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Come perdere tempo prezioso: le polemiche sul sistema elettorale

di Carlo Gambescia - 10/12/2007

 

Fini critica Berlusconi. Berlusconi critica Fini. Poi Prodi, a sua volta, polemizza con Bertinotti. E così via… Un autentico gioco delle parti. Ma in realtà le polemiche all’interno dei partiti sulla “qualità” del sistema elettorale da adottare, non sfiorano neppure la sostanza del problema. Sono a dir poco superficiali. Dal momento che danno per scontato quel che scontato non è. Cioè che i sistemi elettorali possano garantire stabilità ai governi…
Ma entriamo subito nel merito della questione. Ad esempio, nelle democrazie europee post-seconda guerra mondiale la stabilità politica è stata assicurata da efficienti sistemi elettorali? No, o almeno non solo.
In realtà la stabilità dei governi democratici contemporanei dipende non tanto dai sistemi elettorali (o dai cosiddetti esecutivi forti), quanto da una serie di precondizioni politiche, economiche e sociali Sotto questo aspetto la stabilità delle democrazie europee nel secondo dopoguerra, è stata principalmente assicurata da tre fattori fondamentali: a) la paura del pericolo comunista (fattore politico); b) la forte ripresa produttiva (fattore economico); c) la costruzione del welfare state (fattore sociale) . Il che non significa che non vi siano state crisi. Infatti la stabilità delle democrazie postbelliche entra in crisi nel 1968, con il sollevarsi di una protesta operaia e studentesca, di natura redistributiva, che si estende all’intera Europa (sfiorando anche le democrazie scandinave), e indipendentemente dai sistemi elettorali adottati. Si ricordi, a questo proposito, la caduta di De Gaulle in Francia, leader politico, carismatico e potente, soprattutto in termini istituzionali. Ma si pensi anche alla fine, sempre in quegli anni, del centrosinistra in Italia, privo di leader altrettanto carismatici e di strumenti istituzionali adeguati.
Inoltre con il 1968, si apre un periodo di instabilità politica, che si chiude, grosso modo, nel 1978. Negli anni Ottanta il sistema si concede un tregua: iniziano le “rivoluzioni” neoliberiste, l’economia mondiale torna a crescere. Ma è nel biennio 1989-1991, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che il sistema europeo entra di nuovo nella spirale della crisi. E, attualmente, la guerra Usa al "terrorismo" e l’incalzare delle politiche economiche neoliberiste, che impoveriscono un numero crescente di persone e arricchiscono solo ristrette oligarchie, stanno complicando la situazione sociale. Fino al punto che nel breve volgere di una generazione la nostra società potrebbe "esplodere"...
Pertanto di tempo da perdere non ce ne sarebbe molto. E di riflesso, continuare a credere che riforme elettorali di tipo maggioritario, in sostanza volte a rafforzare poteri oligarchici, possano favorire la democrazia è fuorviante e persino ridicolo. Come credere che una maggiore rappresentatività dei partiti, anche i più piccoli, possa migliorare la democrazia. La frammentazione, infatti, rischia di favorire il gioco, talvolta sotterraneo e dunque “sporco”, delle stesse oligarchie. Pronte a comprare, magari per pochi denari, soprattutto quei partiti minori privi risorse.
In buona sostanza la crisi è sistemica. Anzi “sottosistemica”, nel senso che L’Europa, dal 1945, fa parte di un più ampio sistema politico-economico, a leadership americana. E ora gli Stati Uniti stanno riorganizzando l’intero sistema ( e dunque anche il sottosistema europeo), in termini di un nuovo ordine imperiale. Nel quale - attenzione - Prodi e Berlusconi o Veltroni e Casini per gli Usa, pari sono.
Di qui l’inutilità di discutere di riforme elettorali, anche di tipo proporzionale. Il vero punto della questione è quello di fuoriuscire politicamente, economicamente e socialmente dal sistema neo-imperiale Usa. E di questo si dovrebbe ragionare e non di riforme elettorali.