Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Dall'Africa cartoline per Bali

Dall'Africa cartoline per Bali

di Marinella Correggia - 01/12/2007

 

Diverse organizzazioni sociali, contadine e ambientaliste africane lanciano un appello ai governi che a dal 3 dicembre si ritrovano a Bali per la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La premessa è: «Dobbiamo proteggere la nostra sicurezza alimentare, le foreste, l'acqua, i diritti sulla terra, i contadini e i popoli indigeni dall'avanzata aggressiva degli agrocombustibili che divora terre e risorse». Tre i gruppi di destinatari dell'appello (per adesioni. agrofuelsafrica@gmail.org): i governi africani che devono dire basta alla svendita del continente per soddisfare la richiesta estera di carburante; i governi europei che non devono fissare obiettivi numerici riguardo alle percentuali di agrocarburanti sul totale dei consumi (il che significherebbe un aumento delle importazioni da continenti come l'Africa); il mondo intero per una moratoria internazionale sull'export in materia. Le organizzazioni puntualizzano: «Abbiamo usato il termine agrocombustibili anziché biocombustibili perché sia chiaro che parliamo di colture su larga scala in piantagioni private per produrre combustibili liquidi destinati all'export. Non parliamo dell'uso della legna, delle deiezioni animali o di scarti agricoli; e nemmeno della produzione su piccola scala che si accompagna quella alimentare e fornisce energia a livello locale». L'appello africano descrive alcune realtà già compromesse. La prima «cartolina» riguarda la Tanzania: agrocombustibili e contadini sul lastrico. Nei Kisarawe, Bagamoyo e Kilwa, nelle pianure Usangu decine di migliaia di ettari sono già stati assegnati a investitori stranieri, mentre i contadini produttori di riso e mais stanno perdendo suoli fertili e vicini all'acqua, privatizzati di fresco per essere consacrati alla coltivazione di canna da zucchero e piantagioni di jatropha. Si radono al suolo villaggi ma le famiglie ottengono compensazioni minime. Il governo ha già identificato milioni di ettari in almeno 10 distretti.
La seconda «cartolina» è dall'Uganda: agrocombustibili e taglio di foreste. Grazie alle proteste interne e internazionali è stato cancellato il piano di sacrificare migliaia di ettari della foresta tropicale Mabira per farne piantagioni di canna da etanolo; ma per coltivare palme da olio si stanno già abbattendo altri migliaia di ettari nelle isole Kalangala e Bugala, sul lago Vittoria. La terza «cartolina» è dall'Etiopia: agrocombustibili e minacce per aree protette. Un investitore europeo ha ottenuto 13.000 ettari nello stato di Oromia, l'87 per cento del quale è una preziosa riserva, habitat di specie di elefanti rare e minacciate. Quarta «cartolina», dallo Zambia: un funesto subappalto. Alcuni investitori nel paese hanno scelto di affidare la coltivazione della jatropha a piccoli contadini, con contratti trentennali, in un pericoloso sistema di dipendenza e probabile indebitamento già troppe volte visto. Quinta «cartolina», dall'Africa dell'Ovest: carburante o cibo? La jatropha è già diffusa in Togo, Ghana, Senegal, Mali, Costa d'Avorio e Niger. Paesi dove spesso i contadini non hanno che un ettaro pro capite a disposizione, dove coltiveranno gli alimenti?
Insomma la «rivoluzione dell'oro verde» condurrà a sostituire milioni di ettari foreste, di fragili terre marginali e di sistemi agricoli locali con grandi piantagioni monocolturali e geneticamente modificate. Certo, i governanti africani parlano di sicurezza energetica. Ma sembrano ignorare che l'aumento dei prezzi del petrolio trascinerà quello degli agrocarburanti e solo il Nord potrà acquistarli, dalle compagnie che li coltivano.
Conclusione dell'appello africano: «Per salvare il clima occorrono non piantagioni di agrocarburanti ma politiche e strategie per ridurre il consumo anzi lo spreco di energia. Un pieno di benzina usa la stessa quantità di cereali che nutrirebbe un bambino africano per un anno. Non possiamo credere che i nostri governanti accettino di farci portar via il cibo, l'acqua e la terra per alimentare i lussi occidentali».