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Iraq, A Bassora, quando scende la sera, i sicari si radunano in Hayaniya Square

di Ghaith Abdul-Ahad - 08/12/2007

Nel secondo di due notevoli articoli dall’Iraq, il nostro pluripremiato corrispondente racconta la vita nella città del sud dell'Iraq, dopo il ritiro delle truppe britanniche





Hayaniya Square, a Bassora, è un incrocio trafficato che porta a un quartiere povero e in rovina. Da una parte della piazza, le acque fognarie scorrono verso quello che era una volta il letto di un fiume ormai in secca e riempiono l’aria di odori nauseabondi. Dall’altro lato, un paio di bancarelle di kebab emanano colonne di fumo da spiedini di carne bruciata nell’aria già calda. Due pecore, il cui destino è su quegli spiedini, aspettano incatenate a un palo del telegrafo lì vicino. La piazza è dominata da un murale di sei uomini vestiti con pantaloni e giacche casual, dietro i quali appaiono minacciosamente i volti di Muqtada al Sadr, leader dell’Esercito del Mahdi e di suo padre Muhammad Sadiq al Sadr. I sei uomini, definiti nel murale come martiri, sono comandanti dell’Esercito del Mahdi uccisi dall’esercito britannico.

Di notte, quando il traffico rallenta nella piazza, si raduna un gruppo di persone. Sono i sakkaka, o sicari.

Le loro berline Toyota, scelte per i bagagliai voluminosi che possono contenere due corpi lasciando altro spazio disponibile, sono parcheggiate nei paraggi.

I sicari chiacchierano, mangiano kebab, e passeggiano in piccoli gruppi, discutendo dei loro loschi affari. Comprano e vendono nomi di collaborazionisti, iracheni che hanno lavorato per i britannici, nonché di giornalisti e di ufficiali di polizia restii a collaborare, uomini d’affari, e la manovalanza di altre milizie.

Secondo la natura del loro crimine, il prezzo della testa di un collaboratore può variare tra duecento dollari fino a qualche migliaio. Di questi tempi a Bassora, le vite più preziose sono quelle degli interpreti e dei contractor utilizzati dai britannici prima che si ritirassero dalla città.
 
La popolazione locale abbassa gli occhi quando i sicari passano in auto nella piazza. Colpi d’arma da fuoco si sentono esplodere durante tutta la notte.

Non lontano da Hayaniya, ho incontrato il comandante dei comitati per la sicurezza dell’Esercito del Mahdi. Un liquido verde scuro aveva sommerso la strada fuori dalla sua abitazione, e sassi e mattoni erano stati lanciati in quell’acqua dall'odore acre a formare gradini di sassi. Una lamiera di ferro ondulato era stata messa di fronte alla porta come passerella e zerbino.
 
Nell’angolo del soggiorno c’era un tavolo di legno con un computer da tavolo, un portatile, e pile di CD e di libri. Dietro il tavolo, era seduto il comandante, un esponente religioso sui trent’anni. "Abbiamo liberato la città dai britannici", mi ha detto. "E’ la nostra vittoria, raggiunta grazie all’aiuto di Dio. Bassora è la prima città irachena liberata dagli occupanti”.

Giocherellava con il grosso anello che aveva al dito. Di fronte a lui, sul tavolo, c'erano due telefoni. Uno, il "telefono di Najaf", veniva usato solo per chiamare l’ufficio di Muqtada, a circa 405 km, nella città santa di Najaf. "Ora non è il momento per una escalation della situazione verso i britannici”, diceva. "Si sono ritirati all'aeroporto e così va bene, per ora. Il nostro obiettivo è sbarazzarci del governatore di Bassora, consolidare il nostro controllo sulla città, e farla finita con i collaborazionisti".

Il giorno prima del nostro incontro, il generale Mohan, l'energico comandante dell’esercito iracheno nella regione, la cui Ottava divisione è responsabile della sicurezza a Bassora, aveva bandito dalle strade della città le automobili di importazione illegale con guida a destra. L’Esercito del Mahdi controlla i porti e il contrabbando di queste autovetture. Il divieto mirava a esaurire una risorsa finanziaria vitale per la milizia.

A poche ore dal divieto, a un posto di blocco dell’esercito iracheno veniva bloccata una autovettura di contrabbando con all'interno alcuni uomini armati del Mahdi. Una mezz’ora dopo, l’Esercito del Mahdi sequestrava 55 soldati iracheni e faceva sfilare per le vie delle città almeno 7 veicoli blindati dell’esercito iracheno, come testimoniano alcune persone presenti.

"Non volevamo questa escalation, ma questo Mohan è un agente americano e rischia di trascinare Bassora in una guerra aperta", mi ha detto il comandante.
 
Il giorno seguente, c’è stato un attentato contro il capo della polizia, un alleato di Mohan.
 
Il vero potere


L’ufficio di Sadr a Bassora è diventato il vero centro del potere in città. Fuori dal grande compound, erano parcheggiate dozzine di auto, furgoncini bianchi privi di targa, qualche auto della polizia, e molte berline Toyota dei sicari. Uomini barbuti vestiti di nero, il colore preferito dell’Esercito del Mahdi, andavano e venivano.

Dietro un cancello di metallo, oscurato da un grande murale di Muqtada, c'erano due porte separate, una per gli uomini e una per le donne.

Nella sala di attesa per gli uomini, un giovane miliziano era seduto dietro una pila di badge per visitatori mentre un gruppo di uomini gli si affollava intorno. Per ricevere un badge, ogni visitatore doveva consegnare il proprio cellulare e la pistola. Un cassetto aperto nella scrivania del miliziano era pieno di armi e cellulari Nokia.
 
Sebbene io fossi arrivato la mattina presto, la sala di attesa era piena. C’era un uomo con un abito bianco e documenti in mano, in piedi di fronte alla scrivania.

"Che vuoi, Haji?", aveva chiesto il miliziano che sembrava avere meno di vent’anni.
Con voce implorante, l’uomo aveva risposto: "Mia figlia ha bisogno di essere operata", mettendo davanti alla faccia del miliziano delle radiografie e dei certificati medici. "Hai un cellulare? No? Questo è un badge. Vai al comitato per i servizi sociali. Possa Allah guarire tua figlia", aveva risposto il miliziano.
 
L’ufficio è suddiviso in comitati che si occupano di servizi sociali, sicurezza, cultura, e risoluzione di conflitti – quest’ultimo è un tribunale basato sulla shari'a ed è qui che andava la maggior parte dei visitatori.
 
Oltre la sala dell’accettazione, oltrepassato un grande cortile, c'erano due uomini con facce da criminali che facevano da guardia a un'aula di tribunale improvvisata.
All’interno, quattro esponenti religiosi erano seduti dietro due basse panche, spalle al muro. Il giudice, un esponente religioso di rango superiore, era seduto vicino a un uomo più giovane che faceva il coadiutore. Nella stanza c'era odore di incenso e di piedi.
 
Il giudice mi aveva spiegato come funziona il sistema:"Quando qualcuno presenta una istanza contro una persona, noi mandiamo un ordine di comparizione all’accusato ed entrambi devono presentarsi qui", aveva detto.

Che succede se non si presentano?
 
"Mandiamo l’Esercito del Mahdi, e allora normalmente si presentano immediatamente. Nessuno dice no quando riceve una lettera dell’ufficio di Sadr", mi aveva detto, mentre un rapido sorriso gli attraversava il viso. Una volta che l’accusato è arrivato, aveva proseguito, i giudici svolgono un'udienza e viene resa giustizia.

"La maggior parte dei casi che arrivano riguardano problemi di natura sociale, ma ci sono anche alcuni omicidi e casi di ambito finanziario”, aveva detto.

"Se trattiamo un caso, inviamo anche una lettera ai tribunali civili e alla polizia per dire loro che non è più sotto la loro giurisdizione. Noi deliberiamo secondo la shari'a. Una volta che viene emesso il verdetto, tutti debbono attenersi alla sentenza".
 
E se non lo fanno?
"Abbiamo i nostri metodi”, aveva detto.
 
A quel punto il giudice aveva convocato il caso previsto. Una donna di nome Sedika accusava il fratello e uno zio di averla picchiata e cacciata di casa. "Mi hanno picchiato, e detto di lasciare la casa o mi avrebbero ucciso", gridava. Aveva tentato di tirarsi su i vestiti per mostrare le ecchimosi al giudice, ma lui aveva girato la testa e le aveva detto di smettere.

Lo zio aveva negato di averla costretta a lasciare la casa, ma il religioso, dopo avere fatto giurare la donna sul Corano di dire tutta la verità, aveva ordinato allo zio di pagare. Un caso che in un tribunale civile avrebbe avuto bisogno di mesi, si era concluso in pochi minuti.
 
La base britannica
 
Per raggiungere l’aeroporto di Bassora, l’ultima base britannica in Iraq, si deve passare attraverso una serie di checkpoint iracheni e britannici. Io avevo preso un taxi autorizzato, uno di quelli che hanno il permesso di arrivare dentro l’aeroporto. A un checkpoint britannico, un giovane soldato dai capelli biondicci e un giubbotto antiproiettile sporco aveva incollato la faccia contro il finestrino dicendo:"Documenti".
 
L’autista aveva mostrato una carta d’identità e io gli avevo dato il passaporto. Mi aveva riconsegnato il passaporto e si era tenuto il documento dell’autista. "Soldi", gli aveva detto.
 
"Io no soldi", gli aveva risposto l’autista in un inglese stentato, sforzandosi di mostrare un gran sorriso . "Soldi, soldiii", aveva ripetuto il soldato, indicando a tasca della camicia dell’autista. "Io no soldi... mio documento per favore", aveva ripetuto l’autista ridendo.

"Tu mi dai i soldi, io ti do il documento", aveva detto il soldato. "Telecamera, telecamera", aveva detto l’autista, indicando la vicina garritta britannica. "Soldi, soldi", ripeteva il soldato.

L’autista gli aveva dato una banconota da 5.000 dinari iracheni, circa 1 euro e mezzo.

Il soldato si era infilato in tasca la banconota e aveva detto: "No, voglio quella", indicandone un’altra – rossa - da 25.000 dinari nelle mani dell’autista che insisteva "No." Dopo avere un po’ mercanteggiato, l’autista aveva riavuto il suo documento.
 
"Vaffanculo, inglese", aveva detto ripartendo a gran velocità. "Non basta quello che pago a ogni posto di blocco iracheno? Tutti vogliono soldi. La mia tariffa è di 15.000 dinari e, una volta pagato tutti, me ne restano 5.000, e ora vi ci mettete pure voi inglesi. Vaffanculo. Non hai neppure i baffi e vuoi soldi".

Nella sala partenze dell’aeroporto, due suore di mezz’età erano sedute vicine. Una di loro si stringeva nervosamente le mani, l’altra parlava al telefonino. 

"Abbiamo raggiunto l’aeroporto", diceva. "Stiamo aspettando l’aereo. Si, abbiamo lasciato Bassora sane e salve. E’ un miracolo".


The Guardian
(Traduzione di Antonella Antinori per Osservatorio Iraq)