, vai avanti così”, a proposito di una scalata bancaria. Una guerra devastante di indiscrezioni e malignità giocata con sottile abilità contro l' intero consorzio, e presentate nella luce sinistra di notizia criminis sempre e comunque.

In questa temperie il monopolio Telecom, dieci anni fa oggetto di una sciaguratissima liberalizzazione (meglio: feudalizzazione, consegnata brevi manu come fu ad un nocciolo di “poteri duri”, del tutto indipendentemente dall' interesse degli azionisti), ha giocato un ruolo fondamentale di interfaccia tra le “orecchie” e la “bocca” di uno stesso sistema di persuasione nei confronti della pubblica opinione.

Sono dimostrate da puntuali inchieste giudiziarie i due versanti del suo operare

1) la collaborazione tecnica coi servizi deviati di Niccolò Pollari e Pio Pompa.Essa consisteva da una parte, per esempio, nel fabbricare false documentazionisu: “acquisti iracheni di uranio arricchito in Niger a scopo fabbricazioni armi nucleari” (circostanza sicuramente falsa, in ordine alla cui divulgazione è stato condannato a 3 anni di carcere, in Usa, Lewis Libby detto “scooter”, consigliere di Bush per la sicurezza nazionale) su commissione di superpoteri americani trascendenti la stessa Cia.

Dall' altra nel veicolare, attraverso giornali e giornalisti addomesticabili, i contenuti dello spionaggio medesimo. Un solo caso, al massimo due, sono finora emersi alle cronache giudiziarie: la classica punta dell' iceberg, il consueto volare di stracci a coprire responsabilità più elevate e possenti. Poiché infatti per un solo patteggiante confesso, e per un altro in galera da più di un anno, quanti sono invece quelli che ripetono le medesime falsificazioni a pro di Guerra Santa, e a mezzo carta stampata senza essere incorsi in alcun incidente?

Oltre a ciò, il sistema-Telecom ha operato un sistematico spionaggio in proprio nei confronti di migliaia e migliaia di “obbiettivi sensibili”: il caso clamoroso di Massimo Mucchetti, pericoloso candidato a posti direttivi nel sistema di informazione e perciò strettamente controllato “a scopo compromissione”, è esemplare dello stato delle cose.

2) Telecom inoltre è anche azionista sindacale di riferimento del maggior gruppo editoriale italiano, anzi il capocorista della intera compagnia: la Rizzoli-Corriere della Sera, che, acquisiti nella compagine anche il plurindagato presidente di Capitalia, Geronzi e Berlusconi, ingloba la generalità dei poteri finanziari, editoriali, politici del paese. Inconcepibile in qualunque sistema democratico codesta perniciosa triangolazione: servizi, finanza, informazione editoriale concentrati in un unico soggetto. Altro che scandalo Media-Rai-Set, per quanto gravissimo!

Per altro le mirabolanti tribolazioni dell' impresa Telecom, da un punto di vista azionario e dirigenziale, meriterebbero, del tutto a parte, la penna romanzesca di un Alexandre Dumas.

Ma è comunque singolare che nove anni dopo la sua estromissione a mezzo opa, Franco Bernabé rientri intatto, come se nulla fosse mai trascorso in Italia e nel mondo, nella titolarità della poltrona di Amministratore Delegato della società. Senza entrare nel merito di questa scelta, e da chi favorita od avversata, è il segno più palese di una gravissima impasse della politica italiana, tuttora così forte coi ceti deboli, sempre così accondiscendente coi poteri forti: e del tutto a prescindere dal colore dei partiti, sia di governo che di opposizione.