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Stato imperiale romano e Chiesa cristiana

di Paolo Boccuccia - 03/12/2007

 

Stato imperiale romano e Chiesa cristiana


Gli storiografi cattolici hanno sostenuto da sempre il concetto che tra il cristianesimo e lo Stato imperiale romano, prima dell’era di Costantino, non sia esistita una contrapposizione di fondo, quanto piuttosto un malinteso dovuto alla scarsa conoscenza da parte del mondo “pagano” dei reali contenuti della dottrina cristiana che non erano affatto antisociali o antistatali. E la dimostrazione di ciò starebbe nel fatto che, dissipato l’equivoco, con la dinastia costantiniana la nuova religione venne accolta dallo Stato imperiale al punto da divenirne la religione ufficiale, e perciò stesso l’asse portante della società dell’oikomene “romano”.
Il fatto indubitabile è invece che nei tre secoli che precedettero l’editto emanato nel 313 da Costantino e Licinio, la separazione, anzi la contraddizione ideologica tra società politica e comunità cristiana fosse netta sul piano dei principi, anche se meno pronunziata o comunque sfumata sul piano dei rapporti pratici. E ciò in quanto mentre l’ethos statale esigeva il coinvolgimento dell’individuo, l’ideologia cristiana concependo il mondo come regno del male e destinato alla distruzione secondo un preciso schema apocalittico, indicava la necessità dell’anakoresis, ossia non curarsi della vita politica in senso lato. Era quasi un dovere per il popolo cristiano “tirarsi fuori” da un sistema di rapporti sociopolitici che era loro estraneo, poiché la comunità cristiana in quanto religiosa non doveva aver nulla a che fare con lo Stato.
Quando con l’Impero il mondo civile era divenuto una sola polis, e la religione politeistica romana il solo culto ufficiale dello Stato, una delle conseguenze di questa mondializzazione di modello culturale fu la necessità di porre su di un piano sacrale colui che l’Impero personificava: ossia l’Augusto in carica, proclamato dominus et deus. Cosa questa ovviamente inaccettabile per un cristiano, ma che per un comune suddito non rappresentava altro che un simbolismo conseguente al culto di Stato connesso alla religione tradizionale.
A parte la sua dottrina di separazione dalle istituzioni statali, la nuova religione predicava il rifiuto della violenza fisica in qualsiasi forma, con la conseguente obiezione di coscienza richiesta ai suoi membri rispetto al servizio militare. Il rifiuto all’arruolamento nell’esercito veniva però concepito dalle autorità come una forma di tradimento e di ribellione: ove messo effettivamente in atto, portava alla repressione di tali comportamenti giudicati antisociali (le “persecuzioni”).
Finchè l’Impero fu prospero, la sua compagine salda e motivata, l’economia fiorente e la pressione ai confini contenuta, le masse rimasero indifferenti alla predicazione apocalittica ed alla critica astiosa nei confronti dell’ordine di cose esistenti nella società dell’epoca.
Solo quando si avvidero che la crisi del sistema era montante ed irreversibile, i “pagani” si avvicinarono in modo sensibile alla nuova religione, anche perchè il tentativo di porvi rimedio posto in atto da Diocleziano non aveva fatto altro che peggiorare le cose. Il cristianesimo cominciò ad essere religione di massa quando sembrò costituire una alternativa allo sfacelo della società civile e delle istituzioni del basso Impero; e questa fu una conseguenza di condizioni oggettive di crisi e di disagio sociale, e non il frutto di una evoluzione spirituale come si pretende da parte degli apologeti.
A questa adesione di massa che lo svuotava di consenso lo Stato imperiale cercò di opporsi in modo continuativo e globale solo al momento del suo crepuscolo, tant’è vero che i maggiori tentativi di repressione si verificarono non all’inizio, ma alla fine del sistema imperiale, sotto Decio e Diocleziano. In seguito a questo sfacelo l’organizzazione gerarchica della comunità cristiana prese a modello le gerarchie dell’organizzazione tardoimperiale, costituendone un doppione in grado di giustapporsi ad esse e condividerne i poteri: cosa che avvenne puntualmente con la dinastia di Costantino (ad iniziare dal suo fondatore).
Il cristianesimo divenne così la sovrastruttura religiosa dell’Impero e con il successivo indebolimento di questo in Occidente, si avviò ad essere la sovrastruttura politica del dominio religioso: divenuto in principio la forma religiosa dell’Impero, il cristianesimo ridusse l’Impero ad essere la forma statale della Chiesa. Con ciò venne a cadere, ovviamente, sia il concetto dell’anakoresis sia la prospettiva apocalittica, e di converso non solo si interpolò nel corpus epistolare paolino la dottrina per cui ogni autorità terrena veniva da Dio e da Lui stabilita, ma si arrivò a concludere che lo Stato essendo divenuto cristiano, ogni ribellione ad esso equivaleva ad una ribellione contro la Chiesa. Apparve allora chiaro alle menti illuminate del tempo, come Giuliano “l’Apostata”, che la nuova religione in quanto organizzazione gerarchica, in quanto Chiesa, si era sostituita all’autorità civile nella gestione del potere; da qui il loro disperato tentativo di restaurare l’antico culto “pagano” ed i vecchi rapporti tra religione ed istituzioni civili.
Il concetto di separazione tra Stato e religione, tra Chiesa e potere politico aveva avuto corso e validità sino a quando il cristianesimo con la sua Chiesa non aveva preso il potere. Ma quando questo avvenne ci fu il capovolgimento dei rapporti politici: la sovrastruttura religiosa dello Stato era divenuta la struttura del potere, e diveniva dovere del buon cristiano farsi sostegno dello Stato “imperiale”, proclamato depositario del “bene”, così come prima era stato presentato come epicedio del “male”…
L’Apocalisse giovannea venne relegata in fondo al canone neotestamentario, e l’anakoresis venne fatta propria da piccoli gruppi integralisti (i monaci) i quali spinsero il loro fanatismo fino al rifiuto dei rapporti sociali.