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Paesaggio e memoria

di Angelo Marino - 05/12/2007

 

 

                                                 

 

Il 9 novembre 2007 c’è stato un incontro su questo tema al palazzo Bomben di Treviso. L’incontro, organizzato dall’Associazione Eco-filosofica e dall’Associazione per la Decrescita Sostenibile, in collaborazione con la Fondazione Benetton Studi Ricerche, ha avuto come protagonisti due figure di punta del paesaggismo italiano: Luisa Bonesio, docente di Estetica nell’Università di Pavia e di Geofilosofia in vari corsi di formazione e di specializzazione e Domenico Luciani, architetto, paesaggista e direttore della stessa Fondazione. Entrambi i relatori hanno dato alcuni dei contributi più rilevanti allo studio dei rapporti fra cultura e ambiente.

Luisa Bonesio - Tra i suoi scritti principali: La terra invisibile; Geofilosofia del paesaggio; Passaggi al bosco; Oltre il paesaggio. I luoghi tra estetica e geofilosofia; Lapidario, Breviario di meditazione alpestre; Appartenenza e località: l'uomo e il territorio; Orizzonti della geofilosofia; Terra e luoghi nell'epoca della mondializzazione. La Bonesio è anche curatrice e coautrice di numerosi altri saggi. Il suo ultimo libro, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale (Diabasis, Reggio E. 2007), traccia un quadro tra i più aggiornati, approfonditi e articolati della letteratura paesaggistica contemporanea.

Luisa Bonesio è anche responsabile scientifica dell’annuale manifestazione “Paesaggi: luoghi dell’anima”, per il Comune di Pavia. Dal 18 al 27 maggio di quest’anno, Pavia ha ospitato il “Festival Paesaggi 2007”, dedicato al tema del paesaggio urbano.

Domenico Luciani - Architetto, urbanista e paesaggista, dirige fin dalla sua origine (1987) la Fondazione Benetton Studi Ricerche. Ha curato, tra gli altri volumi, Il governo del paesaggio e del giardino/Garten Landschaft Wahlverwandtschaften. Itinerario nell’area germanica, 1993; Scandinavia. Luoghi, figure, gesti di una civiltà del paesaggio, 1998 (con Luigi Latini), Premio Hanbury 1998; Luoghi, forma e vita di giardini e di paesaggi, 2001, Premio Hanbury 2001. Ha pubblicato saggi e articoli in varie riviste italiane e straniere, e in numerosi atti dei convegni ai quali ha partecipato.

Questa tavola rotonda s’inquadra in un grande progetto, di cui Domenico Luciani è stato ed è l’infaticabile animatore: quello di istituire a Treviso un’Università del paesaggio e di promuovere Treviso a “Città del paesaggio”. La fitta rete di iniziative della Fondazione Studi Ricerche, che mettono in dialogo un sistema articolato e interrelato di discipline e di competenze sociali e professionali, persegue anche la finalità di contribuire a elevare e diffondere la cultura di “governo del paesaggio”.

La candidatura di Treviso a ospitare l’Università del Paesaggio ed a farsi crogiolo di iniziative a difesa del suo genius loci trova nella storia, nella geografia, nelle condizioni attuali del suo territorio, una sua peculiare ragion d’essere. Ma crediamo che anche sotto altri profili Treviso abbia le credenziali, forse più di ogni altra città del nord-est italiano, per avanzare questa candidatura: essa, per usare le parole della Bonesio, è “ciò che vuole” il luogo, ciò che suggerisce la memoria inscritta in un territorio ricco di memoria storica, ma dove si sono da tempo insediati, senza incontrare significative resistenze, “la logica deterministica del macchinismo industriale” e “il devastante processo di delocalizzazione provocato dalla globalizzazione”.Treviso, coinvolta nella secolare vicenda della “rivoluzione industriale”, necessita quindi di un’istituzione culturale di salvaguardia dei luoghi e di elevazione culturale della popolazione che faccia da argine a questo processo dissolutivo delle sue memorie storiche – come mostra il vasto catalogo di luoghi feriti e degradati dentro e fuori le sue mura –, ma anche da presupposto per ancorare il suo futuro “in un sapere storico che è interpretazione, traccia e selezione del passato” (Bonesio).

Creare a questo fine uno statuto scientifico e un curriculum formativo è coronare un lavoro pluridecennale della stessa Fondazione, oltre che corrispondere ad un’esigenza largamente avvertita dalla popolazione locale. A questo proposito, scrive Luciani, “In questi ultimi anni si è delineata un’area di ricerca e di sperimentazione intorno al rapporto tra l’assetto dei luoghi e la qualità della vita delle persone e delle popolazioni che vi si sono insediate. Il concetto stesso di paesaggio ha subito una metamorfosi. Da quadro percepito, in particolare con il parametro estetico della visione, il paesaggio si fa ambito spaziale, nel quale si addensano patrimoni di cultura e di memoria e si agitano tensioni modificatrici e domande individuali e sociali ineludibili” (dalla Presentazione di un convegno dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Treviso).

Anche la Bonesio condivide che è in atto un importante movimento di consapevolezza e riflessione volto a riscoprire l’esistenza di un nomos intrinseco ai luoghi, in grado di rimettere in discussione modalità ed effetti di una pianificazione orientata da criteri quantitativi e meramente funzionalistici, responsabile del diffuso degrado (geologico, ambientale, culturale) dei territori. Ancora la Bonesio: “Il territorio così pesantemente e ferreamente incatenato dalle maglie della tecnica e piegato senza riguardo agli imperativi dell’industrializzazione, negli ultimi due decenni del secolo scorso, almeno nei paesi più economicamente benestanti, comincia a ‘liberarsi’ da quella che aveva assunto i caratteri di una vera e propria occupazione da parte dello spirito tecnocratico vincente. È una svolta pressochè improvvisa, conseguente innanzitutto alla dislocazione in altri paesi delle attività industriali più pesanti e inquinanti, ma anche al movimento, sempre più diffuso, di un’opinione pubblica più sensibile alle tematiche della qualità abitativa e ambientale e alla ricerca di nuovi stili di abitare”. 

A questa crescita della sensibilità collettiva per le emergenze ambientali ed ecologiche si accompagna la consapevolezza della inscindibilità del rapporto tra qualità della vita delle persone e qualità della vita e della forma dei luoghi nei quali esse lavorano, apprendono, circolano e coltivano relazioni sociali e culturali; nonché, come sostiene Luciani, la consapevolezza dello stretto rapporto tra i luoghi naturali e le condizioni di mobilità sostenibile all’interno delle strutture esistenti.

La riappropriazione della memoria dei luoghi e le domande delle comunità residenziali di una migliore qualità della vita costituiscono il vero presupposto del cambiamento: un patrimonio ancora virtuale, che cerca spazi di visibilità, implicante nuovi stili di vita, nuove forme di aggregazione e di civilizzazione che non è più leggibile né valutabile né governabile all’interno delle discipline e delle professionalità così come oggi sono compartimentate.

Il paesaggio, secondo la Bonesio,  va dunque visto non più come rappresentazione astratta di luoghi, “come spettacolo artistico”, ma di luoghi concreti, storicamente e antropologicamente determinati; non come spazio disponibile per qualsiasi intervento, ma spazio simbolico della comunità insediata, in cui si sono sedimentate temporalità e intenzionalità, natura e cultura, vissuto e memoria; non come spazio ridotto alla mera funzionalità del transito e dell’informazione, ma come spazio vissuto e plasmato dalla presenza e dalla cura dell’uomo; non, infine, come spazio “liscio e glabro”, “mera estensione quantitativa e inerte” (la res extensa cartesiana), ma come organismo vivente, intersezione di territorio e comunità degli abitanti.

Quest’accezione di paesaggio da conservare e tramandare non riguarda soltanto gli spazi dotati di particolare importanza monumentale o fascinazione estetica –  “i punti di esemplarità appartenenti al museo immaginario della cultura: le colline toscane, le Dolomiti, la campagna romana, la laguna di Venezia, il golfo di Napoli…” (Bonesio) –, ma l’intero paesaggio naturale e antropizzato. Sul piano della vivibilità e sostenibilità  ecologica, questo concetto di spazio comprende l’intera biosfera e assume quindi rilevanza planetaria: come la società è sistema continuo di individui, così la biosfera è sistema continuo dei luoghi, tessuto di fili riconoscibili e riconducibili alla continuità del mondo naturale.

Tutto questo vuol dire che non si dà paesaggio senza memoria, ossia senza trasmissione di saperi, stili di vita e atti coerenti, anche se distribuiti in un arco temporale molto lungo.

Rispettare la tradizione non significa imbalsamare ed eternizzare il territorio in una configurazione definitiva. Per tradizione dobbiamo intendere, come scrive la Bonesio, un processo dinamico di selezione, valorizzazione, continuo adattamento della realtà territoriale nel mantenimento della sua differenzialità e riconoscibilità. In questa prospettiva “tradizione” e “innovazione”, ci ricorda ancora la Bonesio, non sono in insanabile contrasto: la continuità dello stile di una cultura si realizza attraverso innumerevoli atti di trasformazione, adattamento, riassetto. Questi concetti sono efficacemente sintetizzati da P.L. Cervellati nella formula “la tradizione è un’innovazione riuscita”.

Su un altro piano, conservazione, cura e trasmissione del paesaggio presuppongono un processo di elevazione e di crescita culturale al quale non può rimanere estranea la comunità stessa. Il suo coinvolgimento a tutti i livelli in questo processo virtuoso riveste un’importanza cruciale. Produrre e conservare la terriorialità è compito di tutti.

È per tutte queste ragioni che l’inserimento del pensiero riflessivo, più in generale della storia delle idee, nell’area culturale più interessata alla salvaguardia, alla valorizzazione e al governo delle trasformazioni dei paesaggi riveste un’importanza fondamentale.

Un contributo estremamente fecondo all’approfondimento del concetto di genius loci può venire, in primo luogo, dall’ermeneutica filosofica. L’ontologia ermeneutica rivela infatti, come chiarisce H. G. Gadamer nella nozione di “gioco”, possibilità di esperienza di verità nuove e inedite: l’uomo viene realmente modificato dagli incontri che fa, in prima istanza dall’incontro con i luoghi, i monumenti e le testimonianze del passato. In questa fondamentale esperienza, che anticipa e impronta di sé tutte le altre, l’uomo non è mero spettatore, ma si trova coinvolto in un colloquio fecondo con la tradizione.

Il pensiero ermeneutico ha contribuito, forse più di ogni altra corrente del pensiero post-moderno, a dissipare ogni dubbio circa la storicità dell’esistenza, costitutiva delle persone come dei luoghi: la storicità o temporalità non costituisce un limite, come ritenevano illuministi e  positivisti, ma è il fondamento stesso della conoscenza del mondo umano e della storia. È la premessa della comprensibilità e interpretabilità di tutto ciò in cui è inscritta la memoria delle persone e delle comunità, la condizione per conoscere e valutare il passato e per dare un senso al futuro. Questo dialogo fecondo con la tradizione, dove si realizza una “fusione di orizzonti”, secondo la bella espressione di Gadamer, delle generazioni fra di loro e tra loro e l’ambiente che li ospita, è un processo senza fine.