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Andamane, quale turismo sostenibile

di MarinellaCorreggia - 03/12/2007

 

A lungo l'arcipelago delle 550 isole Andamane e Nicobare, situate nella baia del Bengala e appartenenti all'India, fu sfruttato per il legname prezioso delle sue foreste pluviali. Tradizionalmente, oltre alle poco sostenibili attività forestali, la popolazione viveva di agricoltura e occupazioni governative. Ma l'agricoltura non rende granché, la consapevolezza riguardo alle foreste è aumentata e la popolazione locale anche. Così, per i 356mila andamanesi, autoctoni o acquisiti via via, il governo dell'India ha ben pensato di proporre la ricetta del turismo, chiamato con un gioco di parole «Vitamin Sea» (sea - cioè mare - e C - come la vitamina - in inglese hanno quasi la stessa pronuncia). Nel 2006 le isole hanno avuto 100mila visitatori e il bilancio di quest'anno dovrebbe registrarne 150mila.
Chi sono costoro? Dieci voli giornalieri assai sovvenzionati portano frotte di turisti indiani. In gran parte sono dipendenti del governo di New Delhi, economicamente incoraggiati dal datore di lavoro ad andare in vacanza proprio lì. L'intenzione sarebbe buona: far ridecollare l'economia devastata dallo tsunami del 2004 che là fece oltre 3mila morti (la provincia indonesiana di Aceh, la più colpita, dista solo 150 km). Come ha dichiarato un esponente della Society for Andaman and Nicobar Ecology all'agenzia stampa internazionale Inter Press Service (Ips), i turisti-dipendenti governativi spendono poco in loco e, essendo tanti, premono su risorse scarse come l'acqua. Nell'estate del 2007 gli andamanesi si sono visti razionare pesantemente l'acqua: alcune zone di Port Blair, la capitale, la ricevevano per due ore ogni cinque giorni. Insomma, per alcuni il turismo indiano è un rimedio peggiore del male.
In privato, i funzionari governativi ammettono che la crescita esponenziale della presenza turistica dei dipendenti pubblici indiani sulle Andamane, nella devastazione post tsunami, non è il massimo. Non per nulla di recente l'amministrazione ha rifiutato di comprendere nel progetto le mitiche Ferrovie indiane, il più grande datore di lavoro del mondo: 1,6 milioni di dipendenti. In massa alle Andamane sarebbero un flagello.
Quanto al turismo con i dollari, il governo ha qualche titubanza nel concedere a stranieri il libero accesso su isole dalla collocazione strategica, che ospitano una base navale e una aerea, ricostruite dopo il 2004. Mentre il settore dell'accoglienza informale trae vantaggio dalla presenza degli indiani, i classici tour operators e hotel ricavano l'80 per cento dei guadagni dagli stranieri. Ma, sostengono, non c'è posto per gli uni e per gli altri sulle isole. Così il giorno mondiale del turismo, il 27 settembre, sono scesi in strada a protestare, contro i poveri turimpiegati indiani. Il loro sogno è che l'arcipelago imiti la non lontana thailandese Phuket, un milione di visitatori con dollari ogni anno.
Ma lo scontro fra due modelli, quello del turismo locale con poco denaro e quello del turismo internazionale benestante, è di cruciale interesse. Il secondo, basato sui flussi di visitatori ricchi e occidentali verso destinazioni esotiche belle e povere non può continuare. Per varie ragioni. Democrazia: come ha spiegato sempre all'Ips la ricercatrice indiana Nina Rao, «ciascuno ha il diritto di essere turista, è un fatto di democrazia». E se tuttora solo una frazione degli abitanti del Sud del mondo si muove per turismo, è già meglio rispetto al solo movimento degli occidentali o giapponesi che siano. Centrale è poi la variabile del clima, che non può reggere gli attuali 800 milioni di turisti che volano su distanze internazionali e intercontinentali. Si pone ovviamente la questione del modello di economia locale che si lega ai flussi vacanzieri. E se certo il turismo domestico, interno ai vari paesi e aree geografiche, è da sollecitare come alternativa all'insostenibile traversata del pianeta, occorre prestare più attenzione alle infrastrutture, alla locale capacità di carico da parte delle risorse, alla gestione dei rifiuti e all'impatto sugli ecosistemi fragili.