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Il silenzio dei morti di lavoro

di Claudio Ughetto - 09/12/2007

 

 

Probabilmente Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino, i quattro operai morti nell'incendio della Thyssen Krupp di Torino, a vedersi il Tristano e Isotta alla Scala non ci sarebbero mai andati. Non li avevano 2300 euro da sputtanarsi in una sera, per una poltrona alla Prima. Quei soldi non li guadagnavano in un mese. Per fare qualche soldo in più dovevano lavorare dalle dodici alle sedici ore al giorno, in acciaieria, il che non è proprio una passeggiata. Soprattutto, non avrebbero mai pensato d'essere omaggiati da quelle signore impellicciate e signori in frack e smoking (anche se pare che il frack non sia più obbligatorio, ma di queste cose non m'intendo). Avrebbero apprezzato? Hanno apprezzato le loro mogli, rimaste sole a crescere i figli? Per loro è stata organizzata una catena di solidarietà, con Montezemolo a raccogliere. Forse avrebbero preferito che si fosse investito per la sicurezza in fabbrica, perché è vomitevole che quattro persone muoiano sul lavoro nel terzo millennio, come nella peggior iconografia d'inizio '900.

Che strano paese, il nostro. E cos'è diventato il Piemonte, la regione in cui vivo da più di quarant'anni? E Torino, non era la città della borghesia illuminata? Possono davvero succedere certe cose, le possiamo accettare senza schifarci? Forse gli spettatori della Scala non c'entrano niente, ma io non riesco ad accettare che ci si sputtani 2300 euro in una serata melomane mentre altra gente muore ancora in fabbrica, lavorando tante ore da non poter neppure pensare. Mi verrebbe da prenderli a uova marce quegli smoking e quelle pellicce. E purtroppo, in questa società liberale, passerei pure per “violento”. Siamo in trappola, delegittimati, rappresentati da chi non ci rappresenta. Costretti a urlare in silenzio, nelle nostre tiepide case. I governi si preoccupano di garantirci la sicurezza in strada, rimediano con un raid tra le baracche dei Rom quando una signora viene uccisa da uno sbandato che parla male l'italiano, ci sottopongono ai test dell'alcol e mandano avanti campagne antifumo perché diventare ultracentenari è un obbligo, ma la sicurezza sul lavoro è l'ultima delle preoccupazioni. Certo, esistono leggi dettagliatissime a riguardo: teoricamente è quasi impossibile morire in un cantiere o in una fabbrica. Purtroppo, in nome del PIL, chiudere un occhio è inevitabile. Se esistono eroi in Iraq, possono benissimo esistere degli eroi in nome del PIL.

Che regione strana, il Piemonte. Pare che il TAV sia indispensabile per il rilancio dell'economia e per stare al passo con l'Europa. Tant'è che la sinistra lo ha messo tra i suoi principali obiettivi di governo. Le aziende aspettano le merci, ci dicono. Per quest'obiettivo si spenderanno milioni di euro. Quali sono le aziende che aspettano, chiedo io: la Thyssen? Qualche altro capannone dimenticato, semiclandestino e in attesa di esplodere perché nessuno vuole riconoscere che si lavora per vivere e non per morire? Non ce ne frega niente del PIL, né del minuto di silenzio alla Scala. Vorremmo un'Italia in cui a stare in silenzio non siano le persone che muoiono di lavoro. Solo questo.