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La vittoria di Putin, la sconfitta dell’Occidente

di Stefano Vernole* - 04/12/2007


Fino a tarda ora abbiamo assistito, domenica 2 dicembre, ai festeggiamenti dei tanti giovani scesi per le strade di Mosca a celebrare la vittoria del partito “Russia Unita”.
Già nella prima serata, le proiezioni di voto raccolte nel centro stampa della capitale avevano offerto un quadro chiaro dei risultati elettorali: il trionfo di Putin, capolista di “Russia Unita”, l’entrata in Parlamento di sole altre tre formazioni, quella comunista guidata da Zjuganov e le due nazionaliste capeggiate da Zhirinovskij e Mironov.

Esclusi dalla Duma, con percentuali bassissime, i due partiti liberali filo-occidentali di “Jabloko” e “Unione delle forze di destra”, entrambi sotto il 2%.
Il patrocinatore di “L’altra Russia”, Garry Kasparov, si è invece presentato alle urne mostrando davanti alle telecamere una scheda nulla, ma la successiva manifestazione di protesta da lui organizzata ha portato in piazza solo 8 persone.

La sua domanda di partecipare alle elezioni legislative era stata respinta dalla Commissione elettorale perché non conforme ai requisiti richiesti per i partiti o i movimenti politici russi.

La conferenza stampa tenuta la sera precedente il voto dal presidente della Commissione elettorale nazionale, era stata tutta incentrata sulle spiegazioni relative alla crisi con gli osservatori dell’OSCE e aveva offerto una versione che coincideva perfettamente con quella diffusa dal Cremlino: il rifiuto dell’OSCE di partecipare al monitoraggio era dovuto ad evidenti pressioni del Dipartimento di Stato americano.
Nessun problema si era infatti riscontrato nelle precedenti consultazioni dirette tenutesi tra i delegati russi e quelli europei, i visti erano stati preparati in tempo dal Ministero degli Esteri russo e uno degli osservatori era addirittura già arrivato a Mosca, per dover poi ripartire a causa del dietro-front imposto da Vienna.

Che la Russia, con il testa il presidente Vladimir Putin, abbia intenzione di distinguere i suoi partner internazionali, è confermato dal fatto che gli osservatori del Consiglio d’Europa sono stati accolti calorosamente e dall’intenzione del Cremlino d’inviare una lettera a tutti i deputati europei per spiegare le reali cause della rottura con l’OSCE.

La delegazione di giornalisti, avvocati, ricercatori universitari e deputati indipendenti europei ed arabi ammessa al monitoraggio, ha potuto verificare senza restrizioni le operazioni di voto in alcuni dei principali seggi di Mosca, scattare foto e intervistare i rappresentanti delle liste di opposizione (Comunisti e liberali innanzitutto) sulle eventualità irregolarità.
Da quello che si è potuto constatare, il processo di registrazione degli elettori è molto simile a quello italiano, mentre le modalità di voto avvengono in maniera meno formale rispetto a quanto accade nel nostro paese, ma non comportano alcuna pressione da parte degli scrutatori (quasi tutte donne).

Le scene più simpatiche hanno riguardato alcune donne anziane che si aiutavano reciprocamente nelle operazioni elettorali, senza curarsi di quanto trasparente potesse risultare la loro preferenza agli occhi degli estranei.
I seggi della capitale sono meno “colorati” di quelli allestiti nelle vaste regioni periferiche dell’immensa Russia, dove musica e palloncini si sprecano, tuttavia prevedono per i votanti la possibilità di acquistare cibo (soprattutto dolciumi) e prodotti tipici.
Le misure di sicurezza erano imponenti soprattutto nei pressi della Commissione elettorale e del Centro stampa, nel resto di Mosca invece non c’era particolare tensione e la Piazza Rossa domenica pomeriggio era affollata dai soliti passanti, dai turisti e dai giovani che cercavano di combattere il freddo pattinando tranquillamente di fronte al Cremlino.

Contrariamente a quanto ci aspettavamo non abbiamo nemmeno notato un’ “enorme” distesa di manifesti elettorali a favore di “Russia Unita”, la cui propaganda è stata affidata soprattutto alla televisione di Stato, protagonista di numerose interviste ad elettori filo-putiniani.
Tutt’altra musica, invece, sui media privati, ad esempio, le migliaia di copie del “Moscow Times” che facevano bella mostra negli alberghi internazionali della capitale russa, abbondavano di articoli dedicati agli oppositori dell’attuale presidente.

La controinformazione non ha comunque impedito a Vladimir Putin di raggiungere due importanti risultati: una partecipazione elettorale che, superando il 60%, è risultata maggiore di quella registratasi alle precedenti legislative, eliminare dalla Duma quei partiti che egli aveva definito “emanazioni delle ambasciate straniere”.
Tutti i movimenti rappresentati ora in Parlamento, se non perfettamente allineati alle posizioni del Cremlino specie per quanto riguarda la politica interna, ne condividono comunque l’azione di rilancio globale delle ambizioni russe, non solo in quello che viene definito “l’estero vicino” (cioè i paesi dell’ex Unione Sovietica).
Il secondo mandato Putin si è infatti contraddistinto per il lancio di una televisione dedicata al panorama internazionale, “Russia today”, le cui trasmissioni avvengono in tre lingue: russo, inglese ed arabo, segnale importante di quali siano i destinatari strategici individuati dalla comunicazione di Mosca.
Assieme alla politica di controllo statale delle compagnie energetiche, al rifiuto di ammettere le ONG che ricevono finanziamenti dall’estero, all’arresto degli oligarchi filo-occidentali per i quali si prevede ora una seconda ondata di repressione, l’azione geopolitica intrapresa dalla Russia negli ultimi anni mira a contrastare le velleità statunitensi in tutti i più importanti scenari internazionali, dal Caucaso all’Europa Orientale, dall’Iran alla Palestina fino ai Balcani.

I risultati di questa tornata elettorale, che verranno probabilmente replicati nelle prossime consultazioni presidenziali fissate per il 2 marzo 2008, non potranno che confermare questa tendenza.
Le proteste di Washington rimarranno inutili se non troveranno una sponda convinta anche nelle lamentele di Bruxelles; a questo proposito decisivi risulteranno i colloqui UE-Russia per il rinnovo del loro accordo strategico e fissati per il prossimo 10 dicembre, data che simboleggia significativamente la fine dei colloqui sul futuro status del Kosovo.

Su entrambe le questioni assisteremo probabilmente ad una spaccatura europea, stante le attuali dichiarazioni del presidente francese Nicolas Sarkozy, tra i primi a congratularsi con Putin (assieme al governo cinese) per la vittoria del partito da lui capeggiato.

Queste ultime si spiegano con una certa resistenza che gli apparati burocratici e d’intelligence del Quai d’Orsay stanno opponendo alla troppo sfacciata volontà del loro ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, di spingere la Francia verso un deciso allineamento con l’imperialismo statunitense.

Nella convinzione che, se non si agisce in fretta, la Russia potrebbe presto stancarsi di ricevere paternali e lezioni di democrazia da un Occidente che non possiede l’autorità morale per darne, e sviluppare sempre più la sua vocazione asiatica, ben avviata attraverso le relazioni che ha stretto nell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai.