Il fenomeno del religioso nelle analisi di Mircea Eliade
di Corrado Marchi - 28/12/2005
Fonte: www.corradomarchi.it
Mircea Eliade è uno degli storici delle religioni fra i più interessanti del nostro secolo: suo pregio è sicuramente quello di essere uscito da un’analisi del fatti religiosi di ogni epoca per instaurare un confronto con l’uomo contemporaneo.
Eliade nacque a Bucarest nel 1907. si laureò nella sua città natale con una tesi sulla filosofia italiana del Rinascimento: per questo motivo si era recato in Italia, a Roma. Scopo di questo suo lavoro era quello di interpretare l’Ermetismo del rinascimento come reazione al razionalismo medioevale e di evidenziare che il pensiero di questo periodo è proteso alla ricerca di una rivelazione primordiale, superiore al pensiero greco ed ebraico[1]. Poi si trasferì in India per studiare il sanscrito e la filosofia indiana dal 1928 al 1932; in seguito addetto culturale presso l’ambasciata rumena a Londra nel 1940 e a Lisbona negli anni 1941 – 45. Giunse esule a Parigi nel settembre del ’45 e ivi rimase fino al ’57. Fu durante questo soggiorno francese che pubblicò le sue opere principali, fra le quali sono da segnalare il Trattato di storia delle religioni (1949) e Il mito dell’eterno ritorno (1949); tenne in questo periodo parecchie conferenze all’École des Haute Études e in altri posti; conobbe i maggiori esponenti della cultura europea quali Papini, Jung, Croce, p. Teilhard de Chardin. Dal 1957 insegna storia delle religioni a Chicago. Appartengono a quest’ultimo periodo Mefistofele e l’androgino (1962), Il sacro e il profano (1965), La nostalgia delle origini (1971). A lui si devono anche alcuni romanzi, non egualmente fortunati come le sue pubblicazioni scientifiche: sono i primi opere nelle quali ha profuso parte della sua personalità, in cui i protagonisti vivono esperienze dominate dagli archetipi propri dell’essere umano di ogni epoca.
Gli studi storico – religiosi di Eliade hanno come oggetto i popoli primitivi. questo interesse è dettato da una duplice convinzione; che l’uomo religioso di ogni epoca coincide con l’uomo arcaico (in questo progetto si potrebbe criticare una eccessiva limitazione degli elementi presi in considerazione per comprendere l’uomo moderno) e che conseguentemente le strutture psichiche umane permangono in ogni epoca. “L’uomo areligioso discende dall’homo religiosus e, lo voglia o no, è anch’egli opera sua, ha preso forme partendodalle situazioni assunte dai suoi antenati[2].
Il nocciolo dell’atteggiamento religioso dell’uomo arcaico e quindi di tutta la sua personalità, perché per lui l’atteggiamento religioso è totalizzante la sua esperienza esistenziale, M. E. lo fa consistere nel ‘sacro’. È un elemento, quello del sacro, già presente negli studi di Schleiermacher e di R. Otto; ma diversamente dal primo, che pone l’accento sulla sua intuibilità meramente sentimentale, e del secondo, che invece sottolinea il carattere di totale alterità e di irrazionalità, Eliade evidenzia il carattere di globalità nei confronti dell’esperienza umana, di onticità, che il sacro riveste (ossia di vera realtà, di fondamento di ogni agire umano). Introduce infatti l’opera Il sacro e il profano secondo queste parole:
Dopo quarant’anni, le analisi di Otto conservano intatto il loro valore; gioverà al lettore leggerle e meditarle. Ma, nelle pagine che seguono, noi ci poniamo in una diversa prospettiva. vorremmo presentare il fenomeno sacro in tutta la sua complessità e non soltanto in ciò che di razionale esso comporta. Non si interessa il rapporto fra gli elementi non – razionali e quelli razionali della religione, bensì il sacro nella sua totalità.
Possiamo invece dire che M. E. si avvicina molto alla posizione di van der Leeuw subendo da questi un influsso diretto. si deduce ciò proprio dal fatto che giudica atemporale la mentalità umana; basti considerare il fatto che van der Leeuw definisce la ‘mentalità primitiva’ come “una determinata struttura dello spirito umano, che noi chiamiamo primitive perché nei popoli primitivi è molto chiara, ma di cui anche noi siamo partecipi, in contrasto con un’altra struttura che chiamiamo moderna perché essa è più evidente nella vita sociale moderna, sebbene ne partecipino anche i primitivi”[3].
In questo senso è opportuno analizzare come Eliade interpreti il sacro presso i popoli primitivi per comprendere come egli intendo l’esperienza religiosa dell’uomo moderno.
Il pensiero di Eliade si presta ad una duplice interpretazione: da un lato quella di chi vi vede una riscoperta del sacro anche nella vita contemporanea, dall’altro quella di chi invece – come Altizer – legge questo in chiave secolarizzante.
IL SACRO
Definizione di sacro
Non è facilmente definibile, rifacendosi alla concezione del nostro autore, il concetto di sacro in quanto si tratta di un termine con valore operativo, di valore esistenziale e non di un elemento di una speculazione meramente razionale. Incominceremo, dietro indicazione del nostro autore[4], le nostre riflessioni partendo dal presupposto che il sacro è solo uno dei due termini di un rapporto dialettico di cui l’antitesi è costituita dal profano, antitesi sempre presente nell’esperienza quotidiana dell’uomo primitivo e tuttora ricorrente nella coscienza di ogni individuo. Il sacro presenta per le culture arcaiche ciò che costituisce il fondamento di ogni tipo di realtà, a tal segno da essere considerato la vera realtà; a questo punto allora l’alternativa, il profano, coincide con l’irreale, con la presenza di reale: sia esso in senso ontologico, con il non esistente; sia in senso solamente esistenziale, come il caos, il non ordine[5].
Nel nostro tentativo di mettere a fuoco la concezione del fenomeno religioso propria di M. Eliade è opportuno riprendere quanto appena accennato nell’introduzione circa la permanenza del sacro al di là degli sviluppi della storia. Questa tesi poggia sul fatto che l’uomo è naturalmente portato a vivere in un cosmo ordinato; il processo dialettico (sacro / profano) è costituito dall’imitazione di modelli soprannaturali[6]. Questo processo è strutturalmente proprio di ogni epoca e di ogni cultura:
Dai più antichi documenti religiosi relativi al Cristianesimo ed all’Islamismo, l’imitatio Dei come norma direttiva dell’umana esistenza, non fu mai interrotta e, di fatto, non sarebbe potuto essere diversamente.[7]
Le manifestazioni del sacro
La realtà ontologica, fondamento di ogni realtà compresa nell’orizzonte umanasi manifesta in certi momenti all’uomo, e questi si accorge subito che si tratta di qualcosa di totalmente diverso da ciò che costituisce il suo mondo. E. chiama questa manifestazione ierofania. Questo termine “non esprime niente di più di quanto è intrinseco al suo contenuto etimologico, vale a dire che qualcosa di sacro si manifesta”[8]. Le ierofanie svelano parte della sacralità, ma nel contempo coprono con un mistero più profondo. È il mistero della cosa naturale, di qualsiasi cosa naturale[9], oggetto di esperienza umana che ad un certo punto diventa manifestazione, presenza del sacro; essa continua a mantenere integri i suoi attributi naturali eppure il suo valore risiede in altro da ciò che è la sua presenza originaria. Ogni tipo di religiosità è costituita da ierofanie; dalla ierofania delle pietre sacre fino alla teofania di Gesù Cristo.
La considerazione immediata che emerge è a favore di una rivalutazione del pensiero primitivo: è da superare infatti un’immagine della religiosità primitiva intesa come infantile adorazione di oggetti inanimati o di elementi della natura fine a se stessa. Ciò che l’uomo arcaico adorava era il segno di una realtà diversa e più profonda. Certamente è essenziale prendere in considerazione l’osservazione sempre del nostro autore ce ritiene che “le ierofanie … costituiscono un linguaggio pre – riflessivo che richiede una speciale ermeneutica”[10].
Lo spazio sacro
Definizione di spazio sacro
L’analisi del sacro che E. svolge nell’opera paradigmatica su questo argomento, Il sacro e il profano, si svolge in tre dimensioni parallele: “lo spazio e la sacralizzazione del mondo”, “il Tempo sacro e i miti” e “la sacralità della natura e la religione cosmica”. Noi affrontiamo l’argomento in due momenti: le considerazioni intorno alla sacralità dello spazio e quelle intorno alla sacralità del tempo in quanto ci sembrano esaustive ed esemplificative di quanto detto sopra riguardo al sacro. In un secondo momento ci serviranno come spunto per trattare l’argomento della concezione della storia e della libertà umana.
Innanzitutto bisogna premettere che il discorso sullo spazio sacro è simile a quello sul sacro in generale 8visto nel capitolo precedente) e che pertanto saremo molto sintetici nell’esposizione. Anche qua bisogna riscontrare la presenza di una dialettica fra i due tipi di sacro: spazio sacro e spazio profano. Il primo è lo spazio dove l’uomo vive, che non coincide però con quello della concezione moderna: lo spazio vitale deve essere per l’uomo primitivo quello voluto dagli dei, indicato da essi con una rivelazione[11], oppure istituito, fondato con la ripetizione del mito e la creazione del mondo cosmogonie), con la riattualizzazione cioè di quel gesto o vicenda con cui Dio e gli dei generarono dal caos primordiale tutte le cose. Lo spazio profano invece è lo spazio precedente la fondazione dell’universo, oppure quello abitato dai mostri, posto oltre i confini entro i quali accadono le vicende di un certo clan e di una certa civiltà.
Noi assistiamo ad una fondazione dello spazio in occasione della costruzione della città, come dei templi, come delle abitazioni civili: ogni volta che in India edificavano qualcosa, veniva interpellato l’astrologo, il quale indicava quel luogo che egli giudicava si trovasse sopra il punto ove il serpente primordiale sorreggeva il mondo: il muratore tagliava un piolo di legno e lo infossava in quel punto per trafiggere la testa del serpente. L’uccisione del mostro simboleggia l’eliminazione del caos, dell’ignoto, dell’indeterminato, di uno stato eguale a quello precedente la creazione. Esempio tipico di un dualismo fra i tipi di spazio è costituito dal simbolismo della soglia: la soglia di una città, di un tempio, di una casa era il punto di passaggio che immetteva in uno spazio sacro.
I livelli cosmici sono tre: Terra, Cielo, Inferi. Nel punto in cui avviene una ierofania, accade una rottura di livello che consente un contatto tra i mondi cosmici[12].
Il tema simbolico del centro del mondo
L’ordine cosmico è tale in quanto esiste un certo luogo che sia punto di riferimento: il centro dell’ordine, il centro del cosmo e quindi del mondo. È il punto in cui – come dicevamo al temine del paragrafo precedente – avviene la rottura di livello e in cui fa irruzione il sacro.
Mircea Eliade caratterizza il simbolismo del centro con tre articolazioni complementari, ma insieme solidali:
1° al centro del mondo si trova la ‘Montagna Sacra’, è qui che si incontrano Cielo e Terra; 2° ogni tempio e palazzo e, per estensione, ogni città sacra e ogni residenza reale sono assimilate a una ‘Montagna Sacra’ e così è promosso a centro; 3° a loro volta il tempio e la città sacra, essendo luogo per il quale passa l’Axis mundi, sono considerati come il punto di congiunzione fra Cielo, Terra e Inferno[13].
Il tema del centro del mondo, tanto per esemplificare, è il tema ricorrente in storia delle religioni nell’immagine dell’ombelico del mondo, come è la biblica Gerusalemme, come è la concezione di molta letteratura cristiana del monte Calvario, sul quale Adamo fu creato e dove fu sepolto e sul quale fu versato il sangue di Cristo che colò fino a bagnare il teschio del comune progenitore, come è l’immagine dell’Axis mundi: visto dai primitivi in un pilastro, in un albero, in una liana …
È fuori di luogo parsi il problema di come si possa conciliare l’esistenza di più centri del mondo in quello che era l’orizzonte dell’uomo primitivo perché non si tratta di una concezione scientifica, bensì di un’esperienza vitale; “è futile proclamare, a proposito della credenza di tanti ‘primitivi’, che il loro villaggio e la loro casa si trova al centro del Mondo. Soltanto nella misura in cui si accetta questa credenza e si comprende il simbolismo del Centro del Mondo e la suaa funzione nella vita della società arcaica, si arriva a scoprire le dimensioni i un’esistenza che si costituisce in quanto tale proprio per il fatto che essa si considera il Centro del Mondo”[14].
Per completezza i questa fenomenologia intorno all’ordine universale dobbiamo aggiungere un breve corollario: la tematica del centro del mondo tende a restringersi sempre più e ad allontanarsi dall’esperienza esistenziale mano a mano che la civiltà progredisce: assistiamo così all’affermarsi di figure di eroi che penetrano da soli fino al Centro
le nozioni di merito, di coraggio, di personalità potente,di prove iniziatiche ecc. giocano un ruolo di importanza crescente e sono nutrite e servite dal credito sempre più evidente che è accordato alla magia e alle idea di personalità[15].
Valore esistenziale
L’esperienza del sacro così come viene tratteggiata in questo capitolo prendendo in considerazione le ricerche di Eliade, non è stata per le culture arcaiche solamente una elaborazione astratta, avulsa dalla realtà quotidiana o frutto solo della ricerca di un’élite culturale. Si tratta piuttosto di un’esperienza che è radicata nel più profondo della coscienza umana e nella coscienza del gruppo: è su questa esperienza che si fonda addirittura la singola personalità e la vita della collettività. Credo infatti che il nostro autore vede l’origine di questa “sete di essere£ nella paura angosciosa dei primitivi di fronte al caos, all’ignoto, al mistero; è esemplare il fatto che alla base di ogni fondazione di città o di edificio in molte civiltà venga ripetuta una cosmogonia che sta alla base di ogni gesto principale della vita del singolo e delle società[16].
È egualmente esemplare il fatto che la colonizzazione dei territori nelle civiltà arcaiche equivalga ad una creazione di quei territori: organizzando uno spazio anche qui si ripete l’opera degli dei.
Il valore esistenziale è comprovato altresì dal fatto che “installarsi in un territorio, costruire un’abitazione, richiede una decisione vitale sia per l’intera comunità, sia per il singolo individuo. Poiché si tratta di assumere la creazione del ‘mondo’ che si è scelto di abitare”[17].
Al giorno d’oggi la situazione è completamente diversa: non esiste alcuna differenza di qualità di spazio: fin dove lo sguardo dell’uomo moderno riesce a estendersi con i suoi potenti mezzi tutta la realtà appare uniforme: il cosmo ha perso ogni valore di sacralità.
La casa non ha più alcun valore esistenziale, è solo funzionale al mantenimento dell’individuo ai fini di una produzione industriale (città – dormitorio, ..); i viaggi sempre più veloci hanno ravvicinato i punti più lontani della terra; la ricerca del posto di lavoro e la mobilità della mano d’opera costringono gli uomini del XX secolo ad uno scambio di residenza continuo: non esiste un centro. Ciò nonostante credo che la lezione che sta dietro le precedenti considerazioni sull’uomo primitivo sia egualmente attuale: anche nella nostra civiltà l’individuo è alla ricerca di un mondo puro e perfetto come gli uomini primitivi vedevano il mondo originariamente creato dagli dei, anche nell’uomo il mondo originariamente creato dagli dei, anche nell’uomo del XX secolo è presente la nostalgia delle origini dell’universo e della sua particolare esistenza[18].
Il tempo sacro
Definizione
La tipologia della concezione sacrale del tempo del primitivo si pone in quella dialettica sacro / profano già ampiamente affrontata nei due capitoli precedenti: troviamo infatti un tempo sacro contrapposto ad uno profano: il primo è costituito dalle feste, dalla ripetizione attualizzante dei miti, dalla partecipazione – in conclusione – con la realtà vera, ontologica; il secondo invece è il normale scorrere del tempo costituito dagli avvenimenti non religiosi.
È data all’uomo la possibilità di passare da una forma all’altra di tempo in quanto “il Tempo sacro è reversibile per natura”[19], può essere evocato dall’uomo mediante riti, fermando così periodicamente il fluire del tempo profano. Eliade lo definisce come “Tempo ontologico, ‘parmenideo’: sempre eguale a se stesso, non muta, né si esaurisce”[20].
La restaurazione del tempo mitico e il conseguente dell’esistenza avviene in vario modo; classifichiamo quattro modalità diverse di questo processo che ci sembra di ravvisare nel pensiero di Eliade:
ripetizione annuale (della cosmogonia) in coincidenza dell’inizio del nuovo anno; | |
ripetizione non periodica della cosmogonia, in occasione di conquiste di territori, incoronazione di nuovi re, costruzione di un altare, di un tempio; | |
ripetizione periodica di una rottura di livello sul Grande Tempo (per esempio nel folclore europeo la maledizione su un castello od una città si ripete ogni anno, oppure ogni sette o nove anni: tutto per una notte ritorna come prima); | |
la rigenerazione totale dell’universo, il ritorno al caos e la ricostruzione del mondo, attraverso il fuoco o il diluvio od altro cataclisma, riscontrabile anche nel pensiero occidentale (da Empedocle a Nietzsche)[21]. |
Il tempo nella visione arcaica non è chiaramente distinto dallo spazio come nella visione dell’uomo delle civiltà posteriori: l’uno è simbolo dell’altro e reciprocamente. Infatti in molte popolazioni del Nord – america esiste una sola parola per esprimere il concetto di mondo, cosmo, terra e quello di anno: il mondo è da essi concepito come un organismo vivente che rinasce all’inizio di ogni nuovo anno. In India l’altare è simbolizzante l’intero cosmo; riporto un brano come esempio esaustivo del fenomeno:
Orbene, i testi dicono pure che “l’altare del fuoco è l’Anno”, spiegando in tal modo il suo simbolismo temporale: i 360 mattoni del recinto corrispondono alle 360 notti dell’anno, e i 360 mattoni yaiusmati ai 360 giorni (Sata – patha – brahmana, X, 5, IV, 10 ecc.). In altre parole, ogni volta che si costruisce un altare di fuoco, non solo si ripete il Mondo, ma si ‘costruisce l’Anno’, si rigenera il tempo ricreandolo. Inoltre l’anno è paragonato a Prajapati, il dio cosmico; di conseguenza, ogni nuovo altare dà una nuova vita a Prajapati, cioè fortifica la santità del Mondo. Non si tratta di tempo profano, di una semplice durata temporale, si tratta della santificazione del Tempo cosmico. Innalzare un altare di fuoco significa volere la santificazione del Mondo, quindi il suo inserimento in un Tempo sacro[22].
Il mito
Come abbiamo visto il mito è il modo con il quale l’uomo delle culture a livello etnico entra in contatto con la realtà divina, ontologicamente fondante ogni tipo di realtà umana. È mitico ogni atto che è svolto su modello di un evento originario. Ciò che per Eliade rientra nel concetto di mito riguarda una serie ampia di momenti: narrazione orale, riti, atti e gesti; tutto ciò che ha riferimento con l’illo tempore.
Questa rinascita ovviamente ha valore anche nella vita dell’individuo e della società; anzi la modalità di pensiero sopra esposta ha la sua ragion d’essere proprio nella sete di perfezione tipica dei nostri lontani progenitori e ancora operante in noi. Come esempio di ciò porto il fatto che per gli Ebrei la festa dei Tabernacoli ( = nuovo anno) segue di cinque giorni il cerimoniale del capro espiatorio ( = espulsione dei peccati di tutto il popolo d’Israele fuori dall’accampamento).
Il tema della rigenerazione periodica –aggiungo per inciso – non è proprio delle culture agricole, ma si può far risalire al periodo nomade, nel quale era presente una religiosità di tipo materiale[23].
Valore esistenziale dell’esperienza del mito
Oltre all’esperienza della rigenerazione, illustrato nel paragrafo precedente, si possono portare altre argomentazioni per dimostrare che l’esperienza della sacralità del tempo (come di quella dello spazio) abbraccia le tappe fondamentali dell’esistenza umana.
Ci tengo qui a sottolineare che è l’evento mitico che rende possibile la durata profana di eventi storici: in molte cosmogonie sono gli dei che insegnano i modi di produzione di beni di consumo e che in illo tempore hanno fornito anche gli attrezzi di lavoro. riguardo ad un evento così importante per la vita di un individuo come è il matrimonio elide dice: “I riti matrimoniale hanno nach’essi un modello divino e il matrimonio riproduce la ierogamia, più precisamente l’unione fra il Cielo e la Terra”[24]. L’unione sessuale assicura poi la fecondità della terra: da qui l’usanza frequente fino al secolo scorso al Nord e al centrodell’Europa di unirsi (simbolicamente) sulla terra appena fecondata[25].
Nel capitolo seguente avremo modo di considerare il valore consolatorio degli archetipi.
Tempo e storia
Per i popoli primitivi come per molte cosiddette ‘alte culture’ e ‘grandi civiltà’ la concezione della storia è senz’altro pessimistica. la storia coincide infatti con il tempo profano: solo il tempo dei primordi, il tempo degli dei è il tempo della legge, dell’ordine universale; la storia era accettata solo perché inevitabile oppure perché dovuta a una colpa umana (infatti l’infrazione ad una legge significa l’infrazione dell’ordine cosmico) oppure perché avviene in base all’archetipo di un Dio che soffre e muore (questo nell’area mediterranea – mesopotamica).
Ciò che caratterizza questa forma di pessimismo radicale è la concezione di una ciclicità che costituisce la visione sulla storia, propria dei primitivi e non solo dei primitivi: la storia non ‘marcia’ verso alcuna mèta; è esclusa qualsiasi forma di progresso, tutto – in alcune visioni – ricomincerà da capo.
Questa concezione primordiale del tempo è propria anche di grandi civiltà e di elevate elaborazioni culturali. la dottrina dei cieli cosmici è stata alla base della spiritualità indiana; costituisce la concezione della storia propria del pensiero greco ed è un tema ricorrente in tutta la storia della filosofia occidentale. Basti pensare, all’interno del ciclo di pensiero greco, a Eraclito e la conflagrazione universale; alla conflagrazione (ekpurýsij) che per gli Stoici pone fine al ciclo cosmico per poi permettere al mondo di rinascere dalle sue ceneri per ripetere esattamente le proprie vicende come nel ciclo precedente. Nelle popolazioni agricole europee Eliade vi scorge oggi la permanenza di un substrato di antistoricismo costituito dalle teorie astrali ecc.
Interessante ed esplicativo dei rapporti fra visione ciclica e visione lineare è il pensiero di Nietzsche. Egli riprende la dottrina di Eraclito come dei Pitagorici, usandola in polemica antistoricistica: questo per negare valore al progresso e sottolineare invece l’unicità e l’importnaza di ogni singolo momento, nella prospettiva dell’ultra – uomo, per cui “la mèta dell’umanità non può trovarsi alla fine, ma nei suoi più alti esemplari”[26]. Questo è stato visto da Nietzsche in polemica anticristiana. È infatti nella tradizione giudeo – cristiana che la concezione lineare della storia trova la sua più perfetta formulazione. Anche per gli Ebrei ogni calamità è vista come conseguente a una mancanza nei confronti di Dio, ma per la prima volta si vede affermare l’idea che gli avvenimenti storici hanno valore in se stessi. È una rivelazione, quella del Dio della Bibbia, non avvenuta nel tempo mitico e non rimandante ad esso, ma aperta interamente sul futuro in un progresso culminante nella venuta del Messia; si po’ definire per questo la religione ebraica come una religione capovolta, dove ciò che in ogni religione costituisce l’inizio (la presenza del fondatore) per l’ebreo è invece il punto di arrivo.
Il cristianesimo sposa in pieno questa concezione rimandando l’oggetto dell’attesa alla seconda venuta del Cristo; il cristianesimo opera un recupero del significato della storia fin nella materialità delle cose attraverso la dottrina dell’Incarnazione; tutta la storia è redenta e trasfigurata nel momento in cui Dio decide di insediarsi in essa tramite Gesù Cristo.
Anche Eliade è contrario ad ogni atteggiamento storicistico perché scorge in esso latente un rifiuto della natura umana e della cultura popolare e una falsa affermazione di autonomia da parte dell’uomo. Eliade giudica falsa la libertà promessa da una concezione storicista della realtà come potrebbe essere il marxismo piuttosto che l’esistenzialismo, perché in realtà si tratta di una violenza contro l’individuo in quanto il mondo in cui viviamo è frutto di ciò che la storia ha accumulato nel passato e che oggi si manifesta in modo nuovo, quindi come altro rispetto al passato: la presunzione di creatività di un individuo o di un gruppo è violenza contro le masse e la cultura popolare, che sono invece il vero frutto della storia. Oltretutto anche l’uomo primitivo ha la possibilità di essere creativo, anzi:
l’uomo arcaico è sicuramente in diritto di considerarsi maggiormente creatore rispetto all’uomo moderno, il quale non si definisce creatore della storia; ciascun uomo, in effetti, prende parte alla ripetizione della cosmogonia, l’atto creatore per eccellenza[27].
Alla base della concezione del nostro Autore esiste l’immagine di un uomo ‘pacificato’con tutto l’universo, il quale vive dentro a schemi e a ritmi che non sono stati creati da lui e dal suo gruppo o che comunque non può manipolare a suo piacimento. Ma a questo punto ci siamo affacciati sul discorso della fede. la dimensione religiosa è l’unica soluzione per poter abbandonare “l’orizzonte degli archetipi e della ripetizione” senza sfociare nella disperazione (esistenzialismo) o in una dittatura (marxismo)[28]; insomma in una angoscia di fronte a una concezione lineare del progresso. Soltanto così la sofferenza individuale acquista valore, solo nel momento in cui la vita umana non si esaurisce nella dimensione terrena; la motivazione di una presa di coscienza e di una unità di classe non giustifica le sofferenze di miliardi di persone, se dietro non ci sta nulla.
In una prospettiva di fede, inoltre, l’uomo diventa realmente libero, perché ha la possibilità di intervento persino nello statuto ontologico dell’universo. In questa dimensione si può superare la concezione del tempo pur non perdendo la vera libertà e la comunione con l’universo che essa portava con sé.
Il fatto religioso nelle analisi di M. Eliade
Abbiamo visto che il nocciolo del problema religioso è costituito dal fatto del ‘sacro’ (ampiamente descritto nelle pagine precedenti); abbiamo anche visto che il sacro (ampiamente descritto nelle pagine precedenti); abbiamo visto che il sacro esiste in relazione ad una realtà extra – umana e che “qualcosa di sacro si manifesta”[29] all’uomo (le ierofanie); abbiamo altresì considerato che cosa esso non è facilmente coglibile nella molteplicità nella molteplicità degli aspetti della vita, e perché è solo un termine di un rapporto dialettico: è la presenza dell’antitesi (il profano) che permette di tratteggiare i confini della sacralità. M: Eliade è perfettamente cosciente di questa difficoltà e ritiene impossibile una definizione della religione che non sia una descrizione dei momenti in cui questa dialettica si esprime[30];
Su una cosa Eliade è certo: la irriducibilità del fenomeno religioso a qualcosa d’altro. Inizia il suo Trattato di storia delle religioni con un bel paragone preso da Henri Poincaré: se noi dovessimo studiare un elefante al microscopio, sicuramente scopriremmo che esso è un animale pluricellulare e conosceremmo la sua natura vista sotto una specifica angolatura, ma non coglieremmo la sua adeguata immagine come con lo sguardo umano. È una questione di scale. E conclude l’esempio dicendo: “un fenomeno religioso non si rivelerà come tale che alla condizione di essere appreso nella sua propria modalità, ossia quello di essere studiato con la scala religiosa”[31]. A questo riguardo E. non esclude che si possa arrivare a cogliere qualcosa d originario e di irriducibile, al di là del fatto che il ‘religioso’ si manifesti attraverso modalità proprie del campo sociale e del campo psicologico, a fattori del divenire storico e ai relativi condizionamenti[32]; al di là del fatto che – così ritiene Eliade[33] conformemente a quanto ormai pensano tutti gli storici delle religioni – il problema dell’origine della religione sia del tutto irrisolvibile.
Allora si può affermare che gli archetipi vengano considerati dal nostro autore come trascendentali. “Cioè – afferma I. P. Couliano – il suo operare non si riduce a constatare l’esistenza a posteriori delle strutture religiose, ma giunge all’inequivocabile conclusione che tali strutture rappresentano ‘fenomeni originari’ che informano la coscienza anziché da essa essere informati”[34].
Ciò che il nostro autore auspica è una considerazione del fenomeno religioso che sia rispettosa della sua complessità e della sua originalità; in questo senso “può essere affrontato utilmente sotto differenti angoli”[35]. Considerando questo giudizio, il metodo utilizzato dall’Eliade può definirsi veramente fenomenologico, perché consiste nel cogliere ciò che il ‘fenomeno’ manifesta all’osservatore.
Ritengo che lo spirito che ha spinto l’Autore che stimo analizzando a scrivere le sue opere sulle religioni sia il desiderio di mostrare l’identità fra l’homo arcaicus e l’homo religiosus; questo in polemica alla secolarizzazione, operata da varie filosofie storiciste in epoca moderna, che costringere la dimensione sacrale sempre più nell’intimo delle persone: un simile fenomeno non può eliminare del tutto questa dimensione, per di più il processo non sembra essere irreversibile. L’uomo “non può annullare il passato, essendone egli frutto”[36]: il ‘sacro’, in parole povere, allontanato dalla porta rientra dalla finestra. Si possono portare molti esempi di una mitologia presente in gesti apparentemente secolari: nelle feste di Capodanno, nell’entrata in una nuova casa … si può scorgere un rituale di rinnovamento, così come la nostra epoca vede il rifiorire di sette, di riesumazioni della magia o movimenti di rivolta vissuti in chiave mistica. Eliade scorge molte tematiche mitiche nella cinematografia:
quell’”officina di sogni” che è il cinema riprende ed impegna un gran numero di motivi mitici: la lotta tra l’Eroe e il Mostro, i combattimenti e le prove iniziatiche, le figure e le immagini esemplari (la ‘Fanciulla’, l’Eroe’, il passaggio paradisiaco, l’Inferno’ ecc.)”[37].
Anche la psicanalisi ha un valore di purificazione perché è un discendere in se stessi ad immagine della discesa agli inferi dell’Eroe[38]. Il marxismo è la continuazione del mito soteriologico del Giusto sofferente ( = il proletariato), del mito dell’Età dell’oro all’inizio e alla fine della storia ( = la società rivoluzionata) frammisti al cristianesimo ed al giudaesimo: fine della storia, lotta fra il bene e il male (la lotta di classe, oltre che caratteri economici, nel marxismo ha carattere etico).
Se questo è lo spirito che anima (magari non sempre manifestamente) il lavoro di Mircea Eliade, il fine cui mira mi sembra di scorgerlo nelle sue pubblicazioni recenti, in particolare in La nostalgia delle origini. Qui l’Autore ritiene che compito della storia delle religioni sia quello di cogliere l’uomo e la civiltà in una prospettiva profondamente unitaria, nell’intima profondità del livello religioso, che contiene archetipi e strutture con dimensione universale.Ciò fa sì che questa disciplina svolge un ruolo importante all’interno del pensiero contemporaneo tutto proteso alla unificazione dell’umana civiltà nell’incontro fra le culture occidentale e orientale[39].
[1] Cfr. Giornale, Torino, 1976, P. Boringhieri, p. 358 (tr. it. di Fragments d’un journal, Paris, Gallimard, 1973).
[2] Il sacro e il profano, Torino, 1973, Boringhieri, p. 129 (tr. it. di Le sacré et le profane, 1965).
[3] Die primitive Mensch en de Religion (L’uomo primitivo e la religione), Groninga, 1937, p. 39; cit. da I. P. Couliano, Mircea Eliade, Assisi, 1978, Cittadella Ed., p. 149.
[4] “ … la prima definizione che si può dare del sacro è che esso si oppone al profano” (Il sacro …, cit., p. 14).
[5] “Per i ‘primitivi’, così come l’uomo di tutte le società premoderne, il sacro equivale a potenza e, in fin dei conti, alla realtà per eccellenza. Il sacro è saturo di essere. Potenza sacra significa realtà, perennità ed efficacia insieme. L’opposizione sacro – profano si traduce spesso in opposizione tra realtà e irreale (o pseudoreale). Intendiamoci, non bisogna aspettarsi di trovare questa terminologia filosofica nelle lingue arcaiche (reale, irreale, ecc.), in esse si trova la cosa in sé. È quindi naturale che l’uomo religioso desideri profondamente essere, partecipare alla realtà, riempirsi di potenze” (Il sacro, cit., p. 15).
[6] Cfr. la nostalgia delle origini, Brescia, 1972, Morcelliana (ed. or.: Chicago, 1969, dal titolo The quest History and manning in Religion), p. 7.
[7] Ivi., p. 8.
[8] Il sacro …, cit., p. 14.
[9] “ … non importa cosa può divenire una ierofania, e non esiste probabilmente alcun oggetto, essere, pianta ecc. che non sia stato in un certo momento della storia, in un certo luogo dello spazio, rivestito del prestigio della sacralità …” (Traité d’histoire des religions, paris, 1949, Payot, p. 25).
[10] La nostalgia delle origini, cit., p. 28.
[11] “Ma, in tutti i casi, il luogo è indicato da qualcosa d’altro, sia una ierofania sfolgorante o (sia indicato9 dai principi cosmologici che fondano l’orientamento, la geomanzia, o ancora, sotto la forma più semplice, da un ‘segno’ caricato d’una ierofania, la maggior parte delle volte un animale” (Traitè, cit., p. 317).
[12] Cfr. Il sacro …, cit., p. 28.
[13] Traité …, cit., p. 321.
[14] Il sacro …, cit., pp. 8 e 9.
[15] Traité …, cit., p. 396.