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Appropriazione indebita

di Vandana Shiwa - 06/12/2007

Vandana Shiva
Vandana Shiva
Di fronte al furto di risorse naturali e culturali della propria terra un governo dovrebbe denunciare l’illegalità dell’azione

Il fenomeno della biopirateria, sempre più diffuso, costituisce un attacco al nostro patrimonio vivente di biodiversità. Si tratta di un abuso nei confronti delle nostre conoscenze tradizionali in materia di agricoltura e medicina. La biopirateria incide sulla qualità della vita e sull’autosufficienza economica del paese perché una serie di beni di tutti diventano “proprietà intellettuale” di un’azienda, cui si devono poi pagare dei diritti di utilizzo.

Tra i doveri fondamentali di un governo ci sarebbe quello di proteggere le risorse naturali e l’eredità culturale delle nostre campagne, e impedire che queste vengano usurpate da interessi esteri di imprese commerciali. Sembra invece che il governo indiano si stia adoperando per legittimare il furto della tradizione e dei beni pubblici. Le sue evidenti e ripetute incapacità di opporsi alla biopirateria con gli strumenti legali e le nuove leggi sulla proprietà intellettuale previste dagli accordi Trips del Wto hanno spinto alcune associazioni a farsi interpreti diretti della volontà popolare per proteggere gli interessi nazionali e pubblici.

L’associazione Navdanja con la fondazione Rfste (Research foundation for science, technology and ecology) ha iniziato la lotta contro la biopirateria nel 1994. Nel corso della Neem campaign furono raccolte oltre un milione di firme contro la brevettatura dell’albero del neem. Fu inoltre lanciata una battaglia legale contro il ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti e l’azienda Wr Grace per il brevetto sulle proprietà funghicide del neem depositato presso l’Ufficio europeo dei brevetti di Monaco, in Germania.

Insieme alla Rfste si schierarono la tedesca International federation of organic agriculture movements (Ifoam) e Magda Alvoet, ex deputato verde al Parlamento europeo. Il brevetto sul neem fu ritirato nel maggio 2000, ritiro confermato l’8 marzo 2005, quando l’Ufficio brevetti europeo pose definitivamente fine alla questione decretando che non c’era alcun elemento di inventiva nel brevetto sulla sostanza funghicida, confermando così la «precedente pratica» sull’uso del neem.

Un’altra campagna, questa volta contro la biopirateria del riso Basmati da parte della compagnia statunitense RiceTec, fu lanciata da Navdanya nel 1998. Anche in questo caso la querelle si risolse con una vittoria: il 14 agosto 2001 lo United States patent and trademark office (Uspto) revocò un’ampia sezione del brevetto della RiceTec, con note che riguardavano le caratteristiche fondamentali del seme e della pianta, tra cui altezza, dimensione dei grani, aroma e altre qualità tipiche delle nostre varietà tradizionali di riso Basmati.

Furono inoltre rilevate diverse affermazioni mendaci sull’originalità di alcuni metodi di coltivazione, che di fatto erano conquiste dei nostri contadini e scienziati. Delle venti affermazioni di proprietà presenti nel testo di registrazione del brevetto ne furono riconosciute soltanto tre.

Un’altra importante vittoria di Navdanya contro la biopirateria risale all’ottobre 2004, quando fu revocato il brevetto registrato da Monsanto su una varietà indiana di grano detta Nap Hal. Monsanto, la più grande ditta mondiale di sementi, aveva registrato il brevetto sul grano il 21 maggio 2003. Il 27 gennaio 2004 la Research foundation for science technology and ecology, insieme a Greenpeace e Bharat Krishhak Samaj, aveva già presentato una petizione all’Ufficio brevetti europeo di Monaco contro i diritti concessi sul Nap Hal.

Ma il governo indiano, a dispetto di questi successi, non sta facendo la sua parte. Invece di opporsi al brevetto Monsanto sul Nap Hal nei paesi extraeuropei si nasconde dietro fragilissime scuse come il fatto che, poiché non copre il suolo indiano, non ha un impatto diretto sul territorio nazionale e dunque non ha senso combatterlo. Di fatto però, di fronte all’appropriazione indebita di risorse naturali e culturali della propria terra e della propria tradizione, un governo deve comunque rivendicare l’illegalità dell’azione per sancire uno dei principi fondamentali della legalità: il furto non è ammesso. Noi ci abbiamo provato con i nostri ricorsi presso l’Ufficio europeo dei brevetti. Ora spetta al governo indiano fare la sua parte.