Balucistan, la guerra degli emarginati
di Alessandra Mezzadri* - 28/12/2005
Fonte: peacereporter.net
Intervista a un giornalista locale che da anni si batte in difesa del popolo balucio
Il recente scoppio delle ostilità tra truppe governative e separatisti in Balucistan, regione occidentale del Pakistan, ha posto sotto i riflettori della stampa internazionale il dramma di una delle regioni più povere dell’Asia centro-meridionale.
Tra le ragioni della riesplosione del conflitto balucio vi è la questione della diga di Kalabagh, che rappresenta solo l’ultimo capitolo di una storia di sfruttamento e marginalizzazione cui il popolo balucio è stato sottoposto per decenni.
Abbiamo intervistato Nizamuddin Nizamani Baloch, ricercatore e giornalista locale che si batte da anni per portare all’attenzione dei media la situazione balucia. Il 9 dicembre, dieci giorni prima della recrudescenza della violenza, aveva presentato all’Ottava Conferenza per lo Sviluppo Sostenibile tenutasi a Islamabad un rapporto sul mancato rispetto dei diritti umani e sull’aumento della tensione sociale e politica in Balucistan.
“Quello che sta succedendo in Balucistan è riprovevole”, ha dichiarato Nizamani. “Stanno emarginando il nostro popolo e lo stanno portando alla violenza: molto gruppi locali sono arrivati a credere che quest’ultima sia l’unica via rimasta per cercare di cambiare le cose”.
Nizamani ha mostrato le statistiche provenienti dal Centro di Politica Sociale e Sviluppo di Karachi: il 55 per cento della popolazione balucia vive sotto la soglia di povertà, mentre la media nazionale è del 37 per cento e la media in Punjab è del 26 per cento; 24 dei 26 distretti baluci vengono definiti ‘zone ad alto indice di deprivazione’, con l’eccezione di Quetta e Ziarat; il 52.4 per cento della popolazione rurale balucia non ha una casa, il 52.5 per cento non ha accesso alla terra visto che il governo pachistano non riconosce il sistema pastorale nomade balucio che si basa sulla proprietà collettiva della terra. Il tasso di analfabetismo in Balucistan è del 70 per cento, il 20 per cento in più rispetto alla media nazionale; il tasso di analfabetismo femminile è dell’82 per cento, più del doppio della media nazionale. Nonostante questo, il governo non ha stanziato nessun fondo per l’educazione. In tutto il Balucistan si contano solamente cinque scuole secondarie professionali. Le uniche strutture sanitarie sono ancora quelle messe in piedi dagli inglesi: solo a Quetta c’è un ospedale decente. I distretti di Turbat e Gawadar, che ospitano un milione e mezzo di abitanti, se la devono cavare con una sola ambulanza.
Il Balucistan è una terra ricchissima di risorse: gas, carbone, ferro, marmo, oro, uranio. Negli ultimi vent’anni il governo pachistano ha inaugurato nella regione una lunga serie di quelli che nel paese vengono definiti ‘mega-progetti’: il porto internazionale di Gawadar, la grande area industriale di Hub, il cantiere navale Gadani Complex, i progetti di estrazione mineraria Saindak e Sui, per dirne alcuni. E naturalmente la diga di Kalabagh. Non è un segreto che il controllo delle risorse minerarie sia una componente fondamentale dello scontro tra baluci e governo pachistano, il quale ha sempre sostenuto che la società balucia è ostile allo sviluppo della regione in quanto basata sul sistema tribale, antitesi di qualsiasi processo di modernizzazione. “Le zone tribali in Balucistan rappresentano soltanto il 20 per cento del territorio: è una strumentalizzazione politica” tuona Nizamani. “Anche ammettendo questa incapacità del sistema locale di autogestirsi e dando per buono che l’accentramento della gestione delle risorse del governo pachistano sia un’azione volta alla modernizzazione e al beneficio degli stessi baluci, perché allora la forza lavoro locale non viene utilizzata nei progetti?”
Ancora una volta, le statistiche parlano chiaro. Nello stabilimento di Saindak, su 1200 impiegati, solo 50 sono baluci. L’impianto di Sui per l’estrazione del gas impiega meno dell’un per cento di manodopera locale. Le categorie di impiego sono sempre le più basse e generalmente di natura temporanea, cosicché la popolazione locale possa essere mandata via senza alcun avviso.
“Davanti all’impianto di Sui la protesta di alcuni lavoratori locali licenziati dall’oggi al domani va avanti dal 1984”, ha detto Nizamani. “Protestano tutto il giorno davanti allo stabilimento, senza che nessuno li ascolti. Sanno che non troveranno un altro lavoro lì in mezzo al deserto, quindi tanto vale che protestino. Questa gente non solo non può gestire le proprie risorse: non può nemmeno lavorare sul proprio territorio. Il governo accusa i baluci di arretratezza, ma la popolazione è tenuta in questa condizione di proposito. A questo si aggiunge il fatto che il prezzo del gas del Balucistan fissato dal governo è il più basso del Pakistan, e nonostante il Balucistan fornisca il 40 per cento di tutto il gas pachistano, ne utilizza solo l’un per cento”.
L’11 settembre 2005, Nizamani ha intervistato Nawab Bugti, leader dell’opposizione balucia, che ha affermato: “Ho costruito strade, scuole, ospedali. Ho invitato compagnie telefoniche e di telecomunicazioni a investire nel territorio. Ma il governo non ha portato questi servizi necessari allo sviluppo, e invece ha costruito basi per l’atterraggio di elicotteri. Non conosco nessun balucio che abbia un elicottero. Inoltre, le basi dovrebbero essere costruite per difendersi da un nemico. Contro chi sono pensate queste basi?”
E’ difficile rispondere a questa domanda. Certo, il Balucistan ha una posizione geografica chiave: è un ‘occhio’ su Afganistan e sull’Iran, due paesi che suscitano grande interesse e tensione, non solo da parte del Pakistan ma a anche da parte della comunità internazionale.
“Da molti anni il governo pachistano usa la violenza contro i leader baluci. Recentemente, diversi esponenti del movimento studentesco sono stati incarcerati o sono scomparsi nel nulla. Ma non si può reprimere un intero popolo”, ha dichiarato Nizamani.
Appena dieci giorni dopo la fine di questa intervista con Nizamani, in Balucistan sono scoppiati i combattimenti.
*Dottoranda alla Scuola di Studi Orientali e Africani di Londra, dove insegna Economia Politica dello Sviluppo. Specializzata in sviluppo industriale, studi sulla globalizzazione e gender.