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Meteora Masaniello: solo dieci giorni per entrare nel mito

di Giuseppe Galasso - 07/12/2007



Il 7 luglio 1647 capeggiò l'insurrezione, il 16 fu ucciso La rivolta durò altri otto mesi

Paradossale il destino di Masaniello! Sulla scena della storia egli restò solo per dieci giorni, che certo non fecero tremare il mondo. Tremò, invece, il governo spagnolo di Napoli, e tremò Madrid, alla quale Napoli apparteneva e che già era in gravi difficoltà. Tremò anche buona parte della società napoletana nella capitale e in tutto il Regno, interessata a che si chiudesse al più presto e senza danni lo sconquasso apportato dal movimento scatenatosi a Napoli il 7 luglio 1647 e subito raccoltosi intorno alla figura di quel pescivendolo (o forse meno ancora che tale), di cui nessuno sapeva gran che prima di allora, se non che aveva avuto a che fare con la giustizia e che lo si conosceva nel suo quartiere, uno dei più popolari della città, quello nel quale si trova la chiesa della Madonna del Carmine, alla quale egli era legato e che adottò un po' come tribuna della sua rivolta.
Dopo tre secoli e mezzo di studi, non molto di più si è saputo. Più di qualcosa aggiunge ora anche il libro di Silvana D'Alessio, Masaniello. La sua vita e il mito in Europa,
con prefazione di Aurelio Musi, edito da Salerno. Oscuro è anche che cosa volesse davvero fare Masaniello ritrovatosi a capo della rivolta con poteri praticamente dittatoriali, preso subito in alta considerazione dal viceré spagnolo Duca d'Arcos e da Ascanio Filomarino cardinale arcivescovo di Napoli, invitato e trattato a Corte coi massimi onori e riguardi, con la moglie, Bernardina Pisa, di cui si diceva che fosse stata una prostituta, visitata nella sua povera casa e abbracciata e baciata dalla viceregina di Napoli, ossia da una di quelle dame nobilissime che si ritenevano appartenenti a un olimpo da semidei.
In realtà, nei dieci giorni della sua vita di capo e despota della rivolta Masaniello a un certo disegno politico sembrò avviarsi. Fu chiaro subito, ad esempio, che non voleva affatto staccare Napoli dalla Spagna, e che i nemici maggiori erano per lui l'oligarchia nobiliare della capitale e, ma già un po' meno, l'aristocrazia feudale, l'una e l'altra avverse a una parte del popolo nel governo di Napoli e del Regno quale gli insorti chiedevano. Dopo pochi giorni la condotta del giovane popolano, apparsa all'inizio non priva di saggezza e avvedutezza, pur nella violenza estrema a cui si trascendeva, cominciò, però, a farsi arbitraria e tirannica. Il potere e gli onori gli avevano dato alla testa? Era stato avvelenato dagli Spagnoli? O da chi credeva di servirsene da fantoccio nella conduzione della rivolta secondo idee molto più precise dell'oscuro pescivendolo, ora tanto cresciuto di potere e di personalità? O dai suoi rivali nell'ambito popolare?
Masaniello fu così, il 16 luglio 1647, ucciso a tradimento. La morte violenta ne consacrò, tuttavia, il nome. Le sue esequie furono un'apoteosi incredibile. Cominciò allora, in effetti una sua seconda vita, postuma, per cui egli divenne subito il personaggio della storia napoletana di gran lunga più conosciuto, con ritratti, poemi, cronache, drammi, poesie, e tutto quel che si può desiderare in fatto di fortuna politica postuma. Anche in via di simbolo il suo nome divenne un archetipo, una metafora della cieca violenza rivoluzionaria di una plebe rozza e senza idee, ma molto più spesso, invece, un emblema dell'ingenua, ma forte sete di giustizia e di libertà del popolo contro le oppressioni statali e sociali, una vergine energia che dimostrava le potenzialità di grande azione storica che un simile capo alla testa dei suoi popolani, in altre condizioni, avrebbe potuto svolgere.
Di questa vita postuma di Masaniello il libro della D'Alessio ha dato il quadro migliore finora disponibile, con una grande ricchezza di particolari, così come di vari particolari ha arricchito la conoscenza dei suoi dieci giorni trionfali. Ma il problema della rivolta di Masaniello, durata, dopo il suo assassinio, altri otto mesi, non è solo quello della figura del suo eroe. È anche, e soprattutto, il problema di un moto che sembrò mettere a fiero rischio il possesso spagnolo di Napoli e influire sulle sorti dei grandi conflitti europei allora in corso. Una grande occasione perduta per il Mezzogiorno di sfuggire alla sua sorte di arretratezza? Un vano tentativo senza precisi programmi? Una conferma della debolezza storica del Mezzogiorno? O una vicenda che ebbe un suo senso e una sua corrispondente dialettica di svolgimento? Musi, che apprezza debitamente il lavoro della D'Alessio, accenna anche a tutto ciò nella sua puntuale prefazione a questo libro che si colloca degnamente nella lunga tradizione degli studi masanielliani.